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Il vero motivo della protesta universitaria

In questi giorni sono tornati alla ribalta i giovani, studenti ed universitari. E anche non. Tutti uniti contro la riforma dell’università proposta dal Governo e appena approvata alla Camera.

Si tratta di una riforma che certamente non soddisfa a pieno tutte le esigenze e le necessità di miglioramento, ma che tuttavia presenta dei punti interessanti e avvia un processo di razionalizzazione delle risorse. In poche parole, che agisce abbastanza bene sul piano della lotta agli sprechi e alle baronie, ma che non tocca il cuore dell’università, ossia i contenuti dell’insegnamento. Insomma, una riforma a metà colpevole di non destinare risorse economiche aggiuntive oltre che di non aumentare le assunzioni. Ma su questo non si può chiedere molto… la crisi economica incombe.

Tuttavia, a quanto vediamo da giornali e televisioni, le proteste sono durissime. Scontri, sassaiole, occupazioni, leader politici che salgono sui tetti. Basta partecipare ad una delle tantissime manifestazioni per percepire la ferocia dei partecipanti. Ma anche per rendersi conto del fatto che, nella sostanza, nessuno abbia la minima idea dei contenuti della riforma. E, ancora peggio, accantonate le critiche nessuno abbia in mente proposte alternative. O meglio, quando viene chiesto agli studenti che cosa si dovrebbe fare, le proposte non discostano di molto da quelle portate avanti da Governo.

A questo punto molti diranno che la verità è che i giovani vengono strumentalizzati: verissimo, è abbastanza palese. Ma c’è dell’altro, e per rendersene conto basta chiedersi: come mai i giovani si fanno strumentalizzare così facilmente? Semplice. Il giovane di oggi vive in un contesto di costante repressione, dovuta al fatto che il perbenismo dominante impone che venga censurato con rigore ogni atteggiamento fuori dagli schemi. Una semplice, banale ed innocua scazzottata per strada tra ragazzi diviene oggetto di ore e ore di discussione nei salotti televisivi, dove greggi di psicologi, psichiatri e via dicendo si prodigano per lamentare l’imbarbarimento della società.

Il giovane ha bisogno di sfogare la sua vitalità, la sua irruenza, la sua esplosività. Ma la società e la politica hanno una paura folle di questa predisposizione che rischia di rompere la calma e il silenzio che assopisce il popolo. Così, ad esempio, la categoria del graffitaro finisce per godere di maggior disprezzo rispetto a quella dell’omicida e dello stupratore. Né il giovane può trovare più sfogo nella lotta per una ideologia, in quanto quest’ultima è stata bandita dalla contemporaneità come il peggiore dei mali… meglio che le persone restino con la testa vuota di ogni contenuto.

Così cresce l’irrequietezza, che non vede l’ora di manifestarsi e – per farlo – sfrutta qualsiasi occasione: stadio, manifestazioni e via dicendo. E non vede l’ora di trovare qualcuno che le dia la scusa di uscire allo scoperto. Questo, bisogna darne atto, lo ha capito soltanto la sinistra radicale, che ha costruito nel tempo una rete di contesti di aggregazione giovanile tali da calamitare questo stato d’animo. E sfruttare la disponibilità a sposare qualsiasi causa che gli permetta di fare un po’ di casino per catechizzarlo.

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