Colate di cemento sulle nostre coste
di Barbara Leva
Lo slogan di un personaggio del cinema diventa politica? No, la politica diventa slogan cinematografico. Abbiamo le leggi e non abbiamo il controllo sulla loro applicazione, quindi i furbi ignoranti versano cemento su cemento e occultano il nostro patrimonio paesaggistico; siamo in crisi economica, ci servono soldi, sempre più soldi, e dunque che fare? Perdonare le offese al Paese, premiare gli assassini. Non ci smentiamo mai: tuteliamo i potenti, siano loro parlamentari o costruttori, e puniamo i deboli, siano ladri per bisogno o splendide coste.
Si parla tanto di Costituzione da difendere. Per chi non conosca l’articolo 9, eccolo: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.” Il riconoscimento del valore culturale del patrimonio ha origini antiche, chi volesse leggere la mia Tesi di Laurea Magistrale troverebbe una valida dimostrazione di come gli oggetti simbolo di storia, natura, civiltà vengono riconosciuti e poi tutelati.
Non vi sottopongo al flagello. In sintesi, i luoghi storici in cui il patrimonio viene riconosciuto sono: l’impero romano, che applica leggi severissime contro la manomissione, il furto, il possesso…; i Comuni, che emanano bandi a favore del decoro pubblico e del rispetto della cosa di tutti; lo Stato della Chiesa, primo stato moderno a tutelare il ritrovamento di bene archeologico, a punire il furto, la falsificazione; a seguire a cascata, tutti gli Stati moderni preunitari, fino a giungere all’Italia unita e alla legge Bottai, del 1939, raccolta organica delle leggi precedenti e punto fermo per la legislazione a seguire. Il Testo Unico del 1999 in materia di Beni Culturali e Paesaggistici ricalca quasi alla lettera la legge fascista. Solo nel 2004 qualcosa nella disciplina muta: siamo sotto il governo Berlusconi, Tremonti è ministro all’Economia e nel Codice compare la Patrimonio s.p.a., società per azioni incaricata di vendere
il nostro patrimonio.
Come ha bene osservato Salvatore Settis in diverse occasioni (si veda la sua bibliografia), il nostro patrimonio è sia visibile che latente. Quello visibile non viene adeguatamente tutelato e valorizzato (nonsotante il decreto legislativo 112 del 1998 all’articolo 48 indichi questi compiti come propri degli organismi centrali e periferici, in una maniera che qui non mi dilungherò a esplicare), mentre quello latente rimane occultato perché richiede troppi sforzi per essere reso pubblico, un tesoro che nessun pirata si prende la briga di dissotterrare. Quindi, il nostro patrimonio in stato di decomposizione avanzata viene ritenuto dai governi (plurale: la cartolarizzazione è di Berlusconi, prevista per vero già da Veltroni nel 2002, quanto il condono è stato di Craxi nel lontano 1985) come un ammasso inutile, che assorbe le spese di mantenimento e che non permette di guadagnare. Ed allora si perdona chi disprezza, perché almeno porta soldi.
Non voglio, per una volta, limitarmi a constatare la scorrettezza morale del ragionamento tutto centrato sul ritorno immediato e su un concetto ancora più grave: il non riconoscimento del patrimonio e conseguentemente della cultura come un qualcosa di tutti, ma anzi la loro lettura come robe di nessuno, vecchie, e in una civiltà concentrata sul domani, sul giovane,
sull’efficace se è ricco, l’appartenenza a un passato in grado di educare spiritualmente non interessa più. Non per niente gli Stati pre unitari e il governo fascista, culle delle leggi a favore del patrimonio, erano istituzioni centralizzate, tese a conservare ciò che apparteneva a ieri per legittimare il presente e rendere ricco di contenuti morali il domani.Voglio solo, io che di economia non capisco nulla, far presente che un pezzo di costa in meno fa guadagnare subito, un museo chiuso fa risparmiare sulle spese immediate, ma una valorizzazione costante sul lungo periodo permette un guadagno minore ma elevato sul lungo periodo.
Il Belpaese, penisola di glorie patrie, venduta per una valuta che non ci appartiene neppure in toto. Si diceva “Francia o Spagna purché se magna”. Un tempo le potenze straniere lottavano per il nostro territorio e noi ci siamo saputi difendere. Oggi, come gazze ladre miopi, ci svendiamo, e nessuno ci vorrà più, neanche per un week end di alta stagione.
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