ISRAELE – PALESTINA: NUOVO JIHAD, NUOVE CONSAPEVOLEZZE

I fatti
Israele ha costruito una massiccia recinzione lungo il confine con Gaza per impedire le infiltrazioni. Si estende in profondità nel sottosuolo ed è dotata di telecamere, sensori ad alta tecnologia e microfoni ultra sensibili. Ma non sono bastati. L’infiltrazione ha segnato un importante risultato, e un’escalation, da parte di Hamas. I militanti palestinesi della Striscia di Gaza hanno approfittato dello shabbat per lanciare un’infiltrazione senza precedenti nel sud di Israele, inviando combattenti attraverso il confine e sparando migliaia di razzi nel Paese, mentre il gruppo militante al potere di Hamas ha annunciato l’inizio di una nuova operazione. Ci sono immagini raccapriccianti che arrivano da Sderot, nel sud israeliano, dove i terroristi palestinesi hanno ripreso durante le operazioni. Corpi trucidati, cadaveri fatti strisciare per strada attaccati alle auto, i morti portati a Gaza per chiedere poi il riscatto a Israele. Un video da Gaza ha mostrato quello che sembrava il corpo senza vita di un soldato israeliano calpestato da una folla di palestinesi inferociti che gridavano “Allahu Akhbar”. L’esercito di Gerusalemme ha messo il Paese in stato di allerta e ha iniziato a colpire obiettivi a Gaza in risposta, ponendo le basi per quello che probabilmente sarà un nuovo pesante round di combattimenti. In una grave escalation, i razzi lanciati da Gaza hanno fatto scattare le sirene dei raid aerei fino a Gerusalemme, mentre sono precipitati nelle zone abitate di Tel Aviv. L’inafferrabile leader dell’ala militare di Hamas, Mohammed Deif, ha annunciato l’inizio di quella che ha chiamato “Operazione al Aqsa Storm”, la tempesta su al Aqsa, la moschea che fa parte del complesso sacro abramitico nel cuore di Gerusalemme.
Lo spettro saudita
Per capire nel suo senso ultimo i drammatici fatti in Israele occorre tornare al 26 settembre. Quel giorno il ministro del Turismo Haim Katz atterra a Riad per partecipare ad un evento delle Nazioni Unite, mostrando al mondo intero con orgoglio la prima (e storica) visita in Arabia Saudita di un membro del governo israeliano. Attenzione però, quel giorno succede anche altro. Accade cioè che Nayef al Sudairi, inviato speciale saudita, arriva in Cisgiordania, con una coincidenza temporale che è decisamente voluta e calcolata. “La questione palestinese è un pilastro fondamentale”, dichiara ai giornalisti dopo l’incontro con il ministro degli esteri palestinese Riyad al-Maliki a Ramallah. “L’iniziativa araba, presentata dall’Arabia Saudita nel 2002, è al centro delle discussioni in corso”. Ma cos’è questo piano ricordato dall’inviato di MbS (Mohammed bin Salman)? Sostanzialmente prevede la normalizzazione delle relazioni con Israele in cambio del suo ritiro dalla Cisgiordania, da Gerusalemme Est, dalla Striscia di Gaza e dalle alture del Golan. Un piano che, va detto con franchezza, non ha mai fatto grandi passi avanti per la freddezza di tutti gli attori di rilievo, compreso Israele. Tanto è vero che la stessa data originale del piano, che a questo punto ha già più di vent’anni, ne dichiara la sostanziale impotenza. Ad ogni modo la visita a Ramallah ha anch’essa qualcosa di storico, almeno in senso relativo, poiché mancava da trent’anni una delegazione saudita da quelle parti. L’avvicinamento di Israele all’Arabia Saudita è dunque il punto centrale di tensione per tutta l’area. Alcuni leader palestinesi hanno definito questi accordi “un tradimento della loro lotta per ottenere uno Stato”, e lo stesso presidente palestinese Abu Mazen, 87 anni, ha detto di avere forti dubbi sui Paesi arabi che stringono legami con Israele. “Chi pensa che la pace possa affermarsi in Medio Oriente senza che i palestinesi abbiano uno Stato, rimarrà deluso”, ha dichiarato all’assemblea generale delle Nazioni Unite a New York. Adesso però siamo già in un nuovo scenario, che è diventato uno scenario di guerra. Diciamo la verità nella sua brutale essenza: Hamas esiste perché una comunità internazionale dentro e fuori il mondo islamico ne sostiene finanziariamente, militarmente e in tema di intelligence le azioni e, soprattutto, ne preserva in vita gli esponenti di spicco. Una rete che coinvolge certamente l’Iran ma che probabilmente va molto oltre, perché basta guardare l’attività di gruppi vari in Africa per capire quanto attive sono le forze che si oppongono ad ogni processo di pace e ad ogni accordo che cerca di stabilizzare le situazioni, in un continente dove ormai sono al potere quasi esclusivamente figure di provenienza militare (spesso aiutate da reparti di mercenari russi).
La fine di un mito?
Ci siamo colpevolmente distratti: l’Ucraina ha fagocitato l’attenzione del mondo occidentale. Niente di impensabile, ammettiamolo, dato che è più “facile” dare attenzione a cosa succede nelle nostre vicinanze.
Secondo i dati dell’Uppsala Conflict Data Program (UCDP), un programma di ricerca sui conflitti realizzato dall’Università svedese di Uppsala, nel mondo si conta che siano in atto 170 conflitti. Con “conflitti” non si fa riferimento solo a quei contesti dove gli eserciti di due Paesi si fronteggiano su ampia scala, ma anche a scontri armati di diversa intensità che possono coinvolgere a vario titolo Stati, organizzazioni criminali e bande armate o la popolazione civile.
170 conflitti tra cui è doveroso ricordare quello che vede come teatro lo Yemen e la perenne “situazione” che coinvolge, per l’appunto, la disputa tra Israele e Palestina. È impensabile, al di là di come la si pensi, poter credere che questo conflitto latente, che ciclicamente si riacutizza, sia assolutamente irrisolvibile: tante sono le ipotesi (gradite/sgradite ad uno o all’altro), ma nessuna condizione sembra mai realmente accettabile. Gli accordi di Abramo, volti all’accettazione dello stato ebraico da parte dei paesi arabi, sono in discussione dal 2020 e rappresentano forse il primo passo nella storia per una reale messa a punto di un piano programmatico di più ampio respiro.
La fine di un mito in realtà risiede nella violenta e repentina disillusione verso le forze di sicurezza israeliane. Ammettiamolo: fin da bambini, grazie anche ai molti film e serie trasmessi, siamo cresciuti con il “mito” del Mossad (l’agenzia di intelligence focalizzata sulle operazioni all’estero) e dello Shin Bet (l’agenzia di intelligence per gli affari interni). Queste, sempre narrate o fantasticate come le forze di sicurezza più capaci al mondo, come hanno potuto prendere un simile abbaglio?
Nelle ultime ore alcuni analisti ipotizzano che l’operazione palestinese sia stata riorganizzata e sviluppata dalle alte sfere dell’Isis sfuggite alla disfatta del Califfato. Se così fosse, ammesso sia veritiero, com’è possibile che Israele non abbia colto tale insidia?
Tante ipotesi sono tracciabili, altrettante responsabilità sono imputabili, un caleidoscopio di possibili evoluzioni del conflitto sono delineabili, ma ciò che forse questa vicenda trasmette maggiormente al “grande pubblico” è la sensazione di impotenza e vulnerabilità che ci attanaglia e che, inevitabilmente, in un mondo ormai interconnesso, non può più essere “declassato” come “regionale”, ma di primaria importanza mondiale.
Arianne Ghersi
Note:
1)https://formiche.net/2023/10/israele-hamas-infiltrata-sud/
2)https://formiche.net/2023/10/israele-hamas-mbs-arabia-attacchi/
3)https://www.buonenotizie.it/attualita/2023/04/10/quante-guerre-ci-sono-nel-mondo-alcune-cose-da sapere/fait/#:~:text=Secondo%20i%20dati%20dell’Uppsala,siano%20in%20atto%20170%20conflitti.
Articolo d’ampio respiro, sulla pericolosissima situazione determinata dagli attacchi di Hamas