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LE INTERVISTE TALEBANE: MICHELE ANTONELLI

…Seguimmo per istinto le scie delle Comete come avanguardie di un altro sistema solare… Arabesco che fa sempre il suo effetto e conserva un significato intenso: come potremmo vivere la Vita rivolti al Futuro senza assorbire dinamicamente l’odierno scorrere del Tempo ben saldi ai pilastri della Tradizione?

Come già affermato, in una recente intervista ad Alexander Dugin pubblicata a Il Talebano, appare sempre più opportuno condurre la narrativa al tema delle Identità Collettive e in particolare ai concetti di Ethnos e Popolo poiché, troppo spesso, fraintesi. Strumento utile, in tale senso, è la disciplina dell’etnosociologia ovvero lo studio dell’ethnos con basi sociologiche ma con un punto fermo: revisionare la sua epistemologia. Il nostro think tank, Noi Talebani sensibili alla necessità del rispetto delle Piccole Patrie, abbiamo elaborato a livello filosofico-politico un concetto: il Neopatriottismo. Come dei giardinieri che coltivano margherite, in evoluzione ad una narrativa localista oltre il mainstream mondialista asettico, curiamo con attenzione i contenuti etnosociologici e lo studio per autori identitari.  Ne abbiamo bisogno per non dimenticare; ne abbiamo bisogno per non morire nella morsa dell’inedia emozionale!

La nostra attenzione è catalizzata dal nuovo libro di Michele Antonelli: “Il tesoro delle colline e degli altipiani”: una raccolta di oltre trecento saggi tra racconti, fiabe, apologhi e leggende dell’Appennino sabino-abruzzese.  Lo splendore del racconto, dedicato a fanciulli di ogni età, capace di lasciare un segno di intenso valore pratico: tale libro rappresenta la preghiera ad alimentare costantemente azioni capaci di glorificare la vita e la coesione comunitaria.

I termini Ethnos e Popolo, spesso mal compresi e bistrattati dal mainstream progressista, custodiscono opportunità profonde. Il suo libro cosa dice a riguardo?

I due termini sono tenuti in debita considerazione, a vario titolo.

Per quanto riguarda il concetto di gruppo etnico, sebbene i frequenti matrimoni tra persone di villaggi diversi abbiano contribuito all’omogeneizzazione, tra gli insediamenti del nostro montuoso territorio si possono osservare differenze nei tratti somatici, linguistici e/o comportamentali che lasciano intuire, anche sulla base di documenti storici, una diversa origine. Esserne consapevole, capire quanto difficile, per la propria comunità, è stato arrivare fino ai nostri giorni, nutre un sano senso di identità e responsabilità che spinge ad andare avanti, a continuare quella vita per la quale anche i nostri progenitori hanno lottato.

Un certo numero di racconti si basa su un tale senso di identità, in modo bonariamente ironico, evidenziando alcuni eccessi specifici di certi paesi: campanilismo, mercantilismo, riluttanza al progresso tecnologico, opportunismo, etc.

Molto più pervasivo, nel libro, è quanto attiene al concetto di popolo, cui è dedicato un paragrafo del capitolo introduttivo (Un ricordo comune, per tornare popolo), nel quale si  auspicano contromisure alla graduale ed intenzionale abolizione del termine, che mira all’erosione dell’entità biologica che esso denota.

I racconti comuni alla popolazione di un territorio ne costituiscono in qualche modo la mitologia, un tesoro che ne contiene implicitamente i valori religiosi e ne codifica le norme sociali. Rendere tangibile un tale patrimonio è importante, perché, riconoscendo la sua ricchezza e la sua  intelligenza, la gente può trovarvi un motivo di sicurezza, la confortante consapevolezza di far parte di una civiltà. Ciò è oltremodo utile per cercare di rimediare ai complessi di inferiorità che gli innovatori socio-culturali di quello che Lei chiama “mainstream progressista” hanno inoculato in noi per decenni. Infatti, imponendo i loro dogmi essi hanno, più o meno apertamente, demonizzato e ridicolizzato la cultura orale che i nostri avi ci hanno tramandato, del tutto spontanea e finalizzata alla formazione di caratteri adatti alla vita comunitaria. Riportando alla luce queste divertenti perle di saggezza e d’ironia, si dimostra invece che i nostri antenati erano tutt’altro che fessi e che dovremmo essere amorevolmente fieri delle nostre tradizioni, dei nostri villaggi.

Un tale sentimento è fondamentale nel tentativo di riconquistare uno spirito comunitario, un sentirsi ancora popolo, organismo vivente che tende a perpetuarsi in virtù delle sua compattezza e della sua organicità, qualità senza le quali esso sarebbe destinato a scomparire. Con le minacce che incombono su di noi, è facile capire l’importanza di un tale spirito.

Tuttavia, come Lei stesso ha osservato, il libro va ben aldilà del senso identitario e di appartenenza. La sua funzione più preziosa è quella di fornire ai giovani, ai quali le narrazioni sono destinate, una serie di modelli, alcuni da imitare e altri da biasimare o addirittura deridere, senza mezzi termini. Ne risulta una morale abbastanza simile a quella cattolica tradizionale, con qualche interessante variazione. Tra gli eroi vi sono anziani pieni di saggezza, giovani che superano una lunga serie di ostacoli per conquistare una sposa e giovani donne che resistono a enormi difficoltà per restare fedeli allo sposo e portare in salvo il loro bambino. Suppongo che ciò sia in linea con le tradizioni di tutto il mondo, così come lo è la frequente figura del furbacchione, il birbante (“omologo”, in qualche modo, di quello che gli antropologi chiamano trickster), a volte anche pigro e ladro, che riesce ad ingannare persino il diavolo e, talvolta, oltre a gabbare l’avversario o addirittura l’amico, si fa beffe di lui. Ma ancora più celebrato è un eroe particolare: il poeta, persona che riesce a condensare in pochi versi l’essenza della situazione e, spesso con un marcato senso dell’ironia, indica la via d’uscita. Ritengo che l’esaltazione di questo tipo umano sia piuttosto specifica del nostro territorio, data l’usanza di improvvisare versi in canto, ancora diffusa.

La promozione dei comportamenti virtuosi si combina con il biasimo per i vizi. Quindi, tra i collezionisti di punizioni e figuracce primeggiano avari, presuntuosi e molestatori di donne caste. Ovviamente, al frequente trionfo del furbacchione si associa immancabilmente la mortificazione del fesso, il credulone imbrogliato e preso in giro. Se ne può dedurre che per la nostra mentalità popolare non vi era peccato più grande che essere preso per i fondelli. Che ne pensa, Lei: non sarebbe utile reinstillare nelle persone un tale spirito, in questo succedersi di divieti ed obblighi motivati da una narrativa mutevole e sconclusionata? Finché i popoli hanno avuto una loro organicità non è stato facile gabbarlo così come è stato fatto con noi, in questi ultimi tempi.

Quindi, questa raccolta di narrazioni ideate o conservate dagli anziani del popolo, oltre al valore di testimonianza storica e sociologica, ha la funzione di indurre nei giovani lettori e ascoltatori (alcuni racconti sono per bambini piccoli, che non leggono ancora) degli atteggiamenti utili al buon funzionamento e alla perpetuazione di una comunità. Ciò costituisce un elemento di resistenza ai programmi di controllo e di sfruttamento attuati dai potentati globalisti, ai quali non occorrono popoli, bensì masse disgregate, composte da un assortimento di  individui isolati o, ancora meglio, in competizione tra loro.

Certo, come ogni iniziativa a carattere regionale, non si può sperare che libri di questo tipo godano di una vasta distribuzione. Però, almeno, nessuno potrà rimproverarmi di aver assistito passivamente alla devastazione del nostro patrimonio socio-culturale, sempre più palese.

Da Innovatori che amano percorrere la Vita nel solco della Tradizione potremmo aggiungere tanto ancora a quanto appreso in Silenzio e in Attenzione. Preferiamo rimanere in riflessione aggiungendo un nuovo mattone. …Nei villaggi di frontiera guardano passare i treni, le strade deserte di Tozeur, e nelle chiese abbandonate si preparano rifugi e nuove astronavi per viaggi interstellari…

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