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SALVINI A PROCESSO?

In me mago agere

Immaginiamo per un attimo che si stia vivendo una nuova e critica fase storica in cui vi è la presenza massiccia di flussi migratori da un continente a un altro, per differenti motivi.

Immaginiamo che alcuni Stati, facenti parte di uno specifico continente, si affaccino “geograficamente” sul mare: ergo saranno inevitabilmente i primi porti naturali e “sicuri” per donne, bambini e uomini che tentano, con tutti i rischi annessi e connessi, la traversata da costa a costa.

Immaginiamo ora che ci siano altri uomini, privi di scrupoli, che lucrino su tale circostanza e modalità di spostamento (via mare).

Immaginiamo che vi siano poi altri uomini che, giustamente, sono “obbligati” ad aiutarli (per via dei “cattivi” di cui sopra).

Immaginiamo che i primi uomini, quelli senza scrupoli, sappiano bene che ci sono i secondi, quelli buoni: aumentando in tal guisa i loro guadagni illeciti, perché sono certi che, appena messi i migranti su un natante che non può quasi galleggiare, verrebbero poi immediatamente salvati.

Nulla di male fino a qui può sembrare, un po’ la lotta tra il bene e il male, se non che i buoni poi si indignano con terzi uomini, ossia con coloro – cittadini e istituzioni di uno Stato – che affermano che hanno delle difficoltà ad accogliere tutte quelle persone, pur continuando ad aiutarli.

Allora immaginiamo che le nazioni di un continente si mettano d’accordo per accogliere in quote, secondo delle regole sovranazionali, questi migranti.

Immaginiamo che le stesse nazioni abbiano però – anche – delle regole interne in merito alla immigrazione e ai suoi flussi (non dimenticando, peraltro, la tutela della sicurezza nazionale: in considerazione del pericolo, sempre presente, del terrorismo).

Immaginiamo ora che alcune nazioni non rispettino tali patti di redistribuzione delle quote, violando il noto brocardo pacta sunt servanda ma, soprattutto, mettendo in serie difficoltà la nazione che li accoglie, per prima nel suo territorio, i migranti.

Immaginiamo quindi che uno di questi Stati si trovi ora in serie difficoltà ad ospitare questo continuo flusso di persone, in quanto sempre più intenso, poiché ha già problemi domestici da risolvere, e si intestardisca perché vengano rispettati i patti.

Immaginiamo che questo stesso Stato sia composto da persone che hanno a cuore le altre persone e che, proprio per tale motivo, vuole che gli altri Stati rispettino, a loro volta, i patti sovranazionali: perché è giusto accogliere e aiutare finché le strutture interne di quello Stato reggano l’urto, come si suole dire, e abbiano un impatto sostenibile sulla società.

Immaginiamo ora che un uomo delle istituzioni, deputato per il suo ruolo alla sicurezza interna, non autorizzi temporaneamente l’ennesimo sbarco di questi migranti: attendendo che gli altri Stati rispettino i patti (di prendersi carico, in seconda istanza, queste persone). Ovviamente passerà per “brutto e cattivo”.

Immaginiamo che la sua sia una decisione presa comunque “di concerto”, come si suole dire in gergo tecnico, con gli altri membri del governo in carica.

Immaginiamo che la Convezione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 – e ratificata dall’Italia nel 1994 -, permetta a uno Stato di non autorizzare il “passaggio inoffensivo” di navi, battenti qualunque bandiera, nonché lo sbarco di persone, ad esempio se “in violazione delle leggi in materia di immigrazione” (art.19 lett.g) ovvero “se arreca pregiudizio..al buon ordine e alla sicurezza..”.

Immaginiamo che la Procura di quello Stato apra un procedimento penale per verificare se siano stati perpetrati dei reati sottesi a quella decisione (di aver accolto la nave nel porto, ma di temporeggiare nel far sbarcare le persone, per i motivi suindicati).

Ora immaginiamo che lo stesso magistrato ne richieda l’archiviazione (di quel procedimento), poiché “non fu sequestro di persone, bensì un semplice “rinvio” della decisione su dove e quando far sbarcare i 177 migranti della Diciotti, in attesa che le istituzioni europee si assumessero le proprie responsabilità. Il ritardo con cui il Ministro dell’Interno Matteo Salvini permise ai profughi di toccare terra, rappresentò una scelta politica “che gli competeva nella sua veste istituzionale, corrispondente a un interesse nazionale” da tutelare (fonte: Corsera 31/01/19 pag.8).

Immaginiamo che il giudice/tribunale competente a decidere sull’archiviazione sia però di diverso avviso ed insista comunque nel poter giudicare il Ministro, con la grave imputazione di sequestro di persona aggravato.

Ora, essendo non un uomo “comune” ma avente una carica governativa, prima di esser sottoposto ad un regolare processo, come tutti, è necessario che altri membri delle istituzioni, in questo caso prima la Giunta per le autorizzazioni a procedere e dopo il Senato (essendo un senatore), debbano valutare se possa esser effettivamente sottoposto a processo (c.d. autorizzazione a procedere): la legge stabilisce che un ministro non possa infatti esser processato per reati commessi nell’esercizio delle proprie funzioni, se la Camera di appartenenza (il Senato appunto) reputi che “abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato o per il perseguimento di un interesse pubblico preminente nell’esercizio delle funzioni di Governo”. Interesse pubblico preminente.

Potrà mai, ci si domanda con un po’ di immaginazione, la Giunta e/o il Senato – tranne per le regole del gioco alcuni membri dell’opposizione – autorizzare mai il processo, per sequestro di persona, nei confronti del Ministro dell’interno Matteo Salvini, per una decisione presa nell’esercizio delle sue funzioni e della sua carica (re non per una ipotesi di reato commessa “da privato”)?

E, come un mago, si aggiunge immaginazione all’immaginazione chiedendosi se, dal momento in cui altri Ministri e membri del Governo hanno confermato la matrice della decisione come collegiale, non si dovrebbe quindi indagare anche loro – paradosso zenoniano – per concorso nel reato (di sequestro di persona – artt.110,605 c.p.)?

Trattasi, come detto, di mera immaginazione in quanto qui si è di fronte non alla commissione di un reato perpetrato per un “fine personale” da un parlamentare o ministro, bensì ad una decisione – discutibile se si vuole –  presa nell’esercizio delle proprie funzioni per la tutela di un interesse (sicurezza, leggi interne sulla immigrazione) dello Stato.

La norma di cui all’articolo 605 del codice penale (sequestro di persona) rientra nei delitti contro la libertà personale “che sono posti a tutela della libertà di movimento e di spostamento che solo lo Stato, per mezzo dei suoi organi giurisdizionali, può limitare”. La norma punisce la privazione della libertà personale per una durata di “tempo apprezzabile”, superando solo in tal modo la soglia di offensività.

Ci si domanda infine se la decisione di temporeggiare nel far sbarcare i migranti dalla nave, comunque curandoli a bordo ed assistendoli, abbia minato la loro libertà per un tempo apprezzabile – essendoci, come sottostante si ripete, una decisione dello Stato, tramite un suo Ministro (di concerto con il Governo), nell’attesa che gli altri Stati rispondessero in ordine alla redistribuzione.

E se la decisione del Governo, tramite il suo ministro, fosse un mero esercizio di un diritto, quindi scriminato giuridicamente dalla legge, in violazione di una norma penale?

E se, oltre a parlarsi di una eventuale scriminante giuridica, si potesse semmai parlare di una “scriminante politica” nella scelta governativa, che ha il suo naturale riverbero non nelle aule di un tribunale, ma solo all’interno delle aule parlamentari o comunque nell’alveo della dialettica politica?

E se, infine, si potesse altresì paragonare questa decisione a quella con cui gli organi amministrativi (questori e prefetti) e Ministro dell’Interno optino per la espulsione, appunto amministrativa, di stranieri – non sottoposti a procedimento penale – per “motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato” o per “atti diretti a sovvertire l’ordinamento dello Stato” (et c.)? Anche in questi casi si dovrebbe indagare per verificare se vi sono dei reati alla base?

Immagina..puoi!

Alessandro Continiello, avvocato/direttivo di Nazione Futura

1 Comment on SALVINI A PROCESSO?

  1. roberto chiatto // 21 Febbraio 2019 a 17:11 // Rispondi

    condivido collega. Vorrei una tua opinione su questa mia riflessione.

    Ho seguito il dibattito televisivo a “otto e mezzo” tra il Ministro Bonafede e il dott. Carofiglio. Sono rimasto tuttavia perplesso dall’intervento del magistrato che ha voluto interrogare il ministro sul concetto di atto politico. Non capisco la necessità e l’utilità di tale comportamento.
    Nella richiesta di autorizzazione a procedere, il Tribunale dei Ministri di Catania ha strutturato la relazione in modo molto specifico.
    Dapprima ha ricostruito la cronologia dei fatti. Poi si è concentrato sulla normativa applicabile al caso di specie (norme nazionali, internazionali, convenzioni, direttive ecc). Da qui, si è passati a delineare il concetto di “reato ministeriale”, ritenendo tale il fatto commesso dal Ministro Salvini. In particolare, si è parlato del sequestro di persona e i suoi elementi costitutivi: alla fine, si è ritenuto integrato tale reato in tutte le sue componenti (elementi positivi) e si è registrata l’assenza di scriminanti (elementi negativi), in particolare quelle di cui all’art. 51 c.p.
    Ecco che il Tribunale si è focalizzato sul concetto di “atto politico” individuandone le classiche caratteristiche (arricchendolo di esempi) e differenziandolo dagli atti di alta amministrazione e dagli atti amministrativi generali. Da ciò, i magistrati hanno escluso che quello di Salvini fosse un atto politico e, come tale, insindacabile dalla magistratura. La ragione di tale precisazione si ritrova nella necessità di eliminare dubbi sulla sindacabilità, da parte dei magistrati, dell’atto di Salvini.
    Il punto interessante però si ritrova a pag. 48 della richiesta di autorizzazione, dove si riconosce che il sindacato dei giudici deve arrestarsi dinanzi alle “ragioni politiche che hanno condizionato il corretto iter amministrativo della procedura di rilascio del POS”, in quanto tale materia è prerogativa del ramo del Parlamento competente.
    Dunque, Bonafede non contestato che ci si trovi dinanzi ad un reato ministeriale. Non ha ritenuto configurarsi la scriminante ex art. 51 c.p. Non ha detto che sia un atto politico.
    Semplicemente, il ministro ha detto che il ramo del Parlamento, nonostante la presenza di questi elementi, ha eseguito la valutazione INSINDACABILE (e arbitraria) sul fine dell’azione del ministro Salvini, cioè la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante o per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo.
    Dove è la necessità di interrogare Bonafede sul concetto di atto politico? Da un lato, il Tribunale dei Ministri ha escluso l’atto politico al solo fine di giustificare il sindacato giurisdizionale e la seguente richiesta di autorizzazione a procedere; dall’altro lato, il Ministro non ha contestato la correttezza della ricostruzione del Tribunale dei ministri.
    Comportamento di Carofiglio inopportuno e scorretto. Potrei dire, il classico atto emulativo, con il solo scopo di danneggiare l’avversario senza alcun vantaggio personale.

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