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L’arte che non si arresta

Mohammad Bin Lamin è di Misurata.

La sua galleria, Assakeefa,  si trova in Al Jawazat street, nel centro della ‘città martire’.

Lo abbiamo scoperto per puro caso, insieme ai colleghi Amedeo Ricucci, Massimiliano Campanile e Luciano Mazzini, mentre stavamo realizzando un’intervista ad un ex prigioniero politico nel carcere di Abu Salim, a Tripoli.

Una delle stanze era piena di disegni sulle pareti. Risalire all’autore non è stato difficile. “Ho usato la carta stagnola per disegnare, come fosse una matita”, dice Mohammad raccontando gli oltre sei mesi di prigionia nella più famigerata prigione del paese.  ”Mi sono venuti a prendere qui, nella mia galleria, gli uomini di Gheddafi il 20 febbraio 2012. Sono uscito da quel posto solo il 24 agosto scorso, quando sono venuti a liberarci i ‘Tuwar’ (rivoluzionari). 184 giorni di prigionia.

I quadri di Mohammad sono carichi di energia ancestrale e ovviamente, in questo periodo il suo soggetto preferito è la rivoluzione. La sua tecnica, che definisce ‘new media’ è particolare. Lavora su carta fotografica spandendo con una piccola spatola un composto che, lasciato riposare acuni secondi, viene poi ripulito con una spugna. Il risultato a me, che non ci capisco nulla di tecniche artistiche e di arte in generale, rende l’idea di una impressione del disegno in negativo sulla carta stessa.

Quadri come graffiti incisi su mura di caverne millenarie. Quadri di volti e figure di una Libia sognata. Figure mitiche e nello stesso tempo moderne. Sculture in metallo assemblate con materiale di recupero e piccoli esseri dalle sembianze umane costruiti stritolando e piegando proiettili di morte. Questo è Mohammed Bin Lamin.

Un artista.

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