GABON: ENNESIMO COLPO DI STATO IN AFRICA

Il fenomeno è eccezionale e non può essere spiegato in modo semplicistico. Guinea, Mali, Burkina Faso, Niger e il 30 agosto anche il Gabon: negli ultimi anni cinque paesi francofoni dell’Africa hanno vissuto colpi di stato militari. Inevitabilmente emergono diversi interrogativi.
Tra le spiegazioni semplicistiche possiamo elencare una semplice epidemia di golpe, un complotto russo o un rifiuto della Francia. Senza dubbio questi ingredienti sono presenti qua e là, a vario grado. Ma bisogna approfondire.
Il punto in comune tra le vicende citate è il fallimento degli stati postcoloniali, creati sotto una forte influenza francese e caratterizzati da due fasi storiche, una autoritaria e l’altra democratica, o per essere più precisi pseudo-democratica.
Nel 1960, quando diverse colonie francesi ottennero l’indipendenza, il presidente Charles de Gaulle e il suo “monsieur Afrique”, il discusso Jacques Foccart, misero in piedi regimi il cui obiettivo era quello di garantire l’influenza francese dietro una facciata di sovranità. Il Gabon è stato la caricatura di questo processo.
Foccart ha raccontato di aver scelto personalmente Omar Bongo (padre) quando il primo presidente del paese, Léon Mba, ha scoperto di essere affetto da un cancro, nel 1965. Bongo, all’epoca trentenne, era il direttore di gabinetto del presidente. Sostenuto da Foccart, ha guidato il Gabon fino alla sua morte, nel 2009. Poi il figlio, Ali Bongo Ondimba, ha preso il suo posto fino al golpe del 30 agosto 2023, arrivato dopo quasi sessant’anni di dominio della famiglia Bongo.
Questo non basta a spiegare il colpo di stato, ma aiuta a comprendere la gioia popolare che ha accompagnato il golpe. Inoltre da questa prospettiva è facile capire l’impasse politica in cui si trovava il Gabon, al pari di altri paesi del continente.
Dopo la caduta del muro di Berlino, François Mitterrand ha vincolato gli aiuti francesi alla democratizzazione del regime. Un escamotage che ha permesso agli autocrati di prolungare il loro dominio, come dimostra in modo lampante il caso dei due Bongo, padre e figlio, ma anche quello di Paul Biya, l’eterno presidente del Camerun. Democrazie senza alternanza, senza contropoteri e senza alcun freno alla corruzione. Ma ora questo inganno politico sta saltando per aria un po’ ovunque.
La Francia ha progressivamente allentato la presa politica. Gli interessi economici francesi nel continente si sono ridotti, con l’eccezione proprio del Gabon. Nel frattempo la Cina si è ritagliata un ruolo di primo piano in buona parte dell’Africa.
Ma ancora oggi sopravvivono l’eredità, il quadro istituzionale e i blocchi politici lasciati dalla Francia, mentre le nuove generazioni non sopportano più di essere mal governate e i militari si presentano come salvatori della patria. Parigi si illude evocando il ritorno di istituzioni che hanno perso tutta la loro legittimità, ma il patto sociale si è rotto, e forse questa è l’occasione di rinegoziarlo.
In queste condizioni, come sottolineava qualche settimana fa il pensatore di origine camerunese Achille Mbembe sul quotidiano Le Monde, “i golpe appaiono come l’unico modo di provocare un cambiamento, di assicurare una forma di alternanza al vertice dello stato e di accelerare la transizione generazionale”. Una tripla necessità che non abbiamo voluto considerare e che oggi esplode, nel bene e nel male.
Otto sono gli aspetti importanti da tener presente per analizzare quanto avvenuto in Gabon:
- I militari sono apparsi sugli schermi di Gabon24 (la all-news locale) per annunciare l’annullamento delle elezioni appena tenute (26 agosto), la dissoluzione delle istituzioni pubbliche e la chiusura dei confini del paese. Come in Niger, tra loro ci sono molti appartenenti alla guardia presidenziale – riconoscibili dal berretto verde – oltre a militari dell’esercito e alti gradi della polizia.
- Alle elezioni, Ali Bongo Ondimba era stato rieletto presidente per la terza volta. È al potere da 14 anni. Potere che aveva ricevuto dalle mani di suo padre, Omar Bongo, che lo teneva dal 1967. Una dinastia piuttosto longeva: “pensione anticipata”, hanno detto i militari.
- I militari insubordinati hanno detto di agire esplicitamente contro il suo “regime” “irresponsabile”, “malato”, “che ha degradato la coesione sociale”. Hanno creato un “Comitato per la transizione e la restaurazione delle istituzioni”. Il loro comunicato sembra copiato pari pari da quello dei militari che hanno preso il potere in Niger poche settimane fa. Decideranno presto – dicono – chi di loro guiderà il Comitato – e dunque il Paese.
- Secondo i risultati ufficiali, Ali Bongo ha vinto la presidenziale con il 64% dei voti (più della metà degli elettori ha votato); il suo rivale Albert Ondo Ossa si è fermato al 31. Il comitato di Ondo ha però denunciato dei brogli (senza prove) e ha invitato Bongo a cedere il potere.
- Nella capitale Libreville si sono sentiti degli spari, ma non c’è notizia di scontri violenti o morti. Molti però avevano già lasciato la città per paura di violenze.
- Tra le reazioni internazionali, spiccano quelle di Francia e Cina, da cui la situazione viene costantemente monitorata. Pechino ha chiesto che l’incolumità di Ali Bongo sia garantita. Il Gabon è un’ex colonia francese e Bongo aveva incontrato Macron l’ultima volta in giugno; 400 soldati francesi sono di stanza nel Paese. Non sembra che Wagner sia connessa in alcun modo agli eventi. Prigozhin non è più fra noi e non sappiamo se avrebbe fatto i complimenti ai golpisti, come fece ai nigerini.
- L’economia del Gabon (2,4 milioni di abitanti) poggia largamente sull’esportazione di risorse naturali come petrolio, manganese e legname da costruzione, destinate in larghissima parte alla Cina. L’estrazione di petrolio e manganese è invece gestita soprattutto da multinazionali francesi come Total e Eramet.
- Più del 90% del Paese è coperto di foresta pluviale, una risorsa che i governi di Ali Bongo hanno cercato di monetizzare vendendo “carbon credits”, cioè certificati che permettono di scambiare emissioni di CO2 con progetti ambientali, a imprese e governi di mezzo mondo.
Un affare che ora passa nelle mani dei militari; “porteremo il Gabon sulla strada della felicità”, hanno promesso.
Il Gabon è uno dei maggiori produttori mondiali di manganese, un minerale particolarmente utilizzato nel settore della siderurgia, dunque di interesse per le potenze di tutto il mondo, più o meno grandi. La Repubblica Popolare Cinese, ad esempio, dipende per il 20% del fabbisogno nazionale di manganese dalle risorse esportate dal piccolo Stato africano, per il quale questo minerale rappresenta la principale fonte di introiti. Il Paese è anche un produttore di petrolio, anche se i livelli di produzione non sono particolarmente alti. Tuttavia, malgrado la bassa produzione relativa (all’incirca lo 0,2% della produzione mondiale), il Gabon è un membro dell’Opec, con tutti i vantaggi e le opportunità che ne derivano. Inoltre, anche i depositi di ferro sono abbastanza diffusi attraverso il territorio gabonese, fattore che rende questo Stato ancora più importante per la dimensione dell’industria siderurgica globale.
Diversamente da Mali, Burkina Faso o Niger, in Gabon non è in corso un’insorgenza jihadista che richiama la presenza militare occidentale. Diversamente dal presidente-ostaggio della giunta di Niamey, Mohamed Bazoum, il deposto Ali Bongo non vanta un passato da leader studentesco o da sindacalista. Non si è distinto per aver cercato, pur con innumerevoli limiti, di promuovere un’agenda di riforme e introducendo elementi di discontinuità dal suo predecessore.
Equiparare il colpo di stato con quanto sta avvenendo in Sahel sarebbe un errore analitico abissale: siamo ormai “abituati” ad ipotizzare che un cambio di regime sia fomentato dalle esigenze russe o da spinte jihadiste ma, in questo caso, potremmo davvero essere spettatori di una sorta di movimento di “liberazione”. La famiglia Bongo è al potere, con alternanza generazionale, da quando il paese ha ottenuto l’indipendenza e l’influenza francese (moneta e lingua) è sempre stata esplicitata. L’incarico ottenuto dal presidente per il suo terzo mandato ha spinto a credere che ci fossero stati dei brogli e si potrebbe ipotizzare che i militari siano intervenuti con la reale esigenza di salvaguardare il processo democratico e non per suggellare ambizioni di potere. Indubbiamente è suggestivo che i colpi di stato avvengano temporalmente e geograficamente in maniera così “ravvicinata”, ma la storia ci insegna che sottovalutare le singole specificità porta spesso a generalizzazioni pericolose e, nel caso delle sigle jihadiste, ciò ha fatto sì che si rafforzassero perché spinte de facto ad un’alleanza ideologica.
Arianne Ghersi
Note:
1)https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2023/08/31/africa-gabon-colpi-stato
2)https://www.startmag.it/mondo/8-cose-da-sapere-sul-colpo-di-stato-in-gabon/
3)https://formiche.net/2023/08/in-gabon-manganese-e-colpo-di-stato-sono-legati-parola-di-torlizzi/
4)https://ilmanifesto.it/il-golpe-diverso-contro-un-regime-putrescente
Mi piace molto l’invito a non generalizzare