LE INTERVISTE TALEBANE: SANDRO CONSOLATO
…Credo che la Parola sia sempre comunicata direttamente sino dall’inizio delle cose. Essa ha parlato direttamente a Adamo, ai suoi figli e successori, a Noè, Abramo, Mosè, ai Profeti sino al tempo di Gesù Cristo. Ha parlato con il gran Nome, voleva trasmetterlo direttamente e per pronunciare il quale, secondo la legge levitica, il gran Sacerdote si chiudeva solo nel Santo dei Santi; secondo alcune tradizioni, portava dei campanelli attaccati al fondo della veste per coprirne la pronuncia alle orecchie di coloro che restavano nelle altre cinte…
Gérard Encausse, Papus, nasceva il 13 luglio 1865 a La Coruña (Spagna) e passava alla vita eterna il 25 ottobre 1916 a Parigi. Una figura interessante quella di Gérard Encausse in arte Papus: questi prese il suo nome mistico dal Nuctéméron di Apollonio di Tiana. Uomo dall’intelletto impegnato ma anche mondano, allegro e mondano, frequentatore dello “chat noir” sulla collina di Montmartre, locale molto in voga trascorreva molto del suo tempo nelle biblioteche alla ricerca di testi dai Saperi Antichi. Ne studiò diversi fino a trovare una sintesi, la sua, fra una Tradizione Orientale e una Tradizione Occidentale. Papus, seppur figura eterodossa dal punto di vista tradizionale ma riportato in questo lavoro per la bellezza del suo Pensiero, scrisse più di 160 testi utilizzando il suo pseudonimo molto spesso a rimarcare la tradizione alchemica come fisiologica estensione di Saperi ben più antichi, dalla cui lettura, emerge la necessità di non vivere il percorso della ricerca in chiave nuova seppur ben salda alla Tradizione.
Nella narrazione quotidiana del Vivere il tema della Tradizione è una costante: precedentemente, in una intervista ad Alberto Lombardo, abbiamo discusso del nesso tra Tradizione e Identità dei Popoli italiani. Attualmente, davanti all’invadente avanzata della cancel culture, sostengo sia importante favorire questi temi soprattutto nel desiderio di esplorare il concetto di Homo Religiosus nella sua forma più ampia e articolata.
Il tema degli studi Tradizionali è, inutile sottolinearlo ampio, complesso ed elitario: non si ci si può esimere dall’esaminarlo nei suoi risvolti metapolitici e identitari. Accanto al nome di Julius Evola, sempiterno maestro, vi sono stati vari autori: Guido De Giorgio tra Romanità e Cristianità, gli studi di Renato Del Ponte sulla religiosità precristiana e il movimento Tradizionalista Romano nel ‘900. Questo mare magnum di contenuti va affrontato con sapienza e perizia; in tal senso possiamo godere della guida e di un confronto costruttivo con il professore Sandro Consolato studioso esperto di Tradizione.
Professore Consolato, nel ringraziarla per la sua gentile disponibilità, Le chiediamo di illustrarci il suo percorso intellettuale. Saremmo felici se ci raccontasse dei suoi studi e dei suoi libri.
La mia presenza come autore nell’area del tradizionalismo italiano inizia alla fine degli anni 80, con le prime collaborazioni alle riviste “La Cittadella” e “Arthos”. Del 1995 è il mio saggio Julius Evola e il buddhismo. Evola è rimasto un autore centrale nei miei interessi, e gli ho poi dedicato altri lavori, come Evola e Dante (2014) e Le tre soluzioni di Julius Evola (2020), curando anche per il trentennale della morte del Filosofo (2004) un numero monografico de “La Cittadella”. Ogni tanto capita che qualcuno mi definisca “evoliano”, ma io non accetto questa etichetta, mentre ritengo del tutto corretto dire che sono uno studioso “di formazione evoliana”: pressoché tutti i miei indirizzi di studio, ma anche quelli strettamente spirituali, sono stati ispirati dalla lettura giovanile di Evola, dal quale però ho preso le distanze su vari temi, in particolare su taluni temi storici e politici. Come studioso, oltre che di Evola, mi sono comunque occupato anche di Reghini e Kremmerz, e soprattutto di René Guénon: recentissimo (2023) è il mio libro A Ovest con René Guénon. Da un punto di vista più “militante”, in senso spirituale e culturale, devo necessariamente ricordare la mia adesione e la mia attività entro il cosiddetto “tradizionalismo romano”, di cui la traccia più significativa è la direzione della seconda serie del già citato trimestrale “La Cittadella” (2001-2012). A questo ambito vanno ricondotti anche miei libri di carattere storico, come Dell’elmo di Scipio (2012), Urbs Aeterna (2019) e Giacomo Boni. Scavi, misteri e utopie della Terza Roma (2022), che è senz’altro il mio lavoro più importante, apprezzato anche in ambito accademico.
Vuole illustrarci il concetto di “Tradizione Romana” di Guido De Giorgio?
Innanzitutto vorrei sottolineare come De Giorgio per lungo tempo, nel secondo dopoguerra, non fosse molto di più che un nome, conosciuto grazie al breve ma significativo ritratto che ne fece Evola ne Il cammino del cinabro, dove volle anche segnalare i debiti intellettuali che aveva verso l’amico, che definì “una specie di iniziato allo stato selvaggio”. De Giorgio diventa un “autore” solo grazie alla pubblicazione postuma, nel 1973, del suo volume inedito La Tradizione Romana. Si deve però soprattutto a Piero Di Vona l’averne riconosciuto l’importanza intellettuale, come dimostra il fatto che lo studioso campano (il più profondo conoscitore, in ambito accademico italiano, degli autori “tradizionali”), ampliando nel 1993 la sua già notevole opera del 1985 Evola e Guénon. Tradizione e Civiltà, ne modificò il titolo in Evola Guénon De Giorgio. L’opera di De Giorgio sulla Tradizione Romana fu scritta sul finire degli anni 30 ed era strettamente connessa all’idea di dare una dimensione spirituale al Fascismo, tant’è vero che quando nell’immediato dopoguerra l’Autore la fece avere a Guénon, questi gli fece notare che, volendola pubblicare, avrebbe ormai dovuto “liberarla” da quanto si legava alle superate contingenze storiche. Ad ogni modo, La Tradizione Romana in larga misura può essere considerata la Rivolta contro il mondo moderno di De Giorgio, poiché contiene un’ampia critica alla modernità e la proposta di un suo superamento secondo indirizzi già dati da Guénon. Ma il messaggio più originale e forte è quello che quel superamento, che per lui rappresenterebbe la salvezza dell’Occidente, lo si deve cercare nello spirito di Roma, che ritiene eterno, mai morto. A differenza di Evola però, e riprendendo, ma in modo del tutto particolare, talune suggestioni di Guénon, De Giorgio non contrappone Romanità precristiana e Romanità cattolica. La Romanitas metafisica per lui è un archetipo sovrastorico, che si è manifestato nelle due forme anzidette, e il simbolismo bifacciale di Giano alluderebbe esso stesso a tutto ciò. Nel libro ci sono elementi enigmatici, come il riferimento al permanere del fuoco di Vesta, ma rimane difficile dire a cosa pensasse esattamente con tale riferimento. Personalmente non condivido l’idea di una continuità occulta tra le due Rome, e ho anche spiegato perché nel mio libro su Guénon.
In tempi recenti abbiamo assistito alla tragica scomparsa di Renato Del Ponte. Non crede che si può considerare un maestro? Vuole inquadrare la sua figura ed opere?
La scomparsa di Del Ponte è stata più triste che tragica, essendo stata dovuta a una malattia che si è trascinata per mesi. Ma la si può dire tragica per chi lo stimava e gli voleva bene e si attendeva da lui nuovi studi. Del Ponte lo si può certamente considerare un maestro; per me lo è stato senz’altro. Credo che il suo insegnamento fondamentale sia stato quello di studiare il mondo sacrale degli antichi tenendone per certa la realtà della dimensione spirituale, ma al contempo senza darsi a voli pindarici tipici di una certa letteratura “esoterica”, quindi avendo cura di utilizzare tutti gli strumenti di una adeguata preparazione storica e filologica. I suoi tre libri più importanti, Dei e miti italici, La religione dei Romani e I Liguri, ben testimoniano tutto questo. Devo aggiungere che nel primo libro, in particolare, si avverte chiaramente che Del Ponte “respirava” l’aura spirituale del mondo di cui parlava. Posso anche dire che mi riconobbe il merito di averlo capito, e sull’ultimo numero di “Arthos” da lui curato mi chiese il permesso di pubblicare, come recensione della nuova edizione del libro, uno stralcio della lettera che gli inviai dopo aver letto la prima, nel lontano 1985. A lui e a Salvatore Ruta si deve, con la fondazione del Movimentro Tradizionalista Romano, una significativa riscoperta della religiosità precristiana d’Italia. Ma devo precisare che in lui mai ci furono stucchevoli atteggiamenti “neopagani”, e dimostrò il proprio “classicismo” anche nella sobrietà, nel senso della misura, con cui propose l’accennata riscoperta.
Paolo Guidone
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