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ECCO PERCHÉ UN ISLAM DI COMODO FAREBBE IL GIOCO DEI TERRORISTI

Perché, paradossalmente per i più, i terroristi non hanno nulla a che vedere coi mussulmani "fondamentalisti"

Quella degli appelli e delle lettere aperte ai musulmani è un’escalation parallela a quella degli attentati che insanguinano l’Europa e come a ogni escalation che si rispetti, si chiede che compia ogni volta un salto di qualità.

Il periodo in cui era sufficiente condannare e dissociarsi sembra essere alle nostre spalle, ora siamo passati alla necessità di denunciare, ma già si scorge in ascesa la richiesta che da sempre sta sullo sfondo: “affrontare le questioni irrisolte in seno all’Islam” che tradotto significa rinunciare a molti degli elementi che contraddistinguono il nostro credo.

Gramellini che ci chiede di denunciare i terroristi è solo uno dei tanti. Molti in buona fede ci chiedono perché non denunciamo i terroristi e quando cerchi di spiegargli che in realtà non ne hai mai conosciuto uno nonostante frequenti la comunità da molti anni, fanno fatica a crederti, senti che quella risposta non li soddisfa. Attenzione a non creare un clima in cui ci sia un bisogno tale di denunce che inizino a pagare gli innocenti, questo è un rischio concreto. Credo che in realtà molti non ci conoscano affatto, non hanno proprio idea di chi siano i musulmani, di come vivano, di cosa pensino, si sono costruiti una rappresentazione a cui sono affezionati e continuano a fare paragoni assurdi come quelli con le Brigate Rosse e il Pci. Non hanno mai frequentato la comunità islamica, molti non sono probabilmente mai entrati in una delle nostre moschee “abusive”, insomma molti, di noi sanno solo quello che scrivono.

Sarebbe urgente invece capire come mai uno che viene respinto dalla Turchia perché vuole arruolarsi nell’Isis viene processato in Francia e rispedito a casa con un braccialetto elettronico e può bellamente entrare in una chiesa e compiere una strage, perché secondo me quelli da denunciare sono Valls e Cazeneuve.

Sulla necessità di riformare l’Islam, si sono espressi in tanti sulla scorta di ogni attentato, ognuno intendendo qualcosa di diverso, ma tutti cercando in qualche modo di approfittare del terrorismo per forzare i musulmani occidentali a rivedere elementi dottrinali importanti in modo di accordarli a quello che si va configurando come pensiero unico dominante. Altri per imporre di eliminare ogni riferimento islamico dallo spazio pubblico e dall’impegno civile e politico o ancora per promuovere il musulmano “deislamizzato”, quello per cui l’Islam conserva una valenza esclusivamente culturale.

Quando Ben Jelloun chiede ai musulmani di “rinunciare ai simboli provocatori della religione di Maometto”, facendo una lista di cose da evitare in cui ci sono anche le piscine per donne, dimostra di essere un intellettuale che ha perso il contatto con la comunità a cui vorrebbe parlare e, ancor più grave, traccia una falsa relazione tra pratiche ed interpretazioni religiose legittime e fenomeni di violenza vergognosi e inammissibili.

Secondo questa linea di pensiero la soluzione al terrorismo sarebbe da ricercarsi nella rinuncia a un codice di comportamento islamico ma evidentemente, non si considera che coloro che da tempo hanno accolto l’appello sono proprio i terroristi.

L’identikit degli autori delle stragi di Parigi, di Orlando, di Nizza, di Rouen, ci racconta di ragazzi non praticanti, che non frequentavano le moschee, il cui stile di vita ricalcava esattamente quello di molti ragazzi europei persi tra droga e alcol, insomma niente che si avvicini al ritratto dell’integralista religioso.

Piaccia o meno, oggi paradossalmente, potremmo dire, i soggetti più “garantiti” sono proprio quelli che vengono considerati come ortodossi, conservatori e in genere i più praticanti, i più legati alle moschee, all’insegnamento tradizionale islamico e all’attivismo di ispirazione religiosa e questo perché hanno un’identità definita e gli anticorpi per respingere narrazioni che dietro terminologie religiose nascondono un progetto nichilista e diabolico.

L’offensiva mediatica oggi è fortissima, la demonizzazione messa in atto da alcune forze politiche pesa come un macigno sulla capacità dei musulmani di agire in modo razionale ed efficace, insistente è anche la pressione esercitata sulle leadership delle comunità islamiche europee, affinché, oltre alla doverosa azione di prevenzione e delegittimazione della violenza, assumano posizioni che di fatto contraddicono insegnamenti assolutamente inequivocabili dell’Islam. Nessuno vuole qui negare la possibilità e anche la necessità di leggere le fonti islamiche alla luce del contesto ma ritengo sbagliato e pericoloso pretende che la presenza di musulmani in Europa non porti nessun contributo in termini di diversità, una diversità reale, che necessita di confronto serio e non è riducibile al folclore, grazie a Dio.

Sarebbe pericoloso perché spingere forzatamente le leadership su certe posizioni significa allontanarle dalla base, screditarle di fronte alla propria comunità e renderle ininfluenti, ampliando in questo modo la distanza tra i rappresentati più istituzionalizzati e quei giovani che schiacciati tra disagio sociale, identità da definire e il muro dell’islamofobia rischiano di trovarsi senza guida.

Bisogna evitare che si crei una barriera, che succeda, come in buona misura avviene in Francia ad esempio, che i rappresentati istituzionali vengano percepiti come fantocci accomodanti dai ragazzi delle banlieue e da moltissimi musulmani.

Le organizzazioni comunitarie devono piuttosto essere messe in condizione di svolgere il lavoro che da anni portano avanti tra mille ostacoli, educare i musulmani alla conoscenza approfondita e alla pratica genuina dell’Islam, garantire il diritto di culto e promuovere l’impegno civile e sociale dei musulmani, ecco, senza il diritto di avere moschee diventa molto difficile.

Il nostro sistema democratico, non deve espellere le posizioni più tradizionaliste o conservatrici, e nemmeno le posizioni politicamente radicali, anzi deve essere in grado di includerle nella dinamica democratica, deve saper gestire la dialettica culturale e la conflittualità politica, perché a questo serve una democrazia, a non far scivolare fuori dal recinto dello Stato di diritto le posizioni più diverse, sottoponendole alla legalità se ne garantisce l’espressione e si evita che si esprimano in modo clandestino e violento.

Come bisogna evitare le guerre di religione bisogna evitare la guerra alla religione, non dovrei suggerire io di imparare dai britannici o dagli americani che sono così convinti delle capacità del mercato di dissolvere ogni spiritualità che lasciano liberamente che ognuno pratichi e propagandi la religione che vuole evitando eterni e inutili dibattiti oppure, dipendendo dai gusti, di guardare al modello russo che ha istituzionalizzato tutte le religioni. I sistemi di potere intelligenti non attaccano mai i simboli religiosi e nemmeno le pratiche, anzi mettono l’accento sui simboli e trovano il modo di assumere la religione nello Stato per disattivare il suo potenziale di contro-potere.

Siccome la fede non può essere un rito vuoto e nemmeno ridursi a istituzione di Stato, ma è rapporto con Dio e ciò che ne deriva, dobbiamo trovare il modo di garantirne la pratica e di accoglierne il contributo trovando una via nazionale, per far ciò bisogna decidersi ad accettare l’Islam come religione europea in modo consolidato, è un punto di svolta importante certo, ma sarebbe solo una certificazione della realtà mentre questo limbo ci fa perdere tempo e peggiorare la situazione.

Davide Piccardo per huffingtonpost.it

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