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LE INTERVISTE TALEBANE: ADOLFO MORGANTI

In parecchi articoli di questo sito abbiamo trattato il tema del neopatriottismo distinguendolo dal nazionalismo. In occasione della ricorrenza dei 160 anni dell’Unità di Italia, cogliamo l’occasione di confrontarci con uno dei maggiori studiosi ed esponenti dell’identitarismo italiano: Adolfo Morganti, Presidente di Identità Europea (www.identitaeuropea.it) e storico promotore delle edizioni del Cerchio (www.ilcerchio.it).

Grazie Adolfo Morganti di aver accettato questa intervista.  Quest’anno ricorrono i 160 del’ Unità d’ Italia ed  è utile scavare dietro la retorica patriottarda per riscoprire la plurisecolare identità dei popoli italiana e in questo “Il Cerchio” è da anni in prima linea. Vuole illustrare ai nostri lettore una breve mappa  sulla letteratura revisionista?

R. È questo un tema che riassume più di trent’anni di serrata azione di demistificazione e studio, e che oramai è materia di studio storiografico: consiglio in merito la sintesi di M. Viglione, Le insorgenze controrivoluzionarie nella storiografia italiana (Olschki 2013): una prova concreta che il monolite della verità di regime si aggredisce dalla base, e può crollare. Tutto iniziò nel 1989 con la prima contestazione delle celebrazioni di regime dei 200 anni della rivoluzione francese, il radunarsi spontaneo in ciò di un vasto numero di studiosi e ricercatori di svariata provenienza ed impostazione, e la prima campagna di diffusione dei testi in italiano di Reynald Secher, lo storico vandeano che perse il posto alla Sorbona di Parigi per aver usato pubblicare documenti che illuminavano la tragedia del “genocidio vandeano”. Lì emersero in modo particolare le figure di Francesco Mario Agnoli (2° Presidente di Identità Europea dopo Franco Cardini) e di Silvio Vitale, un trentino d’adozione ed un napoletano, che da molti anni proseguivano un proprio fecondo percorso di studi in argomento. Nel 1993 esplose la campagna per il Bicentenario dell’Insorgenza Vandeana, e da lì si iniziò a comparare con essa in modo sistematico quanto era accaduto sotto il tallone giacobino e napoleonico in ogni cantone d’Italia, scoprendo che ovunque le “buone idee” della rivoluzione avevano portato sangue e sopraffazione, disprezzo per i popoli e distruzione delle loro istituzioni, ed ovunque – dalla Val d’Aosta fino alle Puglie) non la “nobiltà”, ma l’insieme dei popoli vi s’era rivoltata in nome di valori antichi che univano il “Trono ed Altare” con la difesa delle libertà concrete e delle usanze secolari di autonomia dei popoli. Questa campagna durò più di 5 anni, producendo decine di saggi da parte di editori del nord, del centro e del sud d’Italia, ed iniziò ad intaccare il muro di disprezzo pseudo-accademico che il gramscismo dominante nelle università era uso utilizzare per neutralizzare ogni critica.

Il passaggio dalle Insorgenze al cd. “risorgimento” è del tutto naturale, essendo questo una dichiarata prosecuzione dell’eversione giacobina, dai moti del 1820-21 fino alla presa di Roma del 1870, e l’arruolamento dei Savoia-Carignano come strumenti politici non ne poté nascondere le radici culturali illuministo-massoniche e le mire di distruzione del tessuto sociale, politico e religioso di tradizione imperiale e cristiana. Fu nell’estate 2000 che la nostra Associazione, Identità Europea, promosse all’interno del Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini una fondamentale Mostra intitolata “Un tempo da riscrivere: il risorgimento italiano” che conobbe decine di recensioni ed un successo di pubblico immenso, scatenò i conati di bile di tutta l’intellighenzia laicista d’Italia (di destra e di sinistra, da sempre tristi facce della stessa moneta) e portò ai fasti del Telegiornale RAI il tema della rilettura critica del processo di unificazione piemontese (di cui, beninteso, furono proprio i piemontesi le prime vittime: chi legga le pagine di Clemente Solaro della Margherita se ne renderà conto). Da allora quella Mostra continua a girare l’Italia, e ha accompagnato la pubblicazione e la diffusione di decine di saggi, che partendo dalla storia locale hanno composto un mosaico storiografico ben più realistico delle veline precedenti; di fatto oggigiorno quasi tutti i testi di storia per i Licei hanno dovuto prendere atto che sono esistite le Insorgenze, il Brigantaggio e talvolta persino un vasto filone di pensiero anticentralista, federalista e cattolico. Purtroppo ancor oggi un regime opaco e poco avveduto continua a negare soprattutto l’evidenza, e il 150° della proclamazione del regno d’Italia nel 2011 venne “celebrato” solamente in palazzi ben chiusi, per evitare ogni tipo di sgradevoli discussioni; infine spiace dover constatare come negli ultimi tempi un fine storico medievale come Alessandro Barbero abbia scelto di diventare uno strumento polemico della vulgata liberalmassonica, assumendo posizioni pubbliche che non gli han certamente giovato. Mentre i giornalisti come Alfio Caruso ed Aldo Cazzullo fanno in modo evidente il loro mestiere, e quindi non necessitano di replica.

Secondo Edoardo De Marchi autore del  testo “La destra e la cultura. Un secolo di pensiero controcorrente (Idrovolante, 2018)” lei è stato protagonista della rivista “i Quaderni di Avallon”  negli anni ottanta innovativa rivista nel campo del Tradizionalismo per la  collaborazione di cattolici, evoliani e per temi come la difesa dei popoli, le culture locali, il rapporto tra comunità e società, la spiritualità la letteratura fantasy, temi che oggi potremo definire identitaristi. Vuole parlare ai nostri lettori di questa esperienza?

Non conosco questo testo, non frequentando i dintorni di Via Veneto. Tuttavia è vero che I Quaderni di Avallon hanno avuto un ruolo importante nella crescita di una risposta tradizionale e cattolica alla decadenza della post-modernità. Nati da un’idea di Mario Polia, che ne editò in proprio il numero 0, Il Cerchio ne prese in mano la redazione e l’edizione dal 1982 al 2007; in 25 anni ne sono usciti 56 numeri monografici, corredati dal sottotitolo “L’Uomo e il Sacro”. Assieme col giovane gruppo redazionale ci liberammo subito della saccenza e del settarismo decadente tipici del tradizionalismo di quei decenni, ed iniziammo ad incontrare, conoscere ed “arruolare” chi era in grado di giocare la partita della difesa del Sacro dell’umanità di contro alle idolatrie (i veri “dèi falsi e bugiardi”) della modernità: fra gli altri Ettore Paratore, p. Gaetano Favaro, Franco Cardini, l’allievo di Mircea Eliade e poi cardinal Julien Ries, p. Giulio Basetti Sani, il cardinal Giacomo Biffi, Maurizio Blondet, Massimo Centini, Gianna Chiesa Isnardi, Enrico Comba, S.E. il Dalai Lama, Nuccio d’Anna, Camilian Demetrescu, Gilbert Durand, Claudio Finzi, Francesco Gentile, il M. Taiten Guareschi, Ferruccio Masini, Marcello Meli, Vittorio  Messori, Giannozzo Pucci, d. Carlo Rusconi, Emanuele Samek Lodovici, Angelo Scarabel, Reynald Secher, Giuseppe Sermonti, Angelo Terenzoni, Giuseppe Tucci, Otto von Habsburg, Christos Yannaras; ed a ciò va affiancato l’elenco di iniziative che dal 1984 iniziarono a far incontrare e discutere prestigiosi esponenti delle Ortodossie religiose del mondo sui grandi temi dell’ora presente, la presentazione di Classici delle grandi tradizioni dell’umanità spesso in prima traduzione italiana; infine la funzione di “allevamento” di studiosi che poi hanno dimostrato di sapersi costruire una propria strada, come Aldo Ferrari, Vincenzo Centorame, Luigi Copertino, Domenico Del Nero, Paolo Gulisano, Maurizio Manzin, Giovanni Monastra, Chiara Nejrotti, Giovanni Perez, Andrea Piras, Marco Pucciarini, Marco Rainini, Alex Voglino. In sintesi si fece quel che si doveva fare: seminare con gesto ampio e forte, senza badare al ritorno; e dopo Conoscenza Religiosa di Elemire Zolla, I Quaderni di Avallon rimangono a tutt’oggi una fonte di ri-scoperte inesausta (l’editore, Il Cerchio, volutamente ne prosegue la diffusione di moltissimi numeri). Ciò che certamente ne è uscito è una riscoperta dell’organicità del sapere: esiste un punto – complesso ma raggiungibile – da cui ogni aspetto dello scibile riacquista un suo senso radicale ed una sua armonia nel Tutto. Ed ogni ricostruzione di un modello diverso di uomo, di società, di economia, da questo Centro deve obbligatoriamente riprendere il cammino dopo secoli di apostasia. Pena il ripercorrere i medesimi errori ed orrori di chi ha negato il divino per ridursi ad elevare ad idolo il proprio ombelico.

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