RIFORMA COSTITUZIONALE: PARLA IL TALEBANO
Contenuti, non fuffa
Non dubitiamo che proporre di costruire un muro tra noi e Renzi (a spese sue) potrebbe essere una moderna e allettante proposta. Avendo invece a disposizione un referendum, faremo invece qualcosa di ancor più sensazionale: fornire degli spunti DI MERITO per il “no” al referendum p.v.
Sicuramente, uno dei punti maggiormente propagandati della riforma è il risparmio che essa comporterà. Una prima voce di risparmio sono i senatori, che saranno sostituiti da consiglieri regionali. La Ragioneria dello Stato (si noti, organo governativo) quantifica il risparmio in € 49 mln; tale dato corrisponde, però, solo a un’irrisoria parte delle spese del Senato, nemmeno il dieci per cento (nel 2015 il bilancio di tale ramo del parlamento ammontava a 540.5 milioni). Più del novanta per cento delle spese, quindi, non saranno toccate.
Le altre voci di risparmio sono l’abolizione del CNEL, e la previsione del “tetto” imposto agli emolumenti dei consiglieri regionali nel limite dell’importo di quelli attribuiti ai sindaci. Inserire, quindi, il “contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni” nella rubrica della riforma e nel quesito referendario pare, alla luce di quanto detto, generoso. Rubrica che, a ben vedere, non cita passaggi ben più importanti della riforma (come la modifica della procedura di nomina dei giudici costituzionali), citando quello del “risparmio dei costi della politica”: manovra che sarebbe stata definita “populista” se, ovviamente, non fosse di matrice PD.
Il Senato sarà composto da senatori part-time privi di legittimazione democratica (sic!). I senatori saranno cento, di cui novantacinque nominati (non eletti) dai consigli regionali, e cinque nominati (non eletti) dal Presidente della Repubblica. I “senatori regionali” cesseranno dalla carica senatoria contestualmente alla cessazione dalla carica consiliare; sostanzialmente, alcuni senatori cambieranno ogni sei mesi. Questo, come d’evidenza, porterà una notevole semplificazione e velocizzazione dell’attività di questa camera – oltre a favorire la responsabilizzazione dei suoi membri (io tra due anni me ne vado e nessuno qua m’ha manco eletto). Il fatto che i senatori non vengano più eletti pare coerente col fatto che la sovranità popolare, ultimamente, non fornisca più le soddisfazioni sperate e debba quindi essere arginata. In tal senso si spiega anche la decisione di triplicare le firme necessarie per l’iniziativa legislativa popolare (da cinquanta a centocinquantamila).
La rappresentatività territoriale del Senato sarà un’utopia. Premesso che non si comprende il mantenimento dei senatori “a vita”, o come essi si possano integrare in un organo che la riforma indica come quello deputato a rappresentare le istituzioni territoriali, il vero problema è la configurazione interna dello stesso. Nel suo omologo tedesco infatti, i rappresentanti delle entità federate sono riuniti per territori (non per partito) e sono obbligati ad esprimere un voto unico per ogni Land. L’idea è che, così, i rispettivi membri votino in virtù dell’interesse del territorio che rappresentano, e non in base al colore politico. In Italien, invece, continueremo ad avere senatori lemming che votato su direttiva del partito di appartenenza.
La riforma è, poi, pesantemente centralista: riporta sotto competenza statale esclusiva alcune materie precedentemente affidate alle Regioni, come politiche sociali, tutela della salute, governo del territorio, ambiente e turismo. È più adatto un senatore pugliese a governare le langhe di un consigliere piemontese? O un senatore altoatesino a promuovere le saline di Marsala rispetto a un siciliano? Evidentemente qualcuno ritiene di sì.
A conferma della svolta centralistica, è stata anche introdotta una clausola di supremazia, la quale prevede che, su proposta del Governo, lo Stato possa legiferare anche dove non gliene fosse attribuita la competenza, qualora lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale. Si tratta di formule aperte cui spetterà al governo di turno dare un’interpretazione, e alla Corte Costituzionale correggerla (anche qui, con positivi effetti sull’efficienza legislativa). Ovviamente, il vincolo di mandato (almeno per i senatori, che dovrebbero tutelare le realtà locali) rimane un miraggio.
A proposito di efficienza legislativa, si potrebbe pensare che un Senato depotenziato poterà a leggi più rapide. Conviene innanzitutto notare che il Parlamento italiano ha licenziato 230 atti legislativi nel 2015, 206 nel 2014, 169 nel 2013. Ad oggi, il 2016 conta già 206 atti legislativi. Veramente in Italia abbiamo un problema di sottoproduzione legislativa? O, magari, il problema è nella qualità? Ciascuno risponda secondo coscienza. Coloro che, comunque, ritengano che leggi più numerose e veloci siano la soluzione, sappiano che la riforma su cui si vota non si muove in tal senso. I procedimenti legislativi, infatti, passano dai tre attuali (il procedimento normale, quello di conversione dei decreti legge e quello costituzionale) a otto. Non esisterà nessun procedimento monocamerale, ma solo cinque tendenzialmente monocamerali. La confusione procedurale che nascerà dall’applicazione di una o dell’altra procedura finirà ovviamente ad ingrossare i numeri dei ricorsi presso la celerissima Corte Costituzionale.
Senza citare il fatto che il Senato legifererà paritariamente insieme alla Camera nei casi di
- leggi di revisione della Costituzione e altre leggi costituzionali
- leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche
- referendum popolari
- le altre forme di consultazione di cui all’articolo 71 (e.g. referendum consultivo)
- le leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni
- per la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea
- leggi che determinino i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di senatore.
Forse il Senato o lo si riformava seriamente, o era meglio eliminarlo.
Se il quesito fosse stato suddiviso, io avrei pensato di votare sì ad alcuni punti (per esempio, l’abolizione del CNEL). Avendo però il governo scelto la strada opposta, si devono soppesare i pro e i contro; nella mia opinione, i secondi surclassano i primi. Voterò, quindi, no.
AC
Nota della Redazione: per i vincoli di sintesi che la comunicazione web ci impone, l’autore ha evidenziato solo alcuni punti della riforma,omettendo ogni riferimento bibliografico. Chi volesse approfondire punti della riforma o le fonti bibliografiche, può esprimere le proprie richieste o perplessità commentando l’articolo. Cercheremo di rispondere tempestivamente.
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