RITRATTO DI UN ESTETA ARMATO
Limonov (22 febbraio 1943–17 marzo 2020) è stato quasi un D’Annunzio russo, senza però avere una sola Fiume, ma più fronti di lotta. Scrittore e politico – ha fondato prima il Partito nazional-bolscevico con l’eurasista Aleksandr Dugin e poi l’Altra Russia – è riuscito come il Vate a trasformare la sua vita in un’opera d’arte. Ogni poesia o romanzo per Eduard è sempre stato intarsiato con una imprevedibile tensione autobiografica.
Aveva una scrittura attraente perché insieme intima e gelida, figlia di una esistenza estrema, anticonformista e distante da ogni materialismo. Era stato in Italia in più occasioni e aveva raccontato il Belpaese con suggestioni folgoranti nel Libro dell’acqua (Alet), la sua opera più originale perché salda affreschi paesaggistici a sfumature sentimentali e passioni amorose. Descriveva con dettagli ora truci ora pieni di umanità l’Adriatico come il Tevere, Ostia e le lande pasoliniane o la Fontana di Trevi a Roma (tra il 1974 e il 1982), accompagnato dall’amata Elena Scapova (moglie che lo lasciò per diventare in seguito vedova di un ricco italiano). Dall’Italia passava alla Moscova nella capitale russa, tinteggiata mentre sfilava in corteo con decine di giovani che sventolavano il vessillo rosso con al centro la Limonka, la bomba a mano a forma di limone, che diede il nome alla testata che dirigeva. In Italia era tornato con una certa frequenza negli ultimi anni, dopo la celebrità che gli aveva donato la biografia Limonov (Adelphi) scritta da Emmanuel Carrère, tra fiere del libro e ospitate nei circoli identitari (come Terra Insubre), per presentare Zona industriale (Sandro Teti).
Politicamente la sua linea era tracciata in Drugaya Rossiya, manifesto dove coesistevano Julius Evola e Lenin, Drieu La Rochelle e Gorky. I suoi partiti però non ebbero successo, anche se era apprezzato dalla giornalista Anna Politkovskaja, che ne elogiava il coraggio civile rispetto al conformismo filogovernativo (una costante in tutti i sistemi politici del nostro tempo).
Uomo in rivolta, spregiudicato nel fare proprie le battaglie irredentiste più disparate, «amico di Karadzic, Milosevic, Mladic», ora – lo Zeitgeist segna punti inarrivabili – corre il rischio di diventare icona pop, non solo per il suo abbigliamento da eterno punk e per la parlantina tagliente (in Italia solidarizzava con le forze sovraniste), ma soprattutto perché gli ha dedicato un post anche il cantante Fedez. E per evitare il rapido declino dopo l’emozione social è utile ricordare che in italiano sono disponibili alcune sue opere fondamentali, come Diario di un fallito (Odradek), Eddy-baby ti amo (Salani, 2005), o Il Boia (Sandro Teti).
La sua vita avvincente ha avuto schegge irriducibili all’esperienza di un intellettuale borghese: è stato insieme politico, gigolò, teppista giornalista, galeotto, struggente amatore dalle latitudini più imprevedibili… Declinava in maniera irruente il patriottismo russo, con una mai celata nostalgia dell’Urss («è il nostro Impero romano, noi continuiamo a guardare al nostro passato con orgoglio»). E non aveva paura. Ogni mese scendeva in piazza per contestare il governo russo (da posizioni social-patriottiche) e veniva sempre incarcerato, come gli era capitato qualche anno prima per una avventura sovversiva. Il penitenziario lo considerava «un monastero», e nei suoi libri si ritrovano elementi comuni con le descrizioni dell’universo detentivo di Adriano Sofri. Una volta libero, riprendeva la strada incendiaria, riattualizzando all’ombra della Madre Russia le intuizioni dei tedeschi Niekisch o Strasser. Aveva una vocazione nichilista di fondo: «A me personalmente piace solo scrivere, ma neanche sempre. Preferisco pensare. Ricordare le poesie. Prendere il sole. Fare l’amore oppure organizzare la rivoluzione».
È stato, in conclusione, «un esteta armato», secondo la definizione codificata nell’omonimo libro cult dell’ambasciatore Maurizio Serra. Come «il fascista Drieu, il gollista Malraux e il comunista Aragon», ha incarnato la ribellione all’edonismo, praticando la via della libertà come forza mitopoietica.
È stato un intellettuale a tutto tondo, sondando, scoprendo e raccontando territori inediti prima degli altri, rischiando in proprio, coerente con la sua giovinezza. Chi può dire di aver fatto altrettanto tra i ricchi autori di best-seller in Occidente?
Michele De Feudis per lagazzettadelmezzogiorno.it
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