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QUEL NAZIONALISMO IMBECILLE

Alla luce del conclamato fallimento della UE,  insistere sulla necessità di un’Europa forte e del superamento del modello stato-nazione è oggi più che mai di primaria importanza. Procediamo con ordine.

Energia, gasdotti, reti di telecomunicazioni, infrastrutture, mercati finanziari. Sono solo alcuni tra i numerosi elementi che determinano le politiche dei paesi. E li determinano proprio perché i singoli stati spesso non hanno la possibilità di adottare strategie che un tempo avremmo definito autarchiche. La storia è ormai in mano ai big player. Può piacere o meno, ma così è. E, alla luce di ciò, quel nazionalismo un po’ moderno camuffato dal termine “sovranismo”, rischia di essere non solo una battaglia di retroguardia, ma anche un clamoroso autogol. Semplicemente in quanto anti-storico. Con una visione ampia sulle politiche mondiali possiamo infatti accorgerci che, sotto certi aspetti, i confini sono già stati superati, rappresentano solo una formalità. L’energia, i gasdotti, le reti di telecomunicazione, le infrastrutture e i mercati finanziari hanno infatti assunto una dimensione globale. Ciò non deve essere visto chiaramente in ottica nichilista come una vittoria del mondialismo. Come scriveva infatti Ernst Jünger, “dove tramontano gli stati con le loro frontiere e le loro guerre, restano comunque la madre terra e la madrepatria“. La storia ha infatti svariate volte creato e distrutto i confini. Non deve perciò sconvolgerci una nuova rivoluzione in tal senso.

Il modello del macro-blocco non genera però un annullamento delle specificità, cosa che peraltro ha fatto l’unità d’Italia, guarda caso, bensì un mezzo per unirle, con una moneta e un diritto comuni sì, ma anche e soprattutto con un esercito indipendente, da sempre il grande tabù di questa Europa. Un’Europa accomunata da storia, tradizione e religione. Ciò non toglie che le identità, culturali ed economiche, di ogni popolo, rimangono intoccabili. Le due cose, infatti, possono coesistere parallelamente o, più nel concreto, secondo il principio di sussidiarietà. Tradotto: gli enti locali esisteranno, e dovranno esistere, ancora, poiché costituiscono la linfa vitale dei popoli.
La logica diverrebbe pertanto sempre più vicina a quella dell’ imperium, affossato completamente con la Grande Guerra, ma destinato a risorgere in quanto fondamento eterno, vicino alle esigenze dei popoli, e non antistorico.
In chiave moderna si potrebbe tuttalpiù declinare in confederazione.

Tornando alla questione dell’esercito, è stata proprio la mancanza di quest’ultimo elemento ciò che ha determinato il fallimento dell’attuale unione. Non è effettivamente possibile pensare di costituire una potenza mondiale senza un esercito proprio. Ancor peggio, con un corpo militare di fatto comandato da una potenza colonizzatrice, gli Stati Uniti, un impero moderno inevitabilmente in conflitto di interessi con il Vecchio Continente. Certamente, non si può pensare di condurre un guerra in tutto e per tutto con i cugini/rivali d’oltreoceano. È altresì vero, però, che un significativo potere militare funge da fattore deterrente in qualsiasi negoziazione, evitando che la bilancia penda sempre a favore del “più forte”. La Corea del Nord, che legittimamente non aveva alcuna intenzione di avere la stessa sorte dell’Iraq di Saddam Hussein, è forse, estremizzando, l’esempio più lampante.

Quale direzione intraprendere? L’Europa necessita, ora come non mai, una reale sovranità ed una decisamente maggiore indipendenza. Cosa che, nel Terzo Millennio, i singoli stati non potrebbero mai essere in grado di ottenere. Occorre quindi una terza via, che consiste nello smarcamento sia dall’imperialismo americano, sia dal nuovo imperialismo cinese. È però certamente utopistico e lontano dalla realpolotik pensare di non dover mai avere a che fare con queste due superpotenze. Tuttavia, solo con un’Europa forte ci si può sedere al tavolo delle trattative ad armi pari. E, un’azione strategica sicuramente può essere anche una partnership privilegiata con la Russia, che superpotenza non è (guardate infatti la differenza tra il numero di basi Nato presenti al di fuori degli Stati Uniti e quello delle basi russe al di fuori del territorio russo), ma che sicuramente ha un invidiabile know-how militare e strategico. Senza contare che è, tra i macro-blocchi, culturalmente quello più affine ai popoli europei, oltre che essere uno dei principali custodi del cristianesimo.

A dire il vero, un avvicinamento tra Russia ed Europa, tramite la Germania, è già avvenuto, con la costruzione del Nord Stream. Avvicinamento che ovviamente non è stato accolto di buon grado dagli Stati Uniti.
Impossibile poi non notare come le economie di Mosca e di Berlino siano perfettamente completamentari. Energetica la prima, tecnologica la seconda. Anche questo un elemento di fastidio per alcuni competitor mondiali. E non è un caso che la CIA ed il governo americano abbiano cavalcato le tensioni prima nell’ex Jugoslavia e poi nell’est dell’Ucraina. Il fine era, ed è, mantenere viva un’area che funga da cuscinetto tra l’Europa, in particolar modo Berlino, e la Russia.

E proprio Berlino è la chiave. La Germania è oggi bersaglio di forti critiche, soprattutto da parte dei sovranisti nostrani. Ora, la domanda, retorica, da porsi è la seguente: uno stato estremamente efficiente potrebbe mai fidarsi a prestare denaro ad uno stato che tra tangenti, vitalizi, burocrazia, parrucchieri personali e via dicendo, sperpera senza criterio? È perciò logico che il cancro vada estirpato a Roma, prima che a Berlino o a Bruxelles. Al contrario, se la Germania, in un contesto di Europa sovrana, si ponesse come leader europeo, esportasse il modello tedesco in Europa e si ponesse come collante tra i paesi del nord e quelli del sud (dualismo che oggi sta dimostrando perfettamente l’inesistenza del senso politico di questa UE), otterrebbe sicuramente una legittimazione continentale.

Questo scenario è quello che gli attuali alleati prediletti stanno cercando in tutti i modi di evitare, per poter continuare a dialogare con un’Europa debole e non autonoma.

Per il resto, c’è la solita retorica paranazionalista, che vorrebbe un’Italia, paese ormai privo di materie prime e con un tasso di natalità sempre più in decrescita, indipendentemente e in grado di negoziare con il resto del mondo.
La, reale, sovranità dell’Europa, magari confederata, con un esercito proprio e con una Banca Centrale prestatrice di ultima istanza, può essere sicuramente di attuazione non immediata; tuttavia, l’isolamento di uno stato in decadenza fornisce prospettive decisamente meno rosee.

Lorenzo De Bernardi

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