FILOSOFIA. E Rosmini «bruciò» Marx
Antonio Giuliano
Karl Marx non aveva ancora dato fiato alle trombe del comunismo. Il suo ManifeÂsto del partito comunista era solo in bozze, eppure Antonio RosmiÂni, con singolare lungimiranza, ne smontò in anticipo l’impianto teoÂrico pur non avendolo ancora letÂto. Lo dimostra la recente pubblicaÂzione di un’opera del filosofo di Rovereto a torto considerata miÂnore: Saggio sul comunismo e sul socialismo , edizioni Talete. Un breve trattato redatto in forma di discorso e letto all’Accademia dei Risorgenti di Osimo nel 1847. RoÂsmini prende spunto dalla diffuÂsione in Europa del comunismo utopistico per appellarsi alle genti italiche e scongiurare l’adesione alla «fallace via» di quei «falsi saÂpienti ». Vengono così confutate punto per punto le teorie di RoÂbert Owen, Saint-Simon, Charles Fourier, François-Noel Babeuf. Tutte tesi che promettono una pubblica felicità ma con il loro materialismo annientano il valore della persona, «asciugando la fonÂte di tutti i suoi beni individuali e sociali: la libertà ». In simili dottriÂne i cittadini sono ridotti al rango di «macchine o animali, ad una sì vile condizione a cui non disceseÂro mai gli schiavi greci né romani». La carica utopica pervaderà anche il trattato di Marx e fungerà da «e- sca» per molti, persuasi di veder fiÂnalmente migliorate le condizioni della «classe più numerosa e poveÂra ». Per Rosmini però non era cerÂto una novità dei comunisti queÂsta sensibilità sociale che il cristiaÂnesimo proclamò per diciannove secoli, «inserì nelle menti, inscrisÂse nei cuori, trafuse nelle abitudiÂni ». E replica: «Noi abbracciamo lieti cotanta umanità in verso la classe più necessitosa; ma ci laÂmentiamo nello stesso tempo, perché non l’estendano a tutte le altre classi, e così restringano e smozzino quella che da san Paolo è grecamente chiamata filantropia di Cristo, la quale non dimentica né i diritti, né i bisogni di uomo alÂcuno ». Quando poi dai principi si passa alla pratica, i mezzi proposti da quei «riformatori dell’umana famiglia» lasciano intravedere già i germi del totalitarismo: «Il govÂer-storia no datoci per sicura panacea delle presenti sciagure, deve possedere un’autorità , una potenza troppo maggiore di tutti i governi presenÂti, anche dei più assoluti, e di tutti quelli altresì che furono in sulla terra… Il suo potere è assoluto su tutte quante le cose e su tutte quante le persone: la proprietà inÂdividuale è abolita, il nuovo goverÂno depositario di tutta la ricchezÂza ». Così come viene preanÂnunÂapocalittica ciata dal filosofo roveretano la batÂtaglia contro l’«oppio dei popoli»: «Tutti i progetti degli utopisti soÂciali richiedono a primissima conÂdizione che quanti sono i popoli della terra cessino oggimai dal credere e dal professare la loro reÂligione ». La morale tradizionale fiÂnisce sotto accusa perché inibisce le passioni, con tutte le inconÂgruenze sollevate da Rosmini: le passioni possono essere anche neÂgative, e se ogni cosa è lecita, si fiÂnisce nella guerra di tutti contro tutti. Viene a cadere la distinzione tra bene e male: un anticipo se voÂgliamo del relativismo odierno. Come evidenzia il saggio, già per quei socialisti «il matrimonio moÂnogamico è la più lacrimevole caÂlamità della terra; ché egli pone un freno alle basse passioni ed aboliÂsce la felicità delle unioni selvagge e ferine». In questi sistemi dove l’individuo non conta più nulla, lo Stato rimane l’unico riferimenÂto: il «governo è tutto, arbitro di tutte le persone, regolatore di tutÂta l’attività dell’uman genere, da quella del pensare fino a quella del sentire». Per questo è amaro il nostro autoÂre quando scrive che non basta la «corruzione del cuore» per proÂdurre simili teorie che fondono anche «l’ignoranza dell’umana natura e un’ispirazione satanica». Ma Rosmini prevede comunque l’inevitabile fallimento di una soÂcietà in cui i governati si aspettano di essere nutriti con amore dai goÂvernanti «come i rondinini dalla sollecita loro madre». E ironizza anzitempo sulle due fasi della riÂvoluzione comunista in cui «i maestri della dottrina procurano di tirare e rapire tutti i beni a sé, riÂserbandosi poi a distribuire l’uso con ammirabile uguaglianza e geÂnerosità a tutti… Ora voi vedete che tentare la prima delle due oÂperazioni è cosa più facile e pronÂta che non sia adempire la seconÂda, riserbata a un tempo indefiniÂto dell’avvenire… A chi sarà diffiÂcile, o signori, giudicare la probaÂbilità della buona riuscita di un taÂle sistema?». Quando alcuni mesi dopo, fra il dicembre 1847 e il gennaio del 1948, Marx ed Engels nel ManifeÂsto inviteranno i proletari di tutto il mondo a unirsi perché nella riÂvoluzione comunista essi «non hanno nulla da perdere fuorché le loro catene», Rosmini aveva già implorato i suoi connazionali: «AÂspetteremo una società libera da chi prima di tutto annulla ogni liÂbertà individuale?».
Antonio Rosmini SAGGIO SUL COMUNISMO E SUL SOCIALISMO Talete. Pagine 60. Euro 13,50
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