La legge sul biotestamento introduce un’idea di libertà suicida
Il Senato approva con 180 Sì. Ma l’aspetto più significativo per le sorti della società è il lato filosofico del testo: essere liberi coincide con la possibilità dell’autodeterminazione
Nel merito della legge sul biotestamento, che è stata approvata stamattina al Senato con 180 voti favorevoli, è già stato detto molto, se non tutto. Tuttavia, è il lato filosofico che la legge introduce e sostiene a essere l’aspetto alla lunga più significativo per le sorti della società. Pressati dal problema di accaparrarsi i voti a fine legislatura, la sinistra e il M5s che vogliono l’approvazione della legge forse non si rendono conto di quanto essa contribuisca a stravolgere la tradizione culturale e la compagine sociale del nostro Paese.
Dal punto di vista filosofico, la legge si basa su un solo presupposto culturale: la libertà coincide con la possibilità dell’autodeterminazione. Tale principio è strettamente legato alla tradizione liberale più radicale che difficilmente si sposa con le radici marxiste della sinistra italiana, se non per quella viscerale contrapposizione a tutto ciò che è in qualche modo “limite” e “dato”, come se in ogni cosa che sfugge alla determinazione dell’uomo ci fosse sempre un dio autoritario contro cui lottare.
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Tuttavia vorrei ricordare un problema logico-sociologico che non riguarda tanto le loro coerenze ideologiche quanto gli esiti culturali di ciò che approvano. La pura autodeterminazione su cui la legge si basa apre la via a quello che la logica chiama un “piano inclinato”. Se l’autodeterminazione è diritto, purché – secondo la massima troppo santificata – non si tocchi l’autodeterminazione altrui, perché non garantire anche poligamia, matrimoni con altri esseri viventi non umani, eutanasia attiva? Perché tenere le leggi contro le droghe, contro il possesso delle armi e a favore dell’obbligatorietà delle cinture di sicurezza? Si dirà che l’uso dell’argomento è erroneo perché non è detto che tali esiti accadano e ci possiamo sempre arrestare a un certo punto della china.
La legge in discussione impone l’ennesimo passo avanti in un Paese che non ha quella tradizione e che potrebbe tranquillamente frenare, secondo un principio di prudenza e senza incrinare l’adesione a un liberalismo più cauto e comunitario. La pura autodeterminazione esalta la direzione di solitudine sociale verso la quale siamo già incamminati da decenni e la nuova legge aumenterà questo senso di marcia in cui, scollati gli uni dagli altri, tendiamo a “rotolare da soli” (Putnam), incapaci di trovare valori comuni e ragioni comuni per vivere e ora anche per morire, e dunque destinati a risolvere tutto nei tribunali, dove non a caso finisce molta della politica occidentale. Non normare alle volte significa lasciar spazio al dialogo – in questo caso tra parenti e medici – ritrovare considerazioni comuni e fiducia sociale. L’idea che la libertà sia quella di dubitare della ragione di tutti gli altri esseri umani non pare molto promettente per un popolo che avrebbe invece bisogno di coesione sociale e di fiducia e che invece, in nome della libertà assoluta, si ritrova sempre di più in libertà vigilata.
(tratto da Il Foglio)
E giààààààààààà !
Io mi voglio sposare con la m ia cagna!!!
Viva la libertààààààààààààà!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!