SANGUE A ISTANBUL. CUI PRODEST?
Il 13 novembre, nello stesso giorno dell’attacco al Bataclan nel 2015, si è consumato un attacco terroristico in una zona centrale (Viale Istiklal) di Istanbul; i contorni della vicenda non sembrano affatto chiari.
Il presidente turco, Recep Tayyp Erdoğan, ha immediatamente commentato l’accaduto e ha dichiarato: “Forse sarebbe sbagliato dire che si tratta di terrorismo, ma i primi sviluppi, le prime informazioni che il mio governatore ci ha fornito, mi dicono che c’è odore di terrorismo qui”[1]. Le vittime sono 6 e i feriti 81.
Ali Yerlikaya (governatore di Istanbul) ha diffuso fin dai primi momenti alcuni dettagli sui social, tra cui quello inerente la possibilità che l’attentatrice sia una donna ripresa dalle telecamere di sorveglianza dell’area.
Ai principali canali di informazione turchi è stato imposto preciso divieto di parlare della notizia (la cosa è avvenuta anche in altre occasioni, nel 2015 e nel 2017), ma il web ha largamente “sopperito” alla penuria informativa, nonostante anch’esso sia stato “depotenziato” per ragioni di sicurezza; maliziosamente si potrebbe pensare che dietro a quest’ultima presa di posizione risieda anche l’intenzione di non trasmettere l’immagine della Turchia ancora bersaglio del terrorismo.
L’apparato di sicurezza turco è riuscito ad individuare l’ipotetica responsabile e, in meno di 24 ore, è stata assicurata alla giustizia; alcune fonti riportano la notizia secondo cui la donna avrebbe già confessato la sua colpevolezza. Altri arresti sono stati compiuti: decine di facilitatori ed affiliati del Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan).
Sicuramente il Pkk, e altre cellule rappresentanti la “causa” curda, hanno già in precedenza organizzato azioni per attirare l’attenzione sulle proprie istanze e il perpetrare di attività criminose all’estero (l’Europol ha registrato l’Italia come luogo di “passaggio” di droga a loro riconducibile) ha sicuramente contribuito ad una minor sensibilizzazione e all’inserimento del Pkk nella “lista nera” delle organizzazione terroristiche nell’Ue.
Risulta però anomalo il modus operandi: gli atti terroristici del Pkk sono sempre stati condotti a discapito diretto delle autorità turche, pur provocando grandi “danni collaterali”; l’azione consumatasi il 13, invece, è avvenuta in un contesto turistico, senza nessun reale legame con ciò che può essere classificato come “politico” o “militare” seppur in zona siano presenti dei consolati.
Alla luce di ciò l’onestà intellettuale ci impone di riconoscere come Erdoğan abbia sempre saputo sapientemente “usare” le azioni riconducibili al Pkk per giustificare le proprie iniziative repressive nei confronti del popolo curdo.
Le milizie curde, inizialmente Ypg (Unità di protezione popolare) convogliate successivamente nelle Sdf (Forze democratiche siriane) hanno avuto un ruolo fondamentale nel combattere il Califfato. Il fatto, però, che rende intricata la vicenda è che sono stati proprio i curdi ad essere “delegati”, nella fase post Califfato, alla “gestione” dei campi di detenzione dove sono rinchiusi i combattenti dell’Isis (compresi numerosi foreign fighters) o decine di migliaia di radicalizzati che si unirono allo Stato Islamico. Non esiste in realtà un numero preciso dei detenuti e ciò, sommato al fatto che “sembra” che molti prigionieri siano donne e bambini, crea un evidente rischio per la sicurezza internazionale.
Quest’ultima annotazione riguarda in maniera significativa anche l’Italia: Samir Bougana (marocchino con cittadinanza italiana) era detenuto all’interno di questi campi. Lo jihadista era stato rimpatriato con l’intenzione di processarlo nel nostro paese dato che già in precedenza era stato condannato per simili attività (art. 270 bis c.p.).
Alla luce di quanto sommariamente descritto è complicato, per chi non è in possesso di dossier dei servizi segreti e altri organismi deputati alla sicurezza del paese anatolico, comprendere se l’attentato sia effettivamente una ricerca di attenzioni del popolo curdo o se sia l’ennesima azione criminale da ricondurre alla galassia delle forze jihadiste. Quanto è invece lampante da evidenziare è il fatto che nel 2023 si terranno in Turchia le elezioni presidenziali: un enorme banco di prova per Erdoğan.
Arianne Ghersi
[1]https://www.rainews.it/articoli/2022/11/media-esplosione-in-una-strada-pedonale-nel-centro-di-istanbul-c54d2b95-4dc6-47cd-963d-701b710fb5c6.html
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