LE INTERVISTE TALEBANE: FRANCESCO MAROTTA
“…Quando ci inginocchiamo per pregare tornano davanti ai nostri occhi le immagini degli atti e delle parole che abbiamo compiuto in precedenza e ci fanno adirare o rattristare a seconda dei sentimenti che già suscitarono in noi. Può darsi anche che ritorniamo alle concupiscenze e alle passioni di prima, che ridiamo di un riso sciocco al ricordo – è vergogna persino dirlo – di qualche barzelletta udita o di qualche gesto ridicolo osservato. Insomma la nostra mente se ne torna facilmente alle sue divagazioni.
Perciò, fin dal tempo che precede la preghiera, dobbiamo allontanare con somma premura dall’intimo del nostro cuore tutti quei vani pensieri, se non vogliamo che impediscano il nostro pregare…”
Quanto afferma San Cassiano non fa una piega: il momento del raccoglimento in preghiera, quando ci si ricongiunge all’io interiore, è sempre una fase molto delicata. Seppur molte filosofie ascetiche, predicano la Solitudine come momento di elevazione e di equilibrio, l’Uomo non è fatto per viver da solo. L’uomo è animale sociale capace di dare il meglio solo se riunito in Comunità.
Il concetto di Comunitarismo, nostro cavallo di battaglia, ha una lunga storia del pensiero europeo: decisivo il lavoro metapolitico, in tal senso, della Nuova Destra che a partire dalla fine degli anni ‘70 ha ben declinato tale concetto sia con riferimento a Tonnies, sia con il confronto con la variegata galassia dei Communitarians americani.
Successivamente, questi contenuti sono stati ripresi da Costanzo Preve, Marcello Veneziani, Massimo Fini e “Il Talebano” laboratorio di pensiero del sociologo Fabrizio Fratus. La Nuova Destra, che nel tempo ha sviluppato sintesi interessanti, oltre lo storico sodalizio sviluppato intorno al professore Marco Tarchi, ha prodotto buoni esempi come per il caso Arianna, casa editrice condotta magistralmente da Edoardo Zarelli. Altra nota positiva è stata la nascita nel 2020 di G.R.E.C.E. Italia dove, con l’apporto di giovani studiosi, si sviluppano temi che nascono in Francia oltre 50 anni fa.
Alla luce di quanto appena esposto, abbiamo deciso opportunamente, di confrontarci con Francesco Marotta.
Marotta, responsabile di G.R.E.C.E. Italia, dimostra posizioni interessanti in ambito metapolitico in relazione all’imporsi di aspetti, particolarmente problematici, legati alle evoluzioni della rivoluzione sessuale, veicolo importante di profondo stravolgimento antropologico. Intraprendiamo un confronto in una logica di ottimizzazione dei contenuti.
Francesco Marotta, che cosa è G.R.E.C.E. Italia e cosa si propone di fare?
Il G.R.E.C.E. Italia, lo dice il nome, è parte integrante del G.R.E.C.E., Groupement de Recherche et d’Études pour la Civilisation Européenne (Gruppo di Ricerca e Studi sulla Civiltà Europea), fondato in Francia il 4 e 5 maggio del 1968, precisamente nella città di Lione. L’iscrizione ufficiale al registro delle associazioni e il deposito dello statuto risalgono invece al gennaio del 1969. L’idea di costituire un gruppo di studi e ricerche risale al lontano 1966, già in fase di elaborazione con il Gruppo di studi dottrinari diretto da Alain de Benoist. Il quale, direi più che giustamente, era un tantino titubante sul dar vita ad un’associazione. Memore delle esperienze giovanili, più o meno le stesse che ho avuto modo di sperimentare in Italia (le analogie erano diverse ma non la sostanza). La deriva di «Europe-Action» fece il resto, era già scritta: prima la rivista, poi il movimento politico, in ultimo il trasformarsi in un partito.
Gli amici di Alain de Benoist, lo spinsero a dare una struttura al G.R.E.C.E. ed una forma organizzativa. Suggerì il nome definitivo e l’emblema del Gruppo di Ricerca e Studi, il nodo intrecciato proveniente dall’arte celtica irlandese, «affinché non potesse essere, mai e poi mai, tracciato o dipinto su un muro!». Cosa che avvenne anni dopo, la stessa cosa capitò successivamente in Italia, soprattutto per via dell’utilizzo del simbolo in ambiti politici e movimentisti. Il Gruppo di Ricerca e Studi è nato da un volere collettivo e non individuale, è bene chiarirlo. Di fatto, tra i suoi membri di allora e di oggi, figurano intellettuali e studiosi dalle molteplici provenienze ed esperienze che hanno deciso di lasciarsi alle spalle ogni tipo di discorso emiplegico, superando di gran lunga i ben noti recinti ideologici, del tutto incapaci di proporre una visione delle cose e del mondo coerente.
Ed è così che anni or sono, in realtà non sono due ma trattasi di un decennio, decisi con estrema accortezza, prendendomi tutto il tempo necessario e consultandomi prima con l’amico Michel Thibault (Presidente del G.R.E.C.E. in Francia), di dar vita al Gruppo di Ricerca e Studi anche in Italia. Chiamai subito a raccolta quelli che, a mio avviso, erano degli intellettuali e degli studiosi, lo sono tutt’oggi, immuni da ogni tipo di “specchietto retrovisore”, dalle eccezionali virtu’ umane e dai profondi studi in svariate discipline. In una riunione tenutasi a Milano, scegliemmo assieme di darci una forma. Nacquero così le sezioni del G.R.E.C.E. Italia, di cui l’amico Eduardo Zarelli che lei ha menzionato, è Responsabile della sezione editoria, cultura e metapolitica. Scegliemmo al contempo il simbolo del G.R.E.C.E. Italia, Castel del Monte che ben ci rappresenta, un richiamo al simbolo ma anche ai segni e legami con la cultura italiana ed europea.
Il compito che ci siamo dati, vivendo in anni ed in un contesto così diversi da quando fu fondato il G.R.E.C.E. in Francia, campeggia sul nostro sito internet: «il G.R.E.C.E. Italia non è un movimento politico ma una scuola di pensiero. Le attività che la contraddistinguono (pubblicazione di libri e di riviste, indizione di convegni e di conferenze, organizzazione di seminari e di università estive, ecc.) si collocano sin dall’inizio in una prospettiva metapolitica». Inoltre, per il G.R.E.C.E. Italia è di primaria importanza il lavoro che svolge da tantissimi anni il professore Marco Tarchi: le due Riviste «Diorama Letterario» e «Trasgressioni» sono le uniche due Riviste dove è possibile leggere le analisi del Gruppo di Ricerca e Studi e di Alain de Benoist in Italia.
Come ebbi a scrivere, « non può esserci una trasformazione o un cambiamento dello status quo e del potere politico che non passi attraverso la presa del potere culturale, attraverso quella che è una trasformazione o metamorfosi delle idee generali e dello spirito del tempo. La posta in gioco di questa battaglia o guerra è come dicevamo la cultura, considerata essere il luogo del controllo e della specificazione dei valori e delle idee». Il compito che ci siamo dati è quello di contribuire alle trasformazioni o metamorfosi delle idee generali e dello «spirito del tempo». Le nostre idee e pensieri sono rivolti a chiunque voglia condividerli e farli suoi, a chiunque non la pensi esattamente come noi, cercando di sviluppare delle sintesi che incidano.
Evola, “il filosofo proibito”, scrisse nel 1958 un testo molto particolare “Metafisica del sesso”, dove viene illustrato il tema dell’Eros all’interno di studi Tradizionali: seppur si tratti di tematiche complesse, possiamo sintetizzare in poche battute ponendoci un interrogativo importante. Affermando che una corretta concezione dell’Uomo, come corpo-anima-spirito, è necessaria per non essere assorbiti da un utilizzo della sessuologia da parte di un mainstream arcobaleno? A tale riguardo, cosa ne pensa? Come si può inquadrare a livello metapolitico un tema di questa portata?
Innanzitutto, dobbiamo fare una netta distinzione tra cosa sia la concezione dell’uomo, così come lei l’ha definita, in quanto relegata ad essere «corpo-anima-spirito», oppure ad una concezione ritenuta «giusta» dell’uomo che ci allontana dalla sua definizione. Piuttosto, l’uomo non è buono, cattivo, etc. L’uomo è molte cose di più. Possiamo dire, essendo parte di un pluriverso, egli stesso lo è nella sua complessità. Martin Heidegger pensava che i concetti del prendersi cura e dell’abitare (non dobbiamo aver paura di riconoscere quest’ultimo), assieme alla dimensione dell’autenticità che viene negata dall’inautenticità e dalla «vita in autentica», parlassero chiaro. Precisamente, il filosofo tedesco non sbagliava affatto quando scrisse quanto segue: «Essere uomo significa: essere sulla terra come mortale; e cioè abitare». L’ambito del mainstream, disconosce i due termini di ciò che è «proprio» e di ciò che è «improprio». Beninteso, non è di certo il solo. Le parole hanno un loro significato che non contempla un uso arbitrario della semantica e della grammatica. Le parole annunciano anche la più profonda relazione dell’essere, il mondo cui si riferiscono e ciò che dovrebbero descrivere.
In quanto a Evola, il discorso è molto più complesso. Figlio dei suoi tempi e per alcuni argomenti esplicati in “Metafisica del sesso”, dobbiamo prestare attenzione al suo pensiero nella sua interezza. Come in altri testi, vedasi “Rivolta contro il mondo moderno” è ben evidente l’opposizione, per meglio dire la contrapposizione che espone tra lo Stato e il popolo, il parallelismo tra il virile e il femminile, la «Raffigurazione femminile» e la «Raffigurazione virile». Ancora più chiaramente tra Stato e popolo, la polarità maschile-femminile si accentua, utilizzando un simbolismo analogico che intercorre tra forma e materia: la «forma» designa lo spirito, la «materia» la natura, la forma legata all’elemento paterno e virile, luminoso e olimpico, il secondo all’elemento femminile, materno, puramente vitale, etc. Per Evola, lo Stato nasce sotto il segno maschile, mentre la «società», il popolo ed il demos, sono invece parte del segno femminile.
Sempre secondo Julius Evola, non esistendo uno Stato tradizionale (virile-olimpico) che tragga origine dal demos (uranico-femminile), quest’ultimo ha sempre bisogno di una catarsi per essere parte attiva di un ordinamento politico tradizionale. L’originalità del pensiero evoliano è indubbia, però ci sono delle tesi e dei convincimenti che non mi vedono concorde, questo è uno di essi. La stessa cosa vale, tornando alla domanda, ai concetti di Nazione, Patria e popolo, che sono ritenuti essere essenzialmente “naturalistici”, biologici e non politici. I quali, così come precisa Evola, corrispondono alla dimensione «materna», alla dimensione fisica e deterministica, solo in una accezione negativa e rivolta al senso di comunità.
In relazione a ciò, scrive ancora Evola, gli uomini se ne separano per fondare «l’ordine virile e luminoso dello Stato». Sintetizzandone molto il pensiero, l’attaccamento alla Patria, alla Nazione o alle comunità, è riscontrabile nella plebe, nel femmineo e nell’uranico. La polarità maschile-femminile qui assurge ad una visione della concezione della storia che caratterizza il filosofo: le civiltà del Nord (virili ed eroiche) e le civiltà del Sud (il mondo ctonio, della Madre e della Donna), in netta contrapposizione tra loro.
Ora, facendo un altro esempio, senza soffermarci sulla concezione “romana” e tradizionale di Evola, possiamo dire che il mainstream riduce il maschile-femminile ad una questione caricaturale ma all’opposto. Spiegandomi meglio, fa suoi tutti i postulati della femminilizzazione della società affidandosi ad un riduzionismo che esclude le differenze che intercorrono tra i due sessi: elevando al rango di verità rivelate solo quelle femminili, a detrimento di quelle maschili. Una alienazione che incentiva la non complementarietà che intercorre tra il maschile e il femminile. L’argomento è ampio e concerne anche il frutto del cambiamento dei costumi, per il motivo che questa tipologia di femminilizzazione assume i tratti non differenziati di una parità tra uomo e donna in tutte le sfere e domini. Questo è ben visibile nel discredito, indistinto, dei principi e dei valori maschili che sono alla luce del sole. Le specifiche di questa femminilizzazione si dipanano a raggio anche nella sfera istituzionale, legale (giusliberismo) e civile, annichilendo quella mancanza di corrispondenza, le qualità dissimili che, come dicevamo, sono alla base della complementarietà tra i due sessi.
Per comprendere a pieno questo argomento, è necessaria una visione delle cose che sia anche ermeneutica. Questo è ciò che penso: affidarsi alla concezione borghese in voga negli anni Trenta e nei primi anni Quaranta è un errore. Una società che si regge solo sui valori maschili o solo sui valori femminili è del tutto mancante di equilibro, dunque squilibrata. Il problema principale è l’indifferenziazione generalizzata, figlia della modernità. Ad accrescere questa indistinzione non troviamo un mostro immaginario ma le tendenze dettate dal capitalismo, gli esempi sono innumerevoli e le pubblicità in TV o sui giornali dei grandi marchi, è solo una parte del problema. Quel narcisismo e l’infantilismo che riscontriamo nel «mainstream arcobaleno» ed in alcuni messaggi della politica, vengono alimentati dalla tipologia di attivismo aziendale (vedasi anche la cultura woke), sempre pronta a “sincerarsi” dei problemi sociali purché portino un profitto immediato. L’intenzione è quella di stimolare il dibattito pubblico ma solo se è funzionale a ciò e non a ridurre le disuguaglianze reali, arrecate dal capitalismo, subite dalla maggioranza delle popolazioni.
La linea seguita dalle multinazionali e dalle Corporation ha mutuato alcuni degli assunti e delle trasformazioni del populismo, le esigenze del demos, stravolgendoli e indirizzando il tutto verso le esigenze e le necessità aziendali. Anche qui, traducibili nel sostegno ad ogni tipo di minoranza purché non sia parte delle idee e della concezione della maggioranza. La politica in sé diventa solo un orpello da dirigere a seconda di cosa fa più comodo, scegliendo di adeguarsi, peggio ancora ad alta voce, alle agende dettate da questi gruppi di pressione che incidono. Dunque, è di primaria importanza una visione autenticamente metapolitica che non è un altro modo di fare politica. Dunque, si dovrebbe osservare l’attrazione degli uomini verso la femminilità e quella delle donne verso la virilità, riflettendo sul problema che è la perdita di virilità che procede di pari passo con la perdita della femminilità. La femminilizzazione della società denota una rinuncia implicita della donna alla femminilità.
Gli ambiti in gioco sono molteplici, compresi quelli della sociologia e della filosofia. La metapolitica riveste indubbiamente un ruolo importante, purché non si confonda una cosa per un’altra. Il mainstream è solo la voce e la penna, un’appendice e un amplificatore del problema principale.
Paolo Guidone
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