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AFGHANISTAN: LA RESA DEI CONTI

A seguito del progressivo ritiro dei militari stranieri di stanza in Afghanistan, si sta purtroppo verificando ciò che molti hanno ipotizzato: i Talebani stanno riconquistando territorio e fama oltre i confini della provincia di Kandahar, luogo base delle loro attività.

La catastrofe che si sta delineando trova conferma negli ultimi giorni: i Talebani hanno preso il controllo del punto di frontiera a Spin Boldak che delimita l’Afghanistan meridionale e le zone controllate dai pashtun pakistani. Questa notizia non è da catalogare unicamente come una conquista territoriale, ma va valutata nell’ottica di un ritorno alle passate alleanze. Infatti, non è certo un mistero che le forze militari del Pakistan abbiano sempre “simpatizzato” e fornito supporto ai Talebani e le numerose testimonianze di profughi in Europa hanno sempre descritto un gemellaggio ideologico-religioso. Molte madrasse in cui venivano e vengono tutt’ora formati i nuovi guerriglieri si trovano in Pakistan, così da garantirne la sicurezza.

La frontiera di Spin Boldak gioca un ruolo fondamentale anche nell’ottica dei collegamenti su ruota, ma soprattutto ricollega due zone ideologicamente protagoniste: infatti è qui che passa la strada principale che collega Kandahar (la “capitale” dei talebani) alla città pakistana di Quetta, dove il Mullah Omar, leader fondatore dei talebani, teneva il suo quartier generale anche dopo il 2001. Oggi le zone pashtun pakistane si ricollegano così formalmente a quelle afghane.

Le defezioni ad opera dei militari sono all’ordine del giorno, vanificando gli sforzi compiuti dalle forze internazionali nel formarli; dati non confermati da enti governativi riportano come molti di essi abbiano trovato rifugio in Tajikistan.

Il portavoce dei Talebani ha rilasciato dichiarazioni secondo cui l’85% del paese sarebbe ora sotto il loro controllo, ciò è confermato solo in parte dal governo centrale che ammette fortissime difficoltà nel gestire la transizione.

La guerra civile sembra ormai prossima e il governo chiede aiuto ai vecchi mujaheddin per tentare di riassumere un ruolo all’interno del paese. In questo intricato scacchiere si aggiungono due notizie rivelatrici del clima di tensione: nel corso di un’offensiva talebana è stato ucciso il fotografo Reuters e Premio Pulitzer Danish Siddiqui e ad Islamabad è stata sequestrata la figlia dell’ambasciatore afghano, sembra che l’azione sia durata solo poche ore nel corso delle quali la ragazza avrebbe subito sevizie e torture.

Ho sempre manifestato pubblicamente le mie perplessità relative alla gestione della missione militare in Afghanistan, ma ciò che ora sta avvenendo assume le tinte fosche di un pericolosissimo paradosso. Il governo afghano per due decenni ha molto delegato il controllo del territorio alle forze provenienti dall’estero e, ora che il ritiro delle truppe si sta concretizzando, bisognerebbe pensare ad altre forme di cooperazione sul piano economico e strutturale. Ciò che invece si sta profilando è un ulteriore vuoto di potere, una resa dei militari che vanifica gli sforzi fatti per condurre il paese alla democrazia. I Talebani, nel corso degli incontri internazionali a Mosca e a Doha, hanno cercato di mostrare una facciata “diplomatica” e pronta alla collaborazione, ma sul campo sono tornati a compiere azioni fulminee, violente e tatticamente evolute.

La guerra in Afghanistan, perché proprio guerra è giusto definirla, verrà derubricata come la più lunga ed inutile della storia. Il rischio reale per la popolazione inerme è che, chi in passato ha collaborato con il governo e le forze straniere, si ritrovi a subire atroci ritorsioni. Il tempo, miglior giudice della storia, rischia di donare la vittoria ai terroristi.

Arianne Ghersi

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