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CARO FUSARO, SOTTOVALUTI HEIDEGGER

(Non che la cosa ci faccia schifo, anzi...)

Se per un verso è indubbio che nella filosofia di Marx, rispetto al pensiero di Heidegger, sia presente un maggiore potenziale rivoluzionario derivante dalla sua natura dialettica e antitetica, è altrettanto indubbio che attualmente la storia ha dato ragione ad Heidegger, convinto del trionfo della civiltà della tecnica, piuttosto che a Marx. D’altronde l’idealismo in cui Fusaro e Cacciari collocano a ragione Marx, già all’epoca di Heidegger aveva dimostrato i suoi limiti sia sul piano pratico, che su uno teorico. L’idealismo si pose infatti nel solco della cosiddetta “svolta copernicana” attuata da Kant, nella quale viene rivendicato il ruolo del soggetto come momento fondamentale per la lettura del reale: la realtà non è cioè un’evidenza che si impone semplice dall’esterno, ma piuttosto qualcosa che viene costantemente filtrato dalle strutture del soggetto, che acquisisce così un ruolo di primo piano nella relazione con l’oggetto. Non è più la “realtà” a trascendere l’uomo, ma è l’uomo (forte dei suoi “filtri” biologici, psicologici e culturali)  che determina l’aspetto della realtà. Da qui alla teoria fichtiana dell’”Io” che pone il “non io”, ovvero ciò che è altro da me, il passo è breve.

L’idealismo ha quindi il grande merito di evidenziare il peso e la responsabilità dell’azione umana sulla costituzione della sua condizione, ponendo le premesse per comprendere ed eventualmente entrare in polemica (nel senso originario di conflitto) con l’andamento dei processi storici e sociali. Sia Hegel che Marx sono continuatori di questo modus cogitandi, entrambi teorizzano una struttura del reale e dei suoi equilibri di forza nell’ottica della costruzione di una società migliore. Marx in particolare vanta una certezza che potremmo definire “metafisica”,  in quanto ritiene di aver sviluppato un metodo che condurrà l’umanità alla sua emancipazione. La natura di questo spirito riecheggia nelle parole di Fusaro quando afferma:  l’essente è l’esito mai definitivo e sempre trasformabile della prassi umana che si determina oggettivamente. Fatum non datur.”. Da un lato non si può che concordare sulla natura transitoria e mutabile dell’essente, ma l’accento posto sulla prassi umana e la sua facoltà di determinarsi oggettivamente ci conduce all’errore chiave già presente in nuce nell’idealismo, ma che arriva a completa maturazione solo con Marx: l’assoluta fede nell’uomo che conduce alla cieca fiducia nella scienza e nelle sue capacità di oggettivazione.

Paradossalmente l’idealismo nasce proprio come momento di rottura rispetto alle tesi di oggettività del reale, ma con Marx finisce col chiudersi nuovamente in una teoria di certezze fittizie. L’idealismo in cui giustamente si colloca Marx giunge infatti alla costruzione di un sistema incentrato sull’interpretazione del soggetto, che ha però la pretesa di poter fornire una lettura scientifica dei processi in atto, ovvero una previsione certa dei loro esiti, assecondando una lettura “tecnica” della realtà. Quando Marx infatti concepisce la sua visione classista della società, prevede di là da di ogni dubbio, quasi si trattasse di una formula chimica, l’inevitabile rivoluzione che la classe proletaria sfruttata compirà a danno della borghesia. Siamo quindi di fronte ad una vera, o pretesa, scienza sociale in senso proprio: in altre parole ad una fede assoluta nel progresso umano e nel processo storico. Una visione “defatalizzante” molto singolare, caro Diego.

Fusaro, come ben sappiamo, non accetta in blocco il pensiero di Marx, ma sotto questo aspetto, così come in altri, non si può evitare di cogliere una contraddizione evidente che affonda le sue radici proprio nel nucleo di questa filosofia. Ciò che vi è di salvabile dell’esperienza idealista, ovvero sottrarre alla realtà il suo aspetto oggettivo e autoritario, sembra essere storicamente antecedente a Marx stesso, mentre è proprio sulle caratteristiche peculiari del filosofo di Treviri che si evidenziano i punti più critici di questo sistema di pensiero. Heidegger d’altronde non rinuncia certo alla svolta attuata da Kant (non dimentichiamo che stiamo parlando del padre dell’ermeneutica), ma al tempo stesso non può certo accettare, a distanza di decenni e al netto di un evidente fallimento nelle previsioni, l’idealismo del secolo precedente. Certo, nella famosa citazione heideggeriana “ormai soltanto un Dio ci può salvare”, si può cogliere un senso di rassegnazione, ma in realtà se ne potrebbe dare più di una interpretazione: per esempio che ad uomo che abbia rinunciato alla dimensione del sacro e della tradizione (come lo stesso Marx incitava a fare, ricordiamolo) sarà sempre precluso un reale cambiamento. Nell’insegnamento dell’esistenzialismo Heideggeriano lo scopo del nostro autentico esserci è infondo prendersi cura dell’esistenza, quindi tutt’altro che la rassegnazione, e che, di conseguenza, senza un’autentica rivoluzione dell’uomo, la rivoluzione della società è destinata al fallimento.

Daniele Frisio

6 Comments on CARO FUSARO, SOTTOVALUTI HEIDEGGER

  1. Horacio Teodoro Parenti // 20 Ottobre 2014 a 18:03 // Rispondi

    Il delirio interpretativo di Fusaro e Cacciari. cambiano il senso de la parola idealismo. atribiuiendola ad un realista come Mark. ..L’opposto al idelismo è il realismo..Il realista afferma che la realtà e independente del soggetto… Per l’idealista ‘ una costruzione del soggetto. .
    Realismo ed idealismo sono convetti gnosiologici, non metafìsici.

  2. Daniele Frisio // 21 Ottobre 2014 a 10:06 // Rispondi

    Marx realista? E perchè mai? Marx ritiene, da buon idealista, che la realtà non sia indipendente dal soggetto, ma al contrario che sia costituita proprio dal soggetto (che ne è quindi responsabile)…

  3. Paolo Chiasera // 24 Ottobre 2014 a 11:34 // Rispondi

    Cara redazione non dimentichiamoci di Costanzo Preve che per primo ha lavorato sul Marx idealista e anche per questo e’ stato silenziato dalla sinistra Saluti Paolo chiasera

  4. Aggiungerei anche (ne ho discusso personalmente con lo stesso Fusaro) che l’idealismo così come estremizzato da Marx e dallo stesso Hegel conduce – potrà sembrare un paradosso – all’evoluzionismo dello spirito, ergo al relativismo etico.
    In tale ottica i precetti morali non sono assoluti e necessari ma rappresentano anch’essi il frutto del costante processo dialettico della ragione umana la quale non riconosce null’altro principio e verità assoluta al di fuori di se stessa.
    Il passo per l’adattamento o l’estremo sacrificio dei valori etici alle ragioni della tecnica è dunque molto breve.
    Fusaro al riguardo opina che il “solo un Dio ci può salvare” in realtà debba essere letto come “neanche un Dio ci può salvare” ma devo dire che (nonostante la stima enorme che nutro per Diego) le sue argomentazioni al riguardo non è che mi abbiano convinto.
    Questa almeno è la mia opinione ma mi piacerebbe sentire anche quella dell’autore dell’interessantissimo articolo.

  5. Simone D'Aurelio // 3 Dicembre 2023 a 13:48 // Rispondi

    Condivido gran parte dell’articolo, solo che Kant in realtà fa una svolta, ma solo parziale. Al di là della sua ignoranza sul discorso della metafisica dove ne esce fuori un risultato da un lato errato e da un lato giustificabile (che verrà ripreso solo Nella parte negativa nella storia della filosofia), per il resto diciamo che la sua tesi risulta problematica. Come è stato ben detto anni fa Kant è stato troppo influenzato dalle scienze positive del tempo, ipotizzando che ci sia una perfetta analogia tra quelle e tutto il resto ignorando per mancanza di studi quella che gli scolastici definivano la “funzione del reale”.

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