LE INTERVISTE TALEBANE: DAVIDE PICCARDO – seconda parte
Credi che l’obiettivo della modernità sia “appiattire” tutti dal punto di vista identitario, quindi anche religioso perché essa fa parte dell’identità, per fare in modo che ci siano meno problemi di convivenza da parte del mainstream?
Ci sono utopie che diventano distopie, possiamo andare a vedere alcuni esempi di società come quelle scandinave che spesso vengono dipinte come uno dei migliori mondi possibili, ma hanno problemi enormi nonostante siano le più avanzate nel senso di modernità. Ci sono paesi dove è venuta a mancare la famiglia, dove c’è un individualismo spinto, dove si è distrutta la rete di comunità con la pretesa di rendere tutte le persone indipendenti come se questa autonomia le liberasse, ma le ha rese sole. A mio avviso la religione ha in sé dei valori progressisti ed alcuni che sono assolutamente conservatori, nel senso di conservare degli elementi tradizionali che ritengo siano atavici, che fanno parte della nostra natura e della nostra essenza.
È in corso un processo di snaturamento per il quale l’uomo viene privato della sua spiritualità, del senso del sacro, del valore delle origini e della propria identità culturale fino ad arrivare ad una tale fluidità da impedire di riconoscersi in un’identità di genere.
La modernità “spinta” è di fatto un taglio netto con tutto ciò che è tradizionale che portava con sé una grande saggezza.
Credi che l’ipersessualizzazione, comunque contraria a tutti i monoteismi, sia parte del problema?
Questo è sicuramente una malattia della nostra società, ma ritengo che nel volere di Dio, in ciò che indica, esista una saggezza. Se Dio esorta la modestia nell’abbigliamento, se ammonisce il fatto di rendere il corpo una merce, la promiscuità; tutto ciò è detto per il nostro bene. Dio è assoluto, non ha bisogno di niente e di nessuno, non ha neanche bisogno delle nostre preghiere, siamo noi che abbiamo la necessità di pregarlo.
Quello che ci viene richiesto è propedeutico al mantenimento del nostro equilibrio sia a livello individuale che a livello sociale. Stiamo vedendo una deriva totale della sessualizzazione: la mercificazione del corpo (soprattutto quello femminile) e la pornografia creano problemi enormi dal punto di vista relazionale, psicologico, sessuale; c’è un’instabilità delle relazioni pazzesca con conseguente crisi della famiglia e demografica. Mentre la società tradizionale, che viene irrisa perché bisogna rispettare certi aspetti/standard, in cui veniva “imposto” il matrimonio, aveva sicuramente alcune storture però, osservata con gli occhi di oggi, vediamo dei valori importanti e certi aspetti funzionavano decisamente meglio.
Essendo parte della società, mi guardo intorno e vedo tante persone che fanno fatica a costruire relazioni: noto molte donne oltre i 35/40 che lamentano di non trovare un uomo con cui sposarsi, adatto per costruire una famiglia; il fenomeno dei divorzi è ormai diffusissimo, figli trascurati che crescono così con grandi problemi. La famiglia è il nucleo centrale della nostra società, ma quando si trattano questi argomenti si viene tacciati di essere “uno di destra, un conservatore, un fascista”; l’uomo e la donna crescono in famiglia, devono crescere in un ambiente stabile, di amore e di equilibrio. Se la famiglia è disfunzionale la società lo sarà altrettanto.
Questo è il motivo per cui le religioni predicano un certo tipo di approccio alla famiglia, rispetto alle relazioni, alla serietà. I ragazzi musulmani a 20 anni pensano al matrimonio, a 23-24 anni sono già sposati, a 26 anni sono genitori, le persone a cui penso sono tutti laureati, a 35 anni hanno una famiglia consolidata e una stabilità lavorativa, crescono i figli in un ambiente in cui la mamma si occupa di loro, dove non esiste l’idea del figlio unico. È un modello di comunità che, a mio avviso, è molto più produttivo e stabile.
Per quanto riguarda il fatto che l’Islam non abbia un rappresentante, come possiamo pensare al Papa per i cattolici, è parte del problema di integrazione con la società?
È un problema che si suddivide in due ambiti: politico e spirituale. L’Islam sa essere diciamo resiliente, anche se è un termine che non gradisco, perché sa adattarsi ad ogni tipo di situazione attraverso la sua elasticità; ciò che è attrattivo dell’Islam è la possibilità di essere musulmani al di là del contesto: nessuno deve “certificare” la dichiarazione di fede e il rapporto con Dio è esclusivo e diretto, senza essere mediato da nessuno (assenza di clero).
Dal punto di vista politico, si sono verificati molti sforzi da parte della comunità islamica, a partire dai primi anni ‘90, per cercare di trovare una sorta di rappresentanza unitaria per dialogare con lo Stato italiano. È stato organizzato il Consiglio islamico d’Italia che ha tentato di unificare le principali sigle; attualmente i principali soggetti sono due: l’Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia (UCOII, il più rappresentativo) e la Confederazione islamica italiana (molto vicina al Marocco), esistono altre sigle minori che, in virtù di alcuni rapporti politici, riescono a farsi valere. Il grosso problema dell’intesa con lo Stato italiano è il denaro: l’8×1000 come andrebbe distribuito? Lo Stato potrebbe legiferare in merito alla libertà religiosa senza la stipula di un’intesa.Qualche anno fa avevamo proposto un progetto che non ha poi visto la realizzazione: la creazione di un organismo denominato “Costituente islamica italiana” in cui si sarebbero organizzate delle elezioni comunitarie in cui i musulmani stessi avrebbero eletto il proprio rappresentante.
La comunità islamica ha ancora dei deficit e delle carenze, ma ritengo che la gran parte della responsabilità per questa “disorganizzazione” sia da imputare allo stato.
Cosa pensi dell’Islam politico?
È necessario innanzitutto osservare la pratica profetica: il profeta Mohammad si relazionava in un contesto di cristiani e soprattutto ebrei. Un monaco cristiano, che aveva incontrato Mohammad da bambino, aveva annunciato che sarebbe stato il profeta di cui parlano le sacre scritture.
Nel Corano sono presenti una serie di passaggi che invitano al dialogo e alla coesistenza.
Il fatto che l’Islam non preveda una divisione tra potere spirituale e potere temporale è una falsità perché il profeta stesso, che era investito del messaggio divino ed era di fatto un capo sia religioso che politico, si è assunto la responsabilità di creare una costituzione: è un testo ancora oggi esistente, la costituzione di Medina, in cui si legge che tutti i cittadini (ebrei, cristiani e musulmani) avevano gli stessi diritti civili. Esisteva una tassa da pagare in quanto i cittadini ebrei e cristiani erano esentati dalla partecipazione al servizio militare, i governanti garantivano quindi la loro sicurezza.
Esiste anche una prassi storica: l’Impero Ottomano ha dominato nei Balcani, in Bulgaria ed in Grecia eppure i bulgari e i greci non sono musulmani. Nel Medioevo gli ottomani, non certo famosi per la “delicatezza” dato che erano guerrieri che avevano saputo conquistare gran parte del mondo dell’epoca, avevano permesso a coloro che facevano parte dell’impero di conservare la propria religione. Questa è la dimostrazione storica che non è stata imposta la conversione.
La creazione dello stato di Israele ha creato tensioni politiche, non religiose.
Hassan al Banna crea i Fratelli musulmani e la prima azione concreta è stata quella di opporsi al colonialismo britannico. Un altro “problema” creato dall’islam politico è dato dal fatto che è l’unico movimento popolare che esiste in quelle terre. Ennahda, Erdoğan, il primo ministro della Malesia, derivano tutti da questa origine comune. L’idea comune è quella di agire nella società facendo politica partendo dai principi e valori islamici; è qualcosa di equiparabile alla Democrazia Cristiana legata alla tradizione popolare che si tramuta in partito. I Fratelli musulmani non hanno mai sostenuto di voler arrivare allo Stato per tramutarlo in un califfato o una teocrazia.
Non è equiparabile alla rivoluzione iraniana in cui la guida suprema e la guida politica sono unificate. Con i Fratelli musulmani c’è l’accettazione di un sistema democratico di stampo occidentale con relativa architettura istituzionale.Il problema vero sono Mubarak e Ben Ali: dittatori al soldo delle esigenze occidentali; nel momento in cui giunge un movimento popolare, che viene dal basso, e che reclama autonomia, governare le risorse, decidere la politica estera ed uscire da determinati schemi, vengono esautorati.
Il problema non è la fede, l’essere musulmano, ma i contenuti estrinsechi rappresentati da questi movimenti. Riferendosi all’Arabia Saudita, con tutte le sue contraddizioni, non si riscontrano problemi, anzi, e questo dimostra come tutto in realtà sia da ricollegarsi ad un gioco di alleanze e non alla fede.
Vuoi commentare ciò che sta accadendo in Iran?
Tutte le società sono frammentate e divise. L’Iran e la Turchia, a differenza dei paesi arabi, hanno una storia abbastanza “simile” perché hanno vissuto un processo di laicizzazione forzata (i casi di Ataturk e lo Shah). Sono due società che si fondano sulla religione e che sono state modificate in maniera brutale con il mito della modernizzazione; si pensava che per competere con l’Occidente e trasformarsi in un paese all’avanguardia fosse necessario imitarlo sotto ogni punto di vista, spogliandosi quindi della propria libertà religiosa.
In entrambi i paesi si formano due parti nette nella società: una che segue l’impronta laica e l’altra che viene messa ai margini (più rurale e più conservatrice).
Viene successivamente ribaltata la situazione: in Turchia, in maniera democratica, con un processo politico lungo una ventina d’anni, Erdoğan arriva a re-islamizzare la società, dando la possibilità al sentimento religioso di crescere nuovamente.
In Iran avviene il processo in maniera drastica con la rivoluzione del 1979: la parte minoritaria laicizzata è rimasta dormiente e ora sta emergendo, quella maggioritaria continua a credere nel sistema attuale di potere. La situazione generale va a convergere su una situazione simbolica, quella del velo; se si “giudica” dal punto di vista occidentale ci si chiede il motivo dell’imposizione del velo, ma anche in Europa esistono sensibilità che regolano il pudore e che sono variate nei decenni sulla base di influenze esterne tramite modelli che ci sono stati imposti.
Sono stato a Teheran e ho visto in tutti i contesti molte ragazze con il velo poggiato a metà testa e non lo comprendevo, quando ho chiesto spiegazioni mi è stato risposto “per mantenere un limite formale”. Il punto è: qual è il limite e chi lo stabilisce?
La difesa delle tradizioni, della famiglia, della patria e del sentimento religioso professati da Giorgia Meloni pensi siano d’aiuto alla “causa islamica”? Voglio sperare che la promessa politica legata a determinati valori tradizionali possa essere rispettata. Ritengo che siano principalmente valori umani e che quindi possano essere trasversali. Mi auguro che il cambio di rotta politica sia davvero d’ausilio per il sostegno del concetto di famiglia, così da non avere più come dominanti forze che assecondano la distruzione dei capisaldi della società.
Arianne Ghersi
Rispondi