IL NEMICO DEL MIO NEMICO E’ MIO AMICO
Nel corso del fine settimana del 10 e 11 aprile, l’Iran è stato nuovamente protagonista di un sabotaggio al sito nucleare sotterraneo di Natanz. Fin dai primi istanti, il paese degli ayatollah ha puntato il dito contro Israele e il suo apparato di intelligence. Il momento scelto per l’attacco (l’11 aprile) non è affatto casuale dato che sabato 10 aprile si è tenuta la celebrazione legata alla quindicesima Giornata del nucleare in Iran. All’interno di Natanz, il sito principale per l’arricchimento dell’uranio del paese, sono stati fotografati per l’occasione i tecnici che vi prestano servizio con in mano le foto di ricercatori che, a loro avviso, sono stati uccisi dall’intelligence israeliana al fine di indebolire i progetti di sviluppo nucleare attivamente promossi dallo stato sciita. Si è ipotizzato che si trattasse di un cyber attacco o che, addirittura, fosse scoppiata una bomba, nulla è certo, ma ciò che appare prepotentemente realistico è che si tratti di un attacco diretto ed intenzionale in quanto il sito non è dotato di nessun tipo di connessione internet o altro server e ciò porta ragionevolmente a pensare che l’azione si sia svolta in presenza.
L’episodio, seppur minimizzato pubblicamente dall’Iran, ha avuto conseguenze importanti sulla “produttività” del sito e si inserisce all’interno di uno scacchiere costellato da avvenimenti simili. Importante è non dimenticare che lo scorso il 27 novembre il Mossad fu già ritenuto responsabile dell’uccisione di Mohsen Fakhrizadeh, colui che è stato definito il “padre” del programma nucleare; il 10 marzo, il 25 marzo e il 6 aprile alcune navi iraniane sono state danneggiate nel corso della navigazione nel mar Mediterraneo, nel mar Rosso e nel mar Arabico. Un altro importante avvenimento è legato all’attacco compiuto su basi missilistiche siriane che, secondo le intelligence, si servivano del supporto tecnico iraniano al fine di sostenere la causa degli Hezbollah libanesi.Alla luce di quanto descritto, non si può certo ricondurre una sola e singola fattispecie ad un disegno strategico, ma proprio l’insieme di esse può portare ad una riflessione più ampia.L’Iran ha sicuramente patito l’era Trump che è stata caratterizzata da una posizione che passerà alla storia: gli accordi di Abramo.
Tali alleanze sono state concepite e promosse allo scopo di rendere possibile il riconoscimento dello Stato d’Israele dalle nazioni nord africane (Marocco) e mediorientali ostili storicamente. Gli Stati Uniti hanno sicuramente giocato un ruolo regolatore e negoziatore negli accordi, ponendo di fatto in una posizione di ulteriore isolamento sia l’Iran sia la Turchia.Il cambio di presidenza Usa è però innegabilmente a favore degli ayatollah: Biden ha pubblicamente dichiarato il ritiro dei militari dall’Afghanistan entro l’11 settembre 2021 e, in tale occasione, ha voluto sottolineare come la presenza americana all’interno del processo decisorio della zona geografica in questione sarà notevolmente ridimensionato in futuro a favore di una maggiore attenzione alle vicende che vedono coinvolte l’influenza cinese e russa. Inoltre, il neo presidente non ha escluso, anzi, un ritorno ai tavoli negoziali inerenti gli accordi nucleari iraniani, quasi a voler ripercorrere i passi compiuti dal suo predecessore democratico Obama. Il cambio di posizione assunto dagli Stati Uniti è repentino, ma prevedibile.
Ciò che possiamo ipotizzare per il futuro è che gli attacchi a siti strategici da parte dell’intelligence israeliana non cesseranno perché ciò che li può tutelare nella reale concretizzazione degli Accordi di Abramo non è più una presidenza statunitense favorevole, ma la creazione di un fronte comune in chiave anti sciita. Un detto popolare, in questo caso, trova conferma e legittimazione: “il nemico del mio nemico è mio amico”.
Arianne Ghersi
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