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Conciliare la Lega e l’unità d’Italia è possibile

di Sintesi Milano

Si può essere leghisti senza opporsi alle celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia. Le continue polemiche di questi giorni mostrano come la maggior parte degli italiani abbiano voglia di sentirsi tali il 17 marzo, fremono dalla voglia di festeggiare. Ed è proprio questo il primo motivo per cui, pur essendo leghisti, non siamo contrari a questa festività: gli italiani finalmente si ricordano che può esserci un popolo. Improvvisamente tutti pronti a battagliare e se necessario morire per salvare il proprio Paese e il proprio popolo dalla perdizione. Nessuno immaginava che bastasse istituire un giorno di festa per accendere tanto patriottismo, ma tanto meglio… anzi, se è così proponiamo di istituirlo ogni anno… o ancora 365 giorni l’anno. Il nostro malcontento infatti non nasce dal dover far parte di una patria, bensì dal dover far parte di una nazione che patria al momento non è. Spieghiamo meglio.

Tutto questo fervore pro-Italia non ci sembra del tutto sincero. Ha qualcosa di artefatto, lo percepiamo più come una moda data da una ricorrenza inusuale (in fondo cade ogni 150 anni). Un po’ come avvenne nel 2006, quando tutti giravano sventolando il tricolore… ma non era un’insurrezione popolare, erano i mondiali di calcio. E infatti ci viene in mente che fino a poco tempo i calciatori venivano supplicati affinchè cantassero l’inno prima della partita. O che solo qualche decennio addietro sentivamo dichiarazioni di nostri politici che rifiutavano il tricolore riconoscendosi solo nel vessillo sovietico. Che tutt’ora vi sono fortissime rivalità campanilistiche tra città o paesi confinanti. Che gli italiani negli anni 40 si spaccarono in due in occasione di una sanguinosa guerra civile tra fazioni contrapposte, i cui strascichi sono durano ancora oggi. Ma se, almeno per un giorno, gli italiani vogliono fingere di sentirsi ITALIANI, ben venga.

Questa festa, può essere utile a noi, alla Lega. Perché in un giorno, un anno, in cui la gente ha voglia di sventolare il tricolore, brindare a Mazzini e Garibaldi, sentir parlare di Italia vuol dire porne sotto la luce dei riflettori pregi e difetti. Sarà più facile sollevare le seguenti questioni: che cosa è stato effettivamente fatto in questi 150 anni? E’ veramente questa l’Italia che vogliamo? E’ veramente unita l’Italia?

La risposta a questi quesiti è per noi scontata: ci troviamo in un sistema che non ci piace, perciò fatichiamo ad accettare di dover festeggiare questa Italia. Non ci piace perché ci troviamo in un meccanismo dominato da delinquenza e corruzione; non ci piace perché questa Italia è stata fondata sull’assistenzialismo; non ci piace perché se n’è fregata della questione meridionale; non ci piace perché la maggior parte della classe politica/partitica che dovrebbe rappresentarci è in realtà completamente slegata dal territorio. E’ una lobby. Tornare indietro e ri-frammentare un territorio che, seppur con molte pezze, siamo riusciti più o meno a tenere incollato per un secolo e mezzo ci sembra una via poco probabile (per certi versi antistorica). Dobbiamo dunque concentrarci per trovare un modo di migliorare il sistema esistente.

A nostro avviso è innanzitutto errato fossilizzarsi sul concetto di Italia, intesa nella sua accezione nazionalista di derivazione ottocentesca: la nazione così come viene intesa non è altro che un lembo di terra racchiusa da confini stabilite in seguito a guerre e ad accordi. Confini che in questi 150 anni sono mutati; confini che oggigiorno includono persone che non si sentono parte dell’Italia e che addirittura neppure parlano la lingua italiana. Il problema è che la nazione definisce un contenuto che però, preso così, resta vuoto. Per riempire questa “scatola” bisogna invece ricorrere ad un altro concetto, ossia quello di PATRIA. Questa sta ad indicare un insieme di persone unite da una cultura, una tradizione, una lingua/dialetto, delle usanze comuni. Ciò che definisce un popolo.

Ma in questi 150 anni una patria non è stata ancora creata. Di certo non ha aiutato la storia della nostra penisola, da sempre divisa in tre tronconi (nord – centro – sud) anche per la presenza dello Stato della Chiesa, il quale ha impedito che avvenisse l’unione tra queste aree: infatti, dopo il declino dell’impero romano, la chiesa per diversi secoli è stata una vera e propria potenza politica. Amministrava un suo (vasto) territorio, incideva sulle sorti dei vari sovrani (influenzandone l’avvento o la cacciata), impediva che le forze straniere riuscissero a dominare l’intera penisola. In conseguenza a ciò, ognuna delle tre zone citate ha sviluppato una sua cultura, delle sue tradizioni e delle lingue proprie. L’età dei comuni ha poi contribuito ad acuire le distinzioni tra singole realtà locali. La formazione di un unico popolo non è stata neppure agevolata dalle dinamiche risorgimentali: l’unificazione dell’Italia non è stata frutto di un sentimento unitario avvertito in tutte le popolazioni del Bel Paese, che si sono unite tra di loro per un comune scopo… è stata un’azione intrapresa da una parte di esse ed imposta con la forza a coloro che invece erano contrari.

In questo secolo e mezzo tutte queste questioni sembrano essere state ignorate, così come non sembra esserci stato un interesse a rimediare. Ora, la domanda è: come si può provare a creare finalmente un unico POPOLO? Semplicemente prendendo atto del fatto che in Italia esistono molte realtà, molto diverse tra loro riguardo ai parametri prima citati. La soluzione auspicata è esattamente la stessa che prospettiamo per l’Europa: una federazione di popoli uniti da un comun denominatore, dato dai valori e dallo scopo perseguito. Una federazione di popoli ai quali vengano riconosciute le proprie specificità, in nome del contributo culturale/sociale che hanno dato (e continuano a dare) per la creazione di un’identità nazionale ricca, complessa e per questo affascinante. Per far ciò è necessario ricostituire anche il senso dello Stato e dell’appartenenza, compito che spetta alla politica: quest’ultima deve ripulirsi e rigenerarsi per riconquistare la fiducia del suo popolo sovrano.

Ecco dunque perché noi, pur essendo leghisti, accettiamo di celebrare i 150 anni dell’unità d’Italia: perché crediamo nelle patrie (cosa diversa dall’essere nazionalisti) e pensiamo che questo giorno e quest’anno possano fungere da spunto per ricordare ciò che NON è stato fatto ma che è necessario fare… per trasformare questa penisola da contenitore a PATRIA.

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