Esser terroni e votare Lega? Si può (parola di diversamente padano)
La Lega Nord candida Tony Iwobi alle Regionali. Un candidato nero. Si, come il carbon. Con quel nome che fa molto gangster anni 20… che in un romanzo di Mario Puzo sarebbe chiamato Tony U Nigru, e avrebbe come minimo un sigaro in bocca. E che invece, nella realtà, è un tranquillo assessore leghista ai servizi sociali in un altrettanto tranquillo comune della Lombardia, quella lontana da riflettori, long cocktails e lounge bar. “Negro??” – “Leghista??” – ” Non c’è più religione!”. Stupore.
Questo pezzo è dedicato a tutti voi che siete terroni, mezzi terroni, negri, o Dio solo sa cos’altro. E che per questo, o vi precludete a prescindere la possibilità di comprendere il leghismo, o vi sentite imbarazzati perchè lo capite ma non potete sostenerlo perchè pensate che quelli ce l’abbiano con voi. A dedicarvelo è uno di voi. Ma anche uno di loro.
Non c’è leghista più leghista di un terrone. Perchè, mentre i polentoni sono via via andati ad infilarsi in quell’internazionalismo globale per cui “io sono figlio del mondo e il mondo è la mia casa”, il terrone ha preservato un fortissimo senso di appartenenza verso la propria terra. Mentre i polentoni sostituivano la loro lingua con slang anglofoni e/o esotici a causa del virus esterofilo, i terroni si ostinavano (da buone teste dure) a parlare il dialetto, continuando a preferire “u” a “the”. Perchè mentre i polentoni vanno al sushi e bevono cosmopolitan, i terroni grigliano carne e trincano vino.
Il milanese è prima globale, poi europeo, poi italiano, e infine – se avanza tempo – milanese. Il reggitano è prima di Reggio Calabria, poi calabrese e poi – se avanzano soldi – italiano europeo globale e sti cazzi. Se si va dal reggitano a proporgli di sostituire la soppressata con il sushi, il vino con il cosmopolitan e il calabrese con l’inglese, se ti va bene ti dà del frocio e se ti va male ti spara. Ricorda un pò il padano delle valli.
Ecco dunque una prima ottima motivazione per cui un terrone può sentirsi leghista: perchè la Lega è l’unica che ancora si batte per il diritto del milanese di sentirsi milanese e quindi- indirettamente – del reggitano di sentirsi reggitano. Perchè rivendicare la tutela delle tradizioni e delle culture locali va a beneficio di tutti coloro che coltivano un senso di appartenenza.
Il problema, dicono tutti i miei amici terroni, è che la Lega se la prende con i meridionali. Io, da terrone di sangue, dico: come darle torto. Perchè ogni meridionale che conosce e ama la propria terra, non può non rendersi conto della situazione in cui versa, nè del fatto che alla base vi sia un problema culturale e di mentalità che riguarda ogni singola persona. Come si accorgono immediatamente tutti coloro che dal Sud migrano al Nord. Basti pensare alla differenza nella diffusione del volontariato tra le due realtà, per capire come “Giù” ci sia la mancanza di senso comunitario e solidale, per cui lo scopo è fare il minimo indispensabile per sopravvivere come singolo, sfruttando il lavoro degli altri. E l’espressione-tipo diventa Mi ndi futtu (Me ne fotto).
Si potrebbe andare avanti per ore, ma il concetto è chiaro. Chiunque creda nel senso di appartenenza, nel valore delle tradizioni, nella salvaguardia delle culture locali e nella promozione delle specificità e delle identità territoriali, non può che guardare con favore al movimento leghista. Padano o terrone che sia. Chiunque ami il Sud e ne voglia la sua liberazione dai mali che lo affliggono, non può che voler spezzare le catene dell’assistenzialismo, del menefreghismo e dell’individualismo che lo infettano e deve dunque sostenere chi chiede al Meridione un’assunzione di responsabilità.
La battaglia della Lega non è contro le persone del Sud, ma contro la mentalità prevalente nel Sud. E ogni persona onesta e oggettiva del Sud, sa bene che è questa mentalità a distruggere il Sud. Sta dunque a voi/noi diversamente padani avere il coraggio di uscire dagli schemi e ragionare sui contenuti, affinchè il Sud e il Nord non continuino ad esser governati da progetti politici che alle rivendicazioni identitarie e localiste rispondono un costante e cettolaqualunquiano: “NTO CULU!”.
Vincenzo Sofo
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