LE INTERVISTE TALEBANE: ANDREA VIRGA
Il Talebano fa propria una necessaria narrazione Comunitarista contro la deriva individualista tipica di questo Occidente. Il termine Comunitarismo è polisemico nell’ambito del Pensiero Occidentale e, in tempi recenti, molti sostengono che può essere un paradigma su cui lavorare per edificare un’alternativa al liberal-globalismo: esso è il risultato di un lungo lavoro di stratificazione nel Pensiero Europeo dove fenomeni come la Nuova Destra ben hanno saputo sperimentare con elementi di riflessioni determinanti come il fenomeno Communitarians americano, Tönnies, Costanzo Preve, Marcello Veneziani, Massimo Fini. Si inserisce magnificamente in questa cornice il caso Arianna, casa editrice condotta magistralmente da Edoardo Zarelli e G.R.E.C.E. Italia in cui, con l’apporto di giovani studiosi, si favoriscono gli approfondimenti a temi molto importanti per la nostra narrazione.
Nel desiderio di meglio affrontare questi temi è opportuno fare chiarezza sui fondamenti teorici su cui ci muoviamo: riteniamo importante confrontarci con lo studioso Andrea Virga.
Professore Andrea Virga, nel ringraziarla per la disponibilità a questo momento di confronto, condividiamo con Lei alcune riflessioni. In un interessante testo di Valentina Pazè, il comunitarismo ci appare come ricco e variegato. Come inquadrare, nel Pensiero politico, questo concetto?
Il testo della Pazè – filosofa politica allieva di Bobbio, dunque sicuramente non favorevole a questa prospettiva – ha il merito di presentare la varietà di modelli elaborati in senso comunitarista, nel corso degli ultimi due secoli, sia a destra che a sinistra. Oltre al comunitarismo d’ispirazione religiosa (cristiana ed ebraica, in particolare), si dilunga su quello partorito in ambienti socialisti utopici e quello di matrice völkisch (etno-nazionalisti). Io vorrei far notare che in questi ultimi due casi si tratta di idee situate ancora ai primordi di queste due grandi correnti di pensiero – quella social-comunista e quella nazionalista radicale –, prima che con il marxismo-leninismo e con il fascismo, rispettivamente, approdassero a posizioni collettiviste, in cui l’individuo era sacrificato in nome della Classe o della Nazione.
Tuttavia, per comprendere il ruolo del comunitarismo nella filosofia politica moderna e contemporanea e individuare una sua essenza unitaria, al di là delle diverse facies politiche, occorre chiarire che si tratta di un’idea appartenente comunque alla modernità, ossia frutto di un momento in cui le comunità iniziavano ad entrare in crisi, di fronte alla nascita di una società di individui sempre meno legati da vincoli e radici, da cui l’opposizione teorizzata dal sociologo Tönnies tra Gemeinschaft (comunità) e Gesellschaft (società). Non va dimenticato, naturalmente, che questo cambiamento sociopolitico rispondeva anche a dinamiche tecno-economiche, con il passaggio da un’economia agricola, caratterizzata da un tessuto di comunità rurali, ad un’economia industriale, con una società urbanizzata di individui massificati. È in questo contesto che la denuncia dei mali e delle criticità della modernità industriale porta all’elaborazione di un pensiero comunitario, di segno opposto rispetto alla società liberale, basata sullo Stato di diritto.
Nel corso del XX secolo, il pensiero comunitario, così come considerato da autori personalisti (es. Maritain, Mounier) o esplicitamente comunitaristi (es. Olivetti, MacIntyre), ha elaborato una forte critica anche ai regimi di massa novecenteschi, figli del fordismo industriale, come i c.d. totalitarismi, fascismo e comunismo, dei quali sottolineavano la forte affinità con le dinamiche massificanti e sradicatrici della democrazia liberal-capitalista. Al tempo stesso, il crollo di queste alternative ha indirettamente rafforzato quest’ultimo modello, indebolendo anche lo stesso comunitarismo, la cui capacità di costruire un progetto politico alternativo a quello liberale è andata sempre più scemando, man mano che le comunità e i corpi sociali intermedi esistenti sono andati perdendo forza, triturati dal passaggio dalla società industriale novecentesca alla società terziarizzata e digitale.
Costanzo Preve e il contributo al Comunitarismo: In cosa consiste e come crede vada declinato?
Il filosofo piemontese Costanzo Preve, di cui ricorre in questi giorni il decennale della scomparsa, ha elaborato una concezione propria di comunitarismo, strettamente legata al pensiero marxiano, considerato in continuità non solo con la filosofia di Hegel, ma anche con quella di Aristotele. Da quest’ultimo, egli riprende la nozione dell’uomo come animale razionale e comunitario (così traduce il greco politikón), in netto contrasto con l’individualismo liberale. Questa riscoperta di Aristotele lo accomuna ad autori come MacIntyre, che dello Stagirita ripropongono la concezione di virtù e di giustizia, oltre che di comunità.
Preve, però, si è sempre posto nel solco della tradizione politica comunista, anche se sempre con un forte senso critico, che lo ha portato a rivedere, secondo categorie marxiane, la storia del marxismo-leninismo e del «comunismo reale novecentesco» (per usare una formula a lui cara). Rifiutando l’etichetta di «marxista», ha insistito piuttosto sulla forte connotazione hegeliana del pensiero di Marx. Di quest’ultimo, ribadisce l’essenza generica (Gattungswesen) della natura umana, che si estrinseca nelle relazioni sociali e nel lavoro, inteso come atto di trasformazione del mondo esterno. Solo dunque in quest’attività comunitaria, l’uomo può esprimere realmente la propria razionalità e socialità.
Su queste basi filosofiche, Preve propone dunque un comunismo comunitario, che ha il merito di prendere le distanze dagli aspetti deteriori dei movimenti comunisti del secolo scorso e di rivalutare le caratteristiche identitarie delle comunità umane, dalla religione alla lingua, alle tradizioni storiche. In questo modo, ha costruito un vero e proprio ponte fra il marxismo e una prospettiva comunitarista, che consente al primo di superare, una volta per tutte, i propri limiti ottocenteschi (determinismo, positivismo, economicismo, materialismo, meccanicismo, collettivismo).
La Quarta Teoria Politica di Alexander Dughin: quali le potenzialità in sintesi con la riflessione Comunitarista?
Il filosofo russo Aleksandr Dugin, tuttora vivente, è il principale teorico del cosiddetto neo-eurasiatismo, una corrente di pensiero che, in estrema sintesi, promuove la rinascita della tradizione imperiale russa come principale baluardo geopolitico contro l’egemonia unipolare degli Stati Uniti. Tuttavia, il suo impegno come studioso abbraccia diversi ambiti del pensiero, dalla filosofia politica, dove si colloca nel solco del platonismo (in apparente contrasto dunque con l’aristotelismo previano), alla politologia, dove è fautore di una Quarta Teoria Politica, contrapposta alle tre grandi teorie politiche della modernità: liberalismo, comunismo, fascismo. Secondo la sua analisi, alla caduta delle ultime due ha seguito una mutazione della prima che ha ormai assunto, nella postmodernità, caratteristiche totalizzanti, del tutto distinte rispetto al liberalismo originario, proto-moderno.
Dugin identifica una serie di soggetti politici, corrispondenti ciascuno a una delle quattro teorie: l’individuo per il liberalismo, la classe per il comunismo, lo Stato o la razza per il fascismo e, infine, soggetto della Quarta Teoria Politica, sarebbe il Dasein, termine heideggeriano traducibile con «Esserci». In scritti più recenti, aveva collegato questo termine, un po’ strumentalmente, alla nozione di popolo, così come alla base dei movimenti populisti, attraverso la formula heideggeriana Dasein existiert völkisch (l’Esserci esiste nel popolo). Questo significa sia ricollegare l’Essere qui – hic et nunc, ossia radicati in termini di ora e luogo – alla comunità di popolo, sia intenderlo in senso pluralistico, per cui ogni manifestazione dell’Esserci dipende dalle specificità culturali di ogni popolo. Non a caso, il suo opus magnum Noomachia indaga proprio i lógoi alla base delle differenti civiltà, seguendo l’esempio di Spengler.
Quindi Dugin, in primo luogo, ribadisce come la realtà concreta dell’uomo sia comunque comunitaria, perché il soggetto della Quarta Teoria Politica non è un’astrazione, bensì radicato nello spazio e nel tempo. In secondo luogo, questo soggetto ha una natura plurale in quanto legata di volta in volta ai diversi contesti culturali e civilizzazionali. Questi due aspetti contrastano a loro volta con alcuni punti chiave della tradizione politica fascista (esclusivismo, suprematismo, darwinismo, sciovinismo, interclassismo), marcando il distacco dell’Autore da questa visione, ma restano coerenti con una prospettiva comunitarista, la quale insiste sulla natura comunitaria dell’essere umano e sulla pluralità di comunità diverse, ma con pari dignità.
Rispondi