PAKISTAN: SULL’ ORLO DEL BARATRO
Nell’aprile 2022 Imran Khan è stato spodestato e il nuovo primo ministro è diventato Shahbaz Sharif. La lotta contro il tempo del primo non è valsa una riconferma perché già all’inizio della crisi politica il nome del suo successore aveva attratto molti consensi.
Shahbaz Sharif è già noto nelle vicende politiche pakistane dato che dal 2013 al 2017 era già stato primo ministro suo fratello, Nawaz Sharif. Quest’ultimo fu rimosso a causa di un grosso scandalo finanziario (Panama Papers, condannato a 10 anni di carcere per l’acquisizione di proprietà immobiliari a Londra) che coinvolgeva anche alcuni familiari.
Il nuovo governo di Sharif è stato composto da una coalizione variegata e piuttosto inedita, i principali partiti che hanno sostenuto il nuovo esecutivo erano: la Lega Musulmana del Pakistan (con a capo il primo ministro) a forte caratterizzazione religiosa e il Partito del Popolo del Pakistan (i cui leader sono il marito e il figlio di Benazir Bhutto). Al di là di ogni considerazione empatica, emerge con prepotenza come in Pakistan esista una forma di “oligarchia”, termine oggi tristemente comune, dato che i clan familiari che ciclicamente si contendono il potere sembrano appartenere sempre a Sharif o Bhutto. Non è un caso che, a seguito della nomina di Shahbaz Sharif, suo figlio Hamza Sharif sia stato eletto capo della provincia del Punjab; si tratta della zona più popolosa del paese dove risiede la metà della popolazione pakistana. Nessuna delle casate è rimasta indenne dalle accuse di frode e corruzione vere o presunte, ma sempre negate. Khan si era appunto posto come “innovatore” perché intenzionato a spezzare la circolarità delle cariche elettive.
La nuova elezione è stata accompagnata da proteste del Pakistan Tehreek-e-Insaf (PTI – Partito della Giustizia del Pakistan) e, nonostante la sconfitta del leader Khan, la composizione del Parlamento si può dire frammentaria: il nuovo premier è stato eletto grazie a 174 voti (due in più della maggioranza necessaria) su 342, ciò fa sì che possano essere varate nuove leggi, ma è indubbio che l’opposizione abbia sicuramente “voce”.
Il 9 maggio 2023 è stato incarcerato Imran Khan, corruzione è l’accusa mossagli. È stato posto in stato di arresto nella sede della Corte Suprema presso Islamabad; sembra che Khan e la moglie abbiano ricevuto in dono un terreno del valore di milioni di dollari. L’elargizione sembra sia una tangente proveniente da un magnate immobiliare e l’effettivo passaggio di proprietà sarebbe da imputare a Fondo al-Qadir, un fondo di beneficenza.
Khan ha negato ogni accusa rivoltagli, grande sostegno è arrivato anche dal suo partito che ha incitato i sostenitori dell’ex primo ministro a scendere in piazza e protestare.
Le modalità della cattura sono state molto discusse: «L’arresto non è valido e l’intero processo deve essere rivisto» e «Che dignità rimane alla Corte se 90 persone fanno irruzione nella sua sede? E come può essere una persona arrestata al suo interno?» ha detto il giudice capo della Corte Suprema, Umar Ata Bandial. Per arginare le polemiche nell’arco di circa 72 ore sono stati consentiti all’imputato gli arresti domiciliari.
La situazione del Pakistan è incandescente: da un lato il politico più popolare del paese sollecita elezioni anticipate per spodestare il suo successore, dall’altra Shehbaz Sharif può contare sul sostegno delle massime cariche militari (l’esercito è l’istituzione più influente del paese).
In questo intricato quadro si staglia anche il ruolo di Pechino: secondo il principio della non interferenza nessun commento è stato pubblicamente espresso ma sicuramente la Cina ha maggior “facilità” nel salvaguardare i propri interessi (grandi investimenti economici) facendo affidamento sull’esercito piuttosto che collaborando con politici eletti non appartenenti alle forze armate. La caratteristica preponderante della politica estera cinese è sicuramente quella di saper comunque trovare spazi di dialogo proficui con qualsiasi governo.
Un aspetto particolare è dato dal fatto che la presenza di Pechino in Pakistan, percepita da alcune frange della popolazione come sfruttatrice, è diventata oggetto di azioni di gruppi armati nazionalisti riconducibili anche a sigle di matrice jihadiste.
La situazione interna del Pakistan è potenzialmente esplosiva, è difficile comprendere se si terranno nuove elezioni e quali saranno i possibili scenari.
Arianne Ghersi
Ineccepibile questo articolo di Arianne Ghersi, sia nella forma che nella sostanza