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FAKE TOO FAKE: quando il falso non è che falso

di Barbara Leva

Dall’8 Aprile, il salone di bellezza milanese Orea Malià ospita la mostra fotografica “Fake-too-Fake, the final cut” firmata Giovanni Bortolani. L’oggetto delle opere esposte consiste in volti noti e meno noti su corpi mutilati, squarciati, deformati in un’ottica che vuole rendere il disgusto al fine di sottolineare come il disgusto colpisca l’esteriorità, provocatoriamente in controtendenza rispetto alla più comune esposizione del fisico bello, scolpito e liscio.

Dice infatti l’autore che benché l’occhio si trovi in presenza di effetti vistosamente finti, la sensazione raccapricciante non diminuisce, dal momento che la nostra mente ingannata dal tromp l’oeil crede che il tutto sia vero e si schifa. Così come le fotomodelle snellite e abbellite sono false per l’effetto dato da luci e ritocco ci appaiono invidiabili nonostante siano chiaramente finte. Chiaro, no?

In linea teorica, sì. Ciò che sfugge al nostro artista non sono infatti i principi base dell’estetica del brutto, quanto piuttosto l’effetto che le cronache e i videogiochi hanno sortito nelle nostre menti. Tacendo della mafia della mutilazione che ci costringe quotidianamente a camminare per il centro o nelle metropolitane scavalcando uomini deformi. Abituati a fucilare e investire e malmenare i nemici virtuali e ad assistere a una sfilata perenne di profughi annegati, morti investiti, morti bombardati, mutilati e chi più ne ha più ne metta, su giornali e nei telegiornali che spesso precedono o accompagnano le nostre cene casalinghe, siamo ormai immuni alla ferita aperta e sanguinante.

Se i mutilati della realtà ci hanno resi immuni alla sofferenza, come possono delle foto visibilmente falsate procurarci un qualsiasi seppur lieve turbamento?

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