CINA E AFGHANISTAN: ACCORDO SUL PETROLIO E NUOVI SCENARI
“L’Afghanistan è un vicino comune e un partner di tutti i Paesi partecipanti, e noi formiamo una comunità con un futuro condiviso, legata dalle stesse montagne e fiumi, che sorgeranno e cadranno insieme”[1]. Il 31 marzo 2022 il presidente Xi Jinping, nel corso di una riunione ministeriale dei paesi limitrofi all’Afghanistan a Tunxi, alla presenza dei ministri degli esteri di Iran, Russia, Pakistan, Uzbekistan, Turkmenistan e Tagikistan, aveva già manifestato “sostegno” al governo talebano.
Il 6 gennaio la Cina (rappresentata dall’ambasciatore) ha firmato un importante accordo con l’Afghanistan (l’interlocutore prescelto è stato il Mullah Abdul Ghani Baradar, viceministro dell’economia): il contratto prevede la ricerca e l’estrazione di petrolio da parte della compagnia cinese CAPEIC (Central Asia Oil and Gas Company in Xinqiang). Le operazioni si svolgeranno in un’area di circa 4500 kmq coinvolgendo le province di Ser-i Pol, Faryab e Juzjan. Si stima che l’investimento cinese sia di circa 150 milioni di dollari nel primo anno e che nel successivo triennio saranno stanziati 540 milioni. Il contratto ha durata di 25 anni, ma una clausola prevede la rescissione da parte dei talebani nel caso in cui la Cina non onorasse gli impegni assunti per il primo anno; quale natura abbiano tali obbligazioni non è stato reso noto. Il progetto della Nuova Via della Seta vede quindi un importante sbocco: Wuhan assumerà un ruolo di spicco come “corridoio” per la regione del Badakhshan.
La società cinese aveva già firmato un contratto simile con il governo afghano una decina di anni fa, ma non ha mai iniziato i lavori e il contratto precedente è stato praticamente annullato.
Nonostante le apparenze possano suggerirci altro, la Cina non ha riconosciuto politicamente il governo talebano, ma firmando l’accordo dimostra l’intenzione di penetrare estesamente nella regione.
La Cina, a fronte di un impegno economico così importante, ha richiesto all’Afghanistan di impegnarsi a non accogliere più nella regione dello Xinjiang membri della minoranza musulmana cinese uigura che, da lungo tempo, sono percepiti da Pechino come una spina nel fianco.
Il capo della diplomazia cinese ha anche posto le basi per un serio dialogo con il Ministro degli Esteri del Pakistan e, nel corso di un incontro bilaterale, ha sottolineato quanto sia importante non ricadere nella superata mentalità che ha contraddistinto la Guerra Fredda.
Nel corso di queste giornate di incontri, ufficialmente dedicati al reinserimento sul piano internazionale dell’Afghanistan, è emersa dirompente la “solitudine” degli Usa: il capo della diplomazia cinese ha sollecitato Washington a interrompere il sistema sanzionatorio applicato alle autorità talebane cosicché l’Afghanistan possa tornare in possesso dei fondi congelati dagli Stati Uniti.
L’India è stata assente a questa sessione di incontri, nonostante sia stata in passato una tra le nazioni che maggiormente ha profuso sforzi economici a favore della ricostruzione dell’Afghanistan (si stima la somma ammonti a circa 3 miliardi di euro). La mancata presenza è probabilmente data dal fatto che l’India aveva stretto forti accordi sia con Hamid Karzai che con Ashraf Ghani, le ultime rappresentanze democraticamente elette, e il coinvolgimento del Pakistan nello scacchiere delle alleanze ha sicuramente contribuito alla luce delle relazioni tra i due paesi piuttosto tese.
La realtà economica appena descritta lascia l’amaro in bocca se si guarda al passato. L’Afghanistan è stato invaso per un ventennio senza giungere ad un reale risultato; le diplomazie occidentali, dopo una “fuga” imbarazzante, si erano forse illuse di poter affamare il regime talebano, confidando nel fatto che l’isolamento internazionale li avrebbe condotti ad una catastrofe economica. La Cina, ormai famosa “business country”, non ha certo valutato questi aspetti “morali”, ma ha colto l’occasione per stringere accordi economici vantaggiosi. Alla luce di quanto descritto è lecito pensare che il “mondo occidentale” sia miope? La lotta per la liberazione delle donne e l’impegno profuso perché i diritti umani fossero rispettati, a che risultati hanno portato?
Gli accordi di Doha del 2020, firmati nel periodo più “caldo” della pandemia Covid, sono un esempio lampante della superficialità manifestata: è stato riconsegnato un paese ai talebani senza tangibili garanzie e senza la previsione di sanzioni realisticamente applicabili.
Arianne Ghersi
[1]https://www.repubblica.it/esteri/2022/03/31/news/cina-343563618/
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