BUONI CONTRO CATTIVI: LA SOLITA NARRAZIONE ORMAI NON STA PIU’ IN PIEDI
Uno dei punti ricorrenti nella narrazione bellica è la dicotomia buoni/cattivi. O meglio: noi siamo i buoni e in quanto tali siamo autorizzati a fare la guerra agli altri, che sono i cattivi.
Sebbene nello studio della Storia questo punto paia superato, sembra che un ragionamento simile non valga per i fatti dell’ultimo secolo, dove invece la divisione manichea persiste e ogni tentativo di superarla viene stigmatizzato.
Un esempio di questa dinamica la possiamo leggere negli eventi che nell’ultimo mese hanno insanguinato la Terra Santa.
Hamas compie un’azione militare a partire dalla striscia di Gaza, attaccando gli insediamenti israeliani, causando un totale approssimativo di 1400 vittime e prendendo più di 200 ostaggi. Un atto di terrorismo? Per i canoni occidentali sì, nel senso che ogni azione che coinvolga dei civili è un atto di terrorismo, però a quel punto i medesimi canoni dovrebbero essere applicati anche a tutte le azioni dell’IDF o più generalmente dei coloni israeliani che hanno causato vittime tra i civili palestinesi, cosa che invece un certo tipo di narrazione occidentale atlantista si guarda bene dal fare, preferendo una narrazione a senso unico con gli Israeliani baluardo dell’ordine e della democrazia costantemente vittima di attacchi di “terroristi”.
L’inviato dell’ONU Tor Wennesland ha presentato una relazione secondo cui le vittime palestinesi tra gennaio ed agosto 2023 ammontavano a circa 200 persone, ultimo capitolo di un lungo stillicidio, eppure si tratta di una serie di morti invisibili per molti, senza le quali però non si riesce ad avere un quadro complessivo della situazione in Medio Oriente.
Quella messa in campo da Isreale è la solita, stucchevole, retorica dell’aggredito e dell’aggressore, che ovviamente cambia a seconda del punto in cui si decide di far partire la storia, escludendo episodi che contrastano con la narrazione che si vuol fare passare.
È anche la retorica, per riprendere le parole del Ministro della Difesa di Tel Aviv, degli “animali umani”, cioè disumanizzare gli avversari per rendere moralmente accettabile qualsiasi reazione. Da qui l’ostentazione dei quaranta bambini sgozzati dai Palestinesi nel kibbutz Kfar Aza, diffusa dapprima dall’IDF ma poi mai confermata ufficialmente nè suffragata da prove.
È tutto un sistema con cui si cerca di spaccare in due la realtà, una rappresentazione per cui i buoni sono nettamente da una parte e gli altri sono cattivi contro cui tutto è concesso.
Ma al di là delle ricostruzioni di parte, la domanda di fondo rimane una: se l’uccisione di 1400 Israeliani è un atto di terrorismo, che cos’è l’attacco indiscriminato contro una striscia di terra abitata da quasi due milioni di persone, per lo più civili?
Nel momento in cui sto scrivendo i morti palestinesi secondo la Mezzaluna Rossa ammontano a 10’328 morti e 25’965 feriti a Gaza, a cui si devono aggiungere 164 morti e 2’100 feriti Cisgiordania. È evidente che qualsiasi criterio di proporzionalità nella reazione ha lasciato il posto ad attacchi indiscriminati contro la popolazione araba.
Se l’uccisione di bambini israeliani è un crimine, come si possono chiudere gli occhi sui bambini palestinesi che muoiono a Gaza, la cui cifra provvisoria ammonta finora a 4’237, secondo i dati di Save the Children?
In che misura si può pensare che spianare Gaza, abbandonandone la popolazione in mezzo al Sinai, possa consentire un processo di pacificazione e la stabilizzazione della Terra Santa?
Ma da ultimo, anche tralasciando le questioni etiche, questa politica estremamente aggressiva da parte di Tel Aviv ha portato frutti, consentendo di estirpare i gruppi più violenti? In realtà la storia dal 1948 ad oggi sembra proprio dirci di no, ma questo Israele e i suoi seguaci sembrano non volerlo capire.
Andrea Campiglio
Vero quello che scrive. Voglio tuttavia fare l’avvocato del diavolo.
Questo manicheismo si nota anche nell’altro “campo”. C’è stato quell’attentato del 7 Ottobre e subito se ne è attribuita la responsabilità a Israele, attribuendo ad Hamas l’habitus di resistenti, quando in realtà quell’attentato con tutta evidenza serviva, come è servito, all’Iran: progetto G20, che isolava Iran e Cina, su corridoio India-Arabia-Israele, con l’ avvicinamento di questi ultimi che è abortito subito dopo l’attentato e la prevedibile, inevitabile quanto esagerata reazione israeliana. Subito si sono cercate le ragioni storiche per quell’attentato, giustificandolo con la pluridecennale oppressione dei palestinesi.
Tutto questo “giustificazionismo” con relativo stato di accusa allo stato di Israele, fino ad arrivare alla negazione della sua legittimità (ipocritamente mai ammessa apertamente), però non è stato riservato alla Turchia per il massacro degli armeni di un secolo fa, né per l’ esodo forzato dal Nagorno da parte della sua appendice azera, e neppure per quello dei curdi. Altri fantasmi per i campioni di questa parte del campo sono le vittime del conflitto Arabia-Houthi.
Da che parte i buoni e da che parte i cattivi?
Non ho notato in questo campo una gran passione nel cercarli. Vero che il conflitto israelo-palestinese ha una maggiore rilevanza politica o strategica, ma quando in questo campo si assumono atteggiamenti moralistici, di condanna, di sdegno etc. etc. questa domanda, queste perplessità sono più che legittimi.
Possiamo pensare infatti che in tutti questi conflitti e massacri non vi siano stati bambini?
In realtà si tratta in questo caso di una guerra ed è difficile distinguere i buoni dai cattivi, come in ogni guerra.