LE INTERVISTE TALEBANE: ALDO BRACCIO
“Eurasiatismo un’ideologia conservatrice al servizio della geopolitica” di Paolo Pizzolo, un testo che indaga l’ideologia dell’eurasiatismo, dottrina politica che fonda i suoi princìpi sulla geopolitica e sul conservatorismo. Affrontammo, già precedentemente, questo tema insieme a Lorenzo Maria Pacini che ha messo a nudo la dimensione epistemologica dell’eurasiatismo, ovvero, la capacità di Alexander Dughin di proporre una visione filosofica e politologica alternativa al mainstream dominante.
Certamente la geopolitica svolge un ruolo determinante e strumentale alla lettura degli eventi che, tumultuosi, si susseguono in modo scientificamente fondato. Tale disciplina, o chiave di lettura, prova a dare una interpretazione diversa all’attuale sistema internazionale. Le evoluzioni economiche contemporanee hanno realizzato nuovi equilibri internazionali tra Potenze che, tendenzialmente, dal sistema Bipolare tipico della Guerra Fredda, realizzano un mondo multipolare: tale tendenza è stata messa a nudo durante l’edizione 2013 del club Valdaï dove si sono gettate le basi, in particolare, alla discussione per quanto riguarda il ruolo Stati Uniti d’America. Ad oggi diverse sono le teorie e le opinioni autorevoli che sono state esposte: la dottrina di massima (come ad esempio Pascal Boniface) ritiene che l’attuale sistema di equilibri internazionali si mostrino in una situazione di “ibrido unipolare” o “in procinto di multipolarizzazione”.
Attualmente, noi de “Il Talebano” insieme con il nostro leader Fabrizio Fratus, lavoriamo in maniera serrata con attività di ricerca che promuovano analisi, proposte, strategie necessarie alla valorizzazione del concetto di Comunità nell’accezione di Tonnies e Aristotele. Il nostro lavoro scientifico si pone a difensa di un concetto di Europa dei Popoli Sociale, Sovrana, Mediterranea.
Noi, Talebani, riteniamo determinante declinare una narrazione che sia ben equilibrata dove la sovranità mentale contro l’omologazione del mainstream sia strumentale ad arginare quello che è il Qualunquismo militante di una società cresciuta come “polli da batteria”, senza con questo cadere in forme di nichilismo ribellista.
Riteniamo che, a tal proposito, sia necessario affrontare questo tema insieme ad un esperto: Aldo Braccio.
Aldo Braccio è uno studioso della Tradizione ed emerge, come figura di riferimento, tra i protagonisti della rivista di geopolitica “Eurasia” per approfondire meglio tali concetti in relazione alla evoluzioni degli scenari internazionali. Con Il Talebano, da tempo, portiamo avanti un lavoro di confronto molto attento agli sviluppi della Politica internazionale. Costantemente, ci confrontiamo con vari protagonisti, di rilievo nazionale e non solo, al fine di costruire una intelligente contro-informazione che abbia basi formative di sostanza: a tal proposito non poteva mancare il confronto con la rivista “Eurasia”.
Aldo, appare molto importante chiarire due concetti per affrontare il nostro presente: come ci descriverebbe Geopolitica ed Eurasia?
Per definizione la geopolitica comprende i due fattori della geografia e della politica e ne studia le relazioni; abbiamo quindi un dato oggettivo, suscettibile solo di lente modifiche nel tempo, e un fattore volitivo, creativo, legato all’attività umana. Possiamo anche dire che la geopolitica si occupa del rapporto tra istituzioni (statuali e non solo) /ideologie/politica e spazio/geografia. L’Eurasia comprende per l’appunto i due continenti conosciuti come Europa e Asia. Li comprende in una unità che supera ma anche rispetta le distinte identità presenti al suo interno – in questo senso la sua dimensione non può essere che quella imperiale, rettamente intesa, ossia unità essenziale e molteplicità di espressioni.
Dobbiamo osservare un fatto obiettivo, che è indipendente dall’esistenza delle molteplici identità culturali ed etniche presenti in questo vasto territorio, di cui costituiscono una ricchezza: ossia che da un punto di vista geografico l’Europa costituisce una propaggine della massa territoriale asiatica, con cui si salda organicamente poiché il modesto rilievo degli Urali non è certo sufficiente per una reale separazione. I grandi imperi della Storia sono perlopiù euroasiatici: l’impero di Alessandro, quello romano, quello bizantino, quello ottomano; tutti hanno avvicinato e fatto convivere elementi europei ed elementi asiatici, non sentiti in contrapposizione ma come complementari. Il grande Giuseppe Tucci affermava “non parlo mai di Europa e di Asia, ma di Eurasia “.
Comprendere e rafforzare l’idea di Eurasia è di un’importanza formidabile perché essa si pone come antagonista naturale di quella grande isola d’Oltreoceano che è centro propulsore dello sradicamento moderno, potenza “marittima” mercantile, liberale e liberista che tende a espandersi con il virus della globalizzazione
Negli ultimi anni lo scenario internazionale alimenta una crescente conflittualità e, nella sensibilità comune, viene impiantato un concetto di Occidente falsato. L’attuale Occidente non ha nulla a che fare con l’Europa e i suoi Popoli, bensì, la narrazione mainstream descrive tutt’altro. Ora, indipendentemente dalla complessità dei conflitti in corso, quali chiavi di lettura o quali testi consiglia per meglio comprendere l’attuale Presente in chiave multipolare?
Io penso che il termine “Occidente” tradisca un equivoco alquanto insidioso, come certamente voi de “Il Talebano” avvertite. Sotto il termine di Occidente viene contrabbandata un’ideologia – l’occidentalismo – che è del tutto estranea alla cultura tradizionale europea. È del resto sufficiente consultare una qualsiasi classica carta del mondo divisa in due emisferi per constatare come a occidente siano situate le Americhe, dall’altra parte siano Europa, Africa e Asia. Il tentativo – purtroppo largamente riuscito a partire almeno dal 1945 – di riunire Europa e Americhe nello stesso campo “occidentale” ha lo scopo di fare del nostro continente una colonia degli Stati Uniti d’America, come essa indubbiamente è: quando i nostri politicanti e giornalisti parlano dei “nostri valori” occidentali si riferiscono non certo a valori storicamente attribuiti agli europei – quali quelli rappresentati da un concetto tradizionale di Stato, di famiglia, di religione, di comunità solidale – ma a quelli propri del relativismo, dell’individualismo, del liberismo capitalista che calpesta ogni tipo di solidarietà e di vita comunitaria. Con la globalizzazione, imposta con le buone e, se non basta – sempre più spesso – con le cattive, viene imposto un mondo ibrido e fluido laddove vi era stabilità (sono del resto tendenze rispettivamente attribuibili alle Potenze di Mare e alle Potenze di Terra, suggerisce la geopolitica), denaro elettronico e impalpabile anziché solide risorse produttive, dominio dell’economia (in particolare della finanza) sulla politica. Fu proprio un’intuizione della cultura tedesca e continentale (Polanyi e Sombart soprattutto) il sottolineare che l’economia è figlia delle istituzioni politiche e sociali, non è una scienza a sé stante, come invece si è voluto fare credere per sottrarla al decisore politico e svincolarla da ogni controllo.
Occorre dunque una scelta di campo precisa per uscire senza rimpianti dall’”Occidente” e riconquistare la nostra identità, le nostre tradizioni, a partire da una riscoperta del Sacro che sola può dare un senso al nostro cammino: in questo senso il confronto con le altre grandi culture euroasiatiche – portatrici delle stesse istanze – potrà sicuramente giovarci.
I testi di carattere geopolitico da consigliare sarebbero tanti ma io mi limito a segnalare gli scritti di Carlo Terracciano e due opere del direttore di “Eurasia”, Claudio Mutti: “L’unità dell’Eurasia” e “Esploratori del Continente – L’unità dell’Eurasia nello specchio della filosofia, dell’orientalistica e della storia delle religioni”
Alla Luce degli attuali equilibri geopolitici mondiali, sempre più precari e frenetici, quali gli scenari possibili?
Gli equilibri sono effettivamente precari e frenetici, cosicché di tanto in tanto – ma ultimamente con maggiore frequenza – i rischi letali di un conflitto in qualche modo generale si manifestano.
Lo scenario auspicabile è allora proprio quello di un equilibrio di forze autocentrate in un mondo multipolare anziché unipolare (dalla caduta del Muro l’unico polo egemone è stato ovviamente quello statunitense). Precarietà e frenesia derivano dai cambiamenti in corso e quello che mi sembra sempre più constatabile è che tutti gli episodi, le guerre, i conflitti sono riconducibili a un contesto generale, a uno schema universale che è quello della pretesa statunitense/occidentale di mantenere il dominio globale; in questo senso la guerra in Ucraina, la feroce campagna sionista contro qualsiasi legittimazione di uno Stato palestinese, il perdurante martirio della Siria (che ancora oggi viene incredibilmente e periodicamente bombardata da Washington e Tel Aviv), le provocazioni anticinesi – per esempio a proposito di Taiwan – sono chiaramente collegati a questo tentativo di mantenimento del dominio globale, così come lo erano le aggressioni contro l’Afghanistan, la Serbia, l’Iraq, la Libia. Ma lo erano e lo sono anche gli omicidi mirati – come l’assassinio del comandante iraniano Soleimani – gli embarghi e le sanzioni applicati a Stati sovrani, le minacce rivolte a mezzo mondo, le ripetute violazioni del diritto internazionale, in particolare del diritto internazionale umanitario, come oggi in Palestina. Al dominio unipolare statunitense è pure – con tutta evidenza – collegata la dollarizzazione e finanziarizzazione delle economie e la depredazione delle risorse dell’Africa e di altri popoli ridotti in povertà, o per meglio dire in miseria.
Per opporsi a tutto questo è bene ricordarsi che risposte nazionali isolate, parziali, sono destinate al fallimento, oltre che demonizzate come pericolose eversioni antidemocratiche (“democrazia” è la parolina magica che chiude tutti i discorsi nella grande comunicazione allineata); è auspicabile invece la consapevolezza che i campi contrapposti sono oggi piuttosto ben delineati: ordine unipolare contro ordine multipolare, innanzitutto.
In prospettiva: se le identità vanno certamente rispettate e difese (e solo una dimensione imperiale può garantirlo, sostituendosi alle miopie nazionalistiche) è solo nei grandi spazi, come quello euroasiatico, che le decisioni fondamentali, anche quelle veramente rivoluzionarie, possono essere prese. Vorrei infine segnalare che iniziative come quelle dei BRICS sono fondamentali perché aprono scenari nuovi e spazi di libertà a tutto quel mondo che vorrebbe sentirsi sovrano e poter dialogare con tutti, mantenendo specificità e differenze e sottraendosi alla cancel culture anglosassone, recente ulteriore aberrazione di segno occidentale. Difesa delle radici, dunque, contro la modernità liquida che ci viene continuamente proposta in questi anni di smarrimento e di decadenza.
Paolo Guidone
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