TUNISIA: NESSUNO NE PARLA. ALLORA LO FACCIAMO NOI
Uno strano gioco del destino, oppure una scelta politica imbarazzante e mal celata, fa sì che la Tunisia venga spesso dimenticata e “riesumata” solo quando si parla di immigrazione, dell’ultimo periodo di Craxi o si sognano vacanze a basso costo e di prossimità.
Ebbene si, la Tunisia non è quella che potrebbe raccontarci il custode della tomba di Craxi ad Hammamet che, con un perfetto italiano, saprebbe disquisire di teorie politiche altissime. Il paese vero è uno stato in eterno bilico, anche mediatico. Questo è dovuto al fatto che, quando scoppiarono le cosiddette “Primavere Arabe” in effetti la miccia fu proprio un gesto disperato di un ambulante tunisino ma, come spesso accade, l’attenzione italiana si è poi spostata sull’Egitto. Quanto scritto è facilmente dimostrabile: in un mio recente lavoro di ricostruzione (diventato poi un libro) svolto su articoli pubblicati da Repubblica da dicembre 2010 a luglio 2014 si nota quanto sia stata particolareggiata (e maccheronica) la crono-storia egiziana e quanto invece sia stata data meno visibilità alla Tunisia a cui sono stati dedicati commenti principalmente tradotti dalla stampa francese e senza poi una reale consecutio.
Pochi, pochissimi eruditi sanno elencare, ad esempio, i presidenti che si sono succeduti dopo la destituzione di Ben Ali. La sconvolgente ed ignorata realtà ci parla di sei presidenti, di cui quattro ad interim. Abbiamo sentito commentare le “non” elezioni in Libia, si è dibattuto sulla rielezione di Assad con il 95% dei voti, ci si è chiesti quale futuro avrebbe atteso l’Iran con la salita al potere di Raisi, ma per quanto riguarda la Tunisia il gelo del silenzio è sempre calato pesantemente. Recentemente un barlume di ossigeno mediatico si è riacceso unicamente perché è stata nominata premier una donna: i falsi moralismi di molti paesi hanno insinuato una mossa strategica, ma forse è più onesto pensare che mai si sarebbe ipotizzato che un’appartenente al gentil sesso potesse ricoprire tale carica pubblica ancora prima che ciò avvenisse in Italia.
Date queste dovute considerazioni preliminari, è giusto ridare alla Tunisia la centralità che merita. L’attuale presidente Kais Saied sta tentando di estromettere il più possibile il partito islamico Ennahda e ciò porta a due ipotesi: la prima vede Saied (spesso apostrofato “golpista” o “populista”) come colui che sta tentando di combattere una corruzione dilagante che ha totalmente paralizzato il paese, la seconda descrive il presidente come un manipolatore che tenta di cambiare la costituzione a proprio vantaggio. Saied, avvalendosi dell’art. 80 della Costituzione tunisina, che consente al presidente l’esercizio di poteri eccezionali in caso di “pericolo imminente” per l’autorità statuale e la sua funzionalità per un periodo di trenta giorni, ha ora la possibilità di governare per decreto durante il periodo di transizione che terminerà quando proporrà una nuova costituzione che dovrà essere approvata per mezzo di consultazione popolare. Ennahda, che prima della destituzione di Ben Ali era messo al bando, ha a disposizione il maggior numero di seggi in Parlamento.
Negli ultimi giorni un influente esponente del partito islamico, Noureddine Bhairi (ex ministro della giustizia e funzionario di Ennahda), è stato oggetto di un mandato di arresto e i media, ma anche parte del popolo, hanno ipotizzato che questa sia una manovra eccessiva che potrebbe condurre ad una deriva autoritaria, soprattutto se si tiene conto che le attività del Parlamento sono sospese dal 26 luglio scorso, momento in cui il presidente ha assunto pieni poteri. Il ministro dell’interno, senza fare specifiche allusioni a quanto accaduto, ha successivamente specificato di aver assunto decisioni in merito ad arresti domiciliari per garantire la sicurezza pubblica, forte del dichiarato stato d’emergenza.
Quanto avvenuto ha ovviamente attirato il malcontento delle principali cariche di Ennahda dato che l’arresto è stato descritto come un sequestro dalla moglie. Questa interpretazione non è però stata così percepita: il partito islamico ha visto nel tempo una notevole perdita di consensi perché, al di là dell’ideologia manifestata, nulla di concreto è stato attuato per creare ricchezza, posti di lavoro e un welfare accettabile a sostegno della popolazione.
Un dato importante da rilevare è concernente i media: si è parlato di una limitazione della libertà nei confronti degli organi deputati alla diffusione delle notizie, ma è anche constatabile che critiche e notizie sfavorevoli all’attuale governo continuano ad essere diffuse.
Una delle poche certezze in questa intricata situazione è l’annuncio secondo cui Kais Saied avrebbe dichiarato che nel corso del 2022 si terranno nuove legittime elezioni che decideranno il futuro politico del paese. L’opinione internazionale, come già detto per quanto riguarda il popolo direttamente coinvolto, è frammentata e combattuta ma è ovviamente auspicato che il normale iter costituzionale possa essere presto ripreso. Rimane evidente che, se l’attuale governo si ostinasse a perseguire unicamente obiettivi politici o tecnici, gli sforzi risulterebbero vani. La pandemia ha accentuato problemi da sempre esistenti come la profondissima crisi economica e la disparità di servizi offerti alla popolazione.
Arianne Ghersi
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