IL BESTIARIO, LA RIVISTA CHE SE NE FREGA DEI FRONZOLI
Contenuti, non minchiate da designer
Ogni epoca teatro di cambiamenti radicali è stata fertile madre di giovani riviste letterarie, considerate durante la loro vita come opere di nicchia e diventate invece, nel corso dei decenni, punti di riferimento indispensabili per comprendere appieno lo spirito critico di chi ha vissuto “quel passato”, ampie e luminose finestre cartacee da cui ancora oggi ci si può affacciare per respirare l’aria di quegl’anni. All’alba del ‘900, quando i venti del cambiamento cominciavano a spirare con incalzante insistenza e crescente vigore, sono nate tutte quelle riviste italiane che ci hanno lasciato un mosaico di istantenee che, se raccolte e incastrate, delineano i tratti delle ideologie dominanti del Novecento. Che, come incubratici del pensiero, delle analisi e della critica sociale, hanno tenuto in vita con il loro cordone ombelicale le strutture ideologiche di quel momento storico.
Narratori che hanno raccontato l’Italia, usando sia la sferza che l’ironia o la satira, sono stati Mino Maccari con “Il Selvaggio”, Leo Longanesi con “L’Italiano”, ma anche Prezzolini, Papini, Malaparte, Palazzeschi, Soffici, che poi vennero ripresi in diverse gradazioni da Parise, Pasolini e Flaiano.
E oggi? Oggi chi ha il coraggio di assumersi, essendone in grado, il compito di raccontare l’Italia entrata nel secondo millennio? Di romanzare, magari, l’italiano tipo (esiste ancora?) che si è ritrovato negli anni 2000? Sono i giovani de Il Bestiario degli Italiani, un progetto editoriale, sotto la direzione di Lorenzo Vitelli, Carlotta Correra e Andrea Chinappi, che si iscrive in perfetta continuità con il quotidiano online L’Intellettuale Dissidente e la casa editrice Circolo Proudhon, che distribuisce le pubblicazioni.
Ma perché c’è da credere che questa rivista letteraria possa, tra qualche generazione, rappresentare nel futuro quello che oggi rappresentano per noi i progetti editoriali di Maccari e Longanesi? Perché dai tre numeri usciti finora, dagli scritti di coloro che prendono parte a questo coraggioso progetto, si percepisce fin da subito che l’obiettivo del Bestiario non è poi irraggiungibile.
Quale? Niente di più semplice e, nello stesso tempo, di più difficile che far riscoprire il senso dell’essere italiani, delle nostre tradizioni e dei nostri costumi; interrogarsi sul chi siamo, su cos’è l’Italia, sul percorso che dovremmo intraprendere e, in controluce, su quello che invece saremo, salvo miracoli, costretti a seguire. Il Bestiario è una rivista strapaesana ma non nazionalista, perché il nostro Paese è anche quello raccontato da Tornatore in «Nuovo Cinema Paradiso» e, prima di lui, dai film di Germi, di Rosi, di Zurlini, di Monicelli, del primo Fellini: quello delle piazze e dei campanili, da raccontare con un linguaggio privo di retorica o di barocchismi. Il compito è quello di rievocare un’Italia e la sua gente, che non ci sono più. E di provarne nostalgia. Per contrasto delineare il profilo degli italiani del XXI secolo, ricercare i suoi tratti caratteristici nel mondo di oggi. Questa è la vera, grande sfida de Il Bestiario: un nome che, come spiegato sul sito della rivista, indicava, nel Medioevo, una particolare categoria di opere didattiche che descrivevano la natura di animali, reali e immaginari, da cui trarre insegnamenti morali e religiosi. E come raccontare, se non con questo splendido artificio suggerito dal passato, la natura della nostra gente? Di questo variopinto catalogo di tipi umani, unico, perché italiano?
Nell’ultimo numero della rivista Lorenzo Vitelli intitola il suo scritto “Dio stramaledica i creativi”. E non c’è grido stentoreo più giusto, perché non ne possiamo più di una “creatività che non ha più niente a che vedere con l’ideazione di qualcosa di veramente innovativo” ma che piuttosto “segue un rigido percorso formativo”.
Allora al diavolo il solito schema che presenta come necessari il percorso “facoltà di comunicazione, design (interior, product e graphic), corsi di specializzazione e master, e viva i giovani de Il Bestiario.
Guido Dell’Omo
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