GIORNALISTI O SPIE? I NUOVI SCENARI
Il mondo del giornalismo e dell’informazione vive una fase di profonde trasformazioni. Molte di esse sono dovute, come è noto, ai profondi cambiamenti prodotti dalle infrastrutture digitali, sia nelle tecniche di linguaggio sia nel mercato editoriale. Ma ce ne sono altre, meno percepibili dal grande pubblico, eppure altrettanto, se non più importanti.
Molte di queste trasformazioni riguardano specifici settori giornalistici, alcuni dei quali strategici e in grado di incidere profondamente nella vita pubblica.
Il giornalismo d’inchiesta, ad esempio, ha sempre giocato un ruolo cruciale: l’idea di un quarto potere, non istituzionalizzato, ma in grado di stravolgere equilibri politici e assetti di governo, trae origine proprio dall’impatto che alcune inchieste giornalistiche hanno avuto, da un secolo e mezzo a questa parte, sulla vita pubblica in particolare dei paesi occidentali.
Ne sa qualcosa l’Italia che dai tempi di Tangentopoli soffre questo rapporto squilibrato tra potere politico e Magistratura, nell’ambito del quale gioca un ruolo fondamentale la stampa. E’ perfino ozioso ricordare gli infiniti episodi in cui anticipazioni giornalistiche relative ad inchieste avviate dalle Procure hanno portato alla caduta di ministri e messo in crisi governi. In molti hanno messo in evidenza, però, come l’eccesso di commistione tra alcuni giornali e taluni sostituti procuratori abbia svilito anche il lavoro del giornalismo d’inchiesta vero e proprio, ridotto all’acquisizione di intercettazioni, spesso sottoposte a segreto istruttorio o poco inerenti alle indagini, o di notizie in anteprima circa l’arrivo di avvisi di garanzia, ormai solo teoricamente strumenti di tutela dell’indagato.
In realtà anche questo tipo di giornalismo sembra cominciare a segnare il passo di fronte al sorgere di nuove modalità di lavoro, interessanti e inquietanti al tempo stesso.
Sono proprio i nuovi media ad offrire possibili sviluppi al giornalismo d’inchiesta. Pensiamo a Wikileaks e a Julian Assange che attraverso l’hackeraggio di banche dati hanno consentito l’acquisizione di informazioni inedite e clamorose, generando scandali senza precedenti. Parliamo di una forma di giornalismo fortemente impregnata di attivismo politico-culturale, che tuttavia rischia di rendere l’operatore dell’informazione più un informatico che un uomo di lettere, se non supportata della necessaria capacità di approfondimento e di raccordo dei fatti, oltre che dell’indispensabile rigore deontologico.
Proprio in relazione ad Assange, le eccezionali rivelazioni che hanno messo in imbarazzo non poco la Casa Bianca e la Cia, e per le quali Julian sta pagando un prezzo molto alto in termini di libertà personale, hanno immediatamente messo in risalto la stretta contiguità con il lavoro di intelligence che questo tipo di giornalismo d’inchiesta sottende, soprattutto in una fase storica in cui i servizi di sicurezza concentrano gran parte della loro attività proprio sulle cyber tecnologie.
Il modello Wikileaks ha così rapidamente generato varie emulazioni, in particolare portando alla nascita di organizzazioni e mezzi di informazione vicini agli Stati Uniti e all’Alleanza Atlantica, oggetto dei primi scoop. Pensiamo, ad esempio, a realtà come Bellingcat, oggi in rapida ascesa, di cui sono note le simpatie nei confronti dell’egemonia americana e il fiancheggiamento all’ideologia globalista.
L’ulteriore novità rappresentata da queste realtà è la rapida scalata sotto il profilo dell’autorevolezza nella gerarchia delle fonti, persino processuali, che arride loro. Lo testimonia il “caso Hangoshvilli” che in questi giorni tiene banco in Germania, nel quale il rappresentante dell’agenzia investigativa Bellingcat sta giocando un ruolo di testimone chiave della vicenda che vede accusato dell’omicidio del terrorista georgiano di etnia cecena un cittadino russo, Vadim Sokolov, contribuendo ad inasprire i rapporti tra Mosca e Berlino.
Bellingcat, in effetti, è un’entità molto particolare, che merita un approfondimento. Non è un giornale vero e proprio. E’ un sito di giornalismo investigativo fondato nel 2014 dal blogger britannico Eliot Higgins, ex impiegato di una società finanziaria inglese. Negli anni precedenti, Higgins si era fatto notare grazie a Brown Moses, un blog sul quale pubblicava inchieste basate su fonti open source.
In questi anni Bellingcat si è fatto notare per alcune indagini relative a presunti crimini perpetrati da Assad in Siria o dai russi, ma ha giocato un ruolo anche in Italia, affiancando giornalisti locali nel reperimento di notizie relative ai rapporti tra la Lega e la Russia.
Oggi il suo principale impegno è accreditare gli strumenti OSINT quali fonti valide come prove processuali. L’OSINT è quella disciplina dell’intelligence che si occupa della ricerca, raccolta e analisi di dati e di notizie d’interesse pubblico tratte da fonti aperte. Inoltre, in relazione al “caso Hangoshvilli”, assassinato al Tiergarten di Berlino, Bellingcat si è fortemente impegnata affinchè si procedesse alla depenalizzazione dei reati connessi all’acquisizione illegale di informazioni, come, ad esempio, corruzione di funzionari, acquisto di banche dati sul mercato nero, divulgazione di informazioni personali in contrasto con le leggi sulla privacy eccetera.
Questo impegno volto ad accreditare le proprie ricerche come prove processuali ha avuto inizio allorchè Bellingcat ha fornito materiale che ha contribuito ad alimentare le accuse contro gli Husseiniti di bombardamenti indiscriminati in Yemen (accuse fortemente respinte).
Secondo Bellingcat, infatti, “il 30 dicembre 2020, i membri del governo yemenita sono giunti all’aeroporto di Aden. Poco dopo l’atterraggio, tre esplosioni si sono verificate nell’aeroporto della città, uccidendo almeno 22 persone, tra cui passeggeri ordinari, giornalisti e operatori umanitari… L’analisi delle informazioni di fonte aperta mostra che, nonostante le smentite, gli Husseiniti sono molto probabilmente responsabili dell’attacco all’aeroporto di Aden”.
Le “prove” cui si fa riferimento sono link di video online, tratti soprattutto da utenti di social media non identificati. Documentazione, dunque non vincolante, né certificabile come prove affidabili, ma a favore della quale si faceva pressione affinchè fosse tenuta in considerazione dalla giustizia internazionale.
Il gioco è proseguito il 16 marzo, quando GLAN (Global Legal Action Network), in collaborazione con la Stanford University, ha simulato un’udienza in cui alle fonti open source veniva attribuito valore di prova, invitando gli utenti del sito a sostenere l’innovazione oggetto della simulazione
https://swanseauniversity.zoom.us/webinar/register/WN_uyUj9573QnyOhPH4UsJFcw
Ma che cos’è il GLAN? E’ una rete che “intraprende azioni legali innovative a livello globale, per sfidare le potenze che si macchiano di violazioni dei diritti umani e di ingiustizie”
Tra i suoi principali partner c’è proprio la Stanford University, che secondo alcuni svolge una funzione di collegamento tra le agenzie di intelligence e organizzazioni come Bellingcat.
https://www.glanlaw.org/law-school-partners
Eppure le simulazioni di processo effettuate hanno sollevato una serie di dubbi sulle prove OSINT:
– Quali sono le reali differenze tra l’analisi OSINT e la tradizionale analisi forense dei file video?
– Come è possibile essere certi che i filmati non siano montati e manipolati (e dunque falsificati)?
– Un video online può essere dichiarato autentico soltanto attraverso l’analisi del contenuto qualora non sia possibile verificare le caratteristiche del file originale e inedito e l’identità di chi lo ha creato?
– Quale rilevanza processuale può avere un video se colui che lo ha pubblicato dimostra di non essere neutrale rispetto ai fatti in oggetto?
– Che valore ha il giudizio degli esperti OSINT qualora essi non risultino essere altamente qualificati in relazione al caso particolare oggetto del contenuto video (ad esempio, esperti di armi chimiche)?
E’ curioso infine che nell’esperimento che abbiamo raccontato fosse coinvolta la Swansea Law (https://twitter.com/Swansea_Law), un’istituzione strettamente legata a Hillary Clinton, nota per le sue posizioni liberal.
Grazie al “caso Hangoshvilli” Bellingcat, in queste settimane, sta avendo la possibilità di concretizzare, in sede processuale, l’efficacia legale delle fonti OSINT e delle tesi sviluppate insieme a GLAN, Stanford University e Swansea Law, al punto che il testimone chiave della vicenda risulta essere proprio un suo uomo. E’ singolare il fatto che questa opportunità venga concessa, attualmente, solo a un’organizzazione di comprovate simpatie “globaliste”, laddove analoghi metodi di lavoro hanno portato Assange ad essere messo sotto accusa, con gli USA che hanno chiesto la sua estradizione per violazione delle leggi statunitensi, laddove Mosca non ha fatto lo stesso per il giornalista di Bellingcat Christo Grozev, sebbene la sua testimonianza nell’omicidio del Tiergarten si basi su informazioni raccolte infrangendo le leggi russe sulla corruzione e la raccolta illegale di dati.
Forse il problema sta nella circostanza che vede Assange come un pericoloso avversario delle agenzie di intelligence e delle istituzioni atlantiste, mentre il progetto Bellingcat ne asseconda gli obiettivi (https://foreignpolicy.com/2020/12/17/bellingcat-can-say-what-u-s-intelligence-cant/) al punto da destare il sospetto di esserne una sorta di emanazione?
Ciò che è certo è che, questa ulteriore trasformazione del giornalismo d’inchiesta in un’attività potenzialmente collaterale a quella dei servizi di intelligence, rischia di far risultare i governi degli Stati sovrani ancora più vulnerabili ad ingerenze estranee alla politica nazionale, rendendo il quarto potere non più l’arma in mano alle opinioni pubbliche dei sistemi democratici volta a garantire controllo e trasparenza a favore dei cittadini (ma è davvero mai stato cosi?), ma uno strumento di destabilizzazione in mano alle potenze straniere egemoni a livello globale.
Franco Degli Esposti
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