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LE INTERVISTE TALEBANE: ALBERTO LOMBARDO

Paolo Guidone, autore del saggio “Come difendere la nostra Identità”, afferma quanto sia importante considerare Julius Evola uno dei padri del neopattriotismo. Più specificatamente, richiamando al ricordo il compianto professor Piero Di Vona, parleremo di “Tradizionalismo Romano” o più ampiamente italiano ovvero del radicamento della Tradizione nel nostro Paese.

Rimandando alla lettura del testo “Esoterismo e Fascismo” di Gianfranco De Turris (2006), per un inquadramento più generale, crediamo che questo nesso tra identità e Tradizione sia particolarmente importante. Sotto tale aspetto è importante il ruolo del “Centro Studi La Runa” diretto dall’ avvocato Alberto Lombardo che abbiamo il piacere di ascoltare per un confronto riguardo ai comuni temi di identità e Tradizione. Nel suo libro, Paolo Guidone ben affronta il concetto di Homo Religiosus definendolo come una componente fortemente collegata al piano identitario ed esistenziale. Molto interessante soprattutto alla luce della attuale tendenza della Cancel Culture di banalizzazione dilagante.

Con Alberto Lombardo, ottimo curatore di importanti lavori su Julius Evola e Adriano Romualdi, proveremo ad approfondire questi temi.

Avvocato Alberto Lombardo, la ringraziamo per aver accettato questa intervista. Il “Centro studi la Runa”, da Lei diretto, rappresenta una bellissima realtà che ha molto approfondito i temi del Tradizionalismo e identitarismo producendo un materiale di studio degno di nota: vuole illustrare ai nostri lettori questa realtà?

Il Centro Studi La Runa è una piccola associazione culturale che porta la sua attenzione alle origini: storiche, linguistiche, simboliche, antropologiche. L’origine infatti racchiude l’avvenire, nello stesso rapporto che vi è tra atto e potenza, o tra il seme e l’albero; ma al contempo l’origine, come ci hanno dimostrato vari filosofi, è sempre possibile, quindi non è relegata in un passato ormai intangibile.

Forse però le ho dato una risposta troppo generica, quindi preferisco spiegarmi un po’ più diffusamente. L’associazione è nata nel 1994 da un piccolo gruppo di amici, appassionati di letteratura dell’immaginario e del pensiero di Tradizione. Nei primi anni, stampammo una rivista, che andò avanti per sedici numeri, e alcuni piccoli libri che vertevano su temi storico-religiosi, letteratura fantastica, archeologia.

Col passare degli anni l’attività “editoriale”, pur se rimanendo su un piano sempre del tutto amatoriale, ci aveva fatto avvicinare una serie di nuovi collaboratori, e al contempo allontanare quegli iscritti che si stancavano, o che non avevano interesse nei confronti dei nuovi ambiti verso cui spostavamo la nostra attenzione. Nel frattempo, l’associazione diventava via via sempre più informale, cioè dopo pochi anni abbiamo smesso di fare tesseramenti, abbonamenti, eccetera: il Centro Studi si era trasformato in una semplice “compagnia di fatto”, un gruppo variabile di persone che condividevano degli interessi, almeno per un tratto della loro strada.

Sul finire degli anni ’90, con la prima diffusione capillare di internet, iniziammo a occupare un posto nel web, diffondendo testi e materiale che reputavamo importanti, cercando così di raggiungere un pubblico più ampio di quello dei lettori della nostra rivista. Io avevo cominciato anche a scrivere anche per alcune riviste e quotidiani e “giravo” sul sito quel che mi pareva potesse servire a farlo crescere. Era l’internet “1.0” a cui si accedeva con i modem 56k, quello con le gif animate e le pagine scritte direttamente in html: capivamo il potenziale del “sito”, ma all’epoca non prevedevamo che dopo alcuni anni i social network avrebbero occupato un ruolo ben più importante.

Comunque, sul web il Centro Studi La Runa ha continuato a svilupparsi, almeno sotto il profilo della quantità e della qualità dei contributi. Negli anni ha avuto numeri davvero significativi di lettori, sia occasionali, sia continuativi e affezionati; sono stati molti anche gli amici “incontrati per strada”, magari perché capitati sul sito tramite una chiave di ricerca che li ha portati a qualche articolo pubblicato anni prima.

Oggi il sito è un corposo archivio di storia, letteratura, tradizione, religioni, filosofia. Vi si trovano pagine tematiche su singoli autori (Julius Evola, Adriano Romualdi, Alfredo Cattabiani, Mircea Eliade, Friedrich Nietzsche, Knut Hamsun, Ernst Jünger, ecc.). Un’area a cui tengo particolarmente è quella dedicata agli studi indoeuropei, cioè a quel proto-popolo dalla cui progressiva diaspora sono sorte le popolazioni che hanno dato origine, tra l’altro, alle civiltà d’Europa.

 

Personalmente credo che per un sano patriottismo sia necessario abbinare lo studio delle plurali radici etniche con lo studio storico religioso. Infatti, purtroppo, si è imposta una educazione che ci porta a vedere le nostre radici precristiane e preromane come “l’infanzia dell’umanità”. Dal mio punto di vista, credo si tratti della manifestazione plurale della Tradizione eterna e il fenomeno del “Tradizionalismo romano” del novecento ne è una dimostrazione. Per chi volesse approfondire questo macrotema delle radici spirituali dei popoli italiani, come potrebbe orientarsi a livello bibliografico e metodologico per tale ricerca?

 

Sono d’accordo con quello che lei dice in premessa, cioè che lo studio dei popoli antichi debbano essere condotto sia negli aspetti materiali, sia in quelli legati alla spiritualità e alla “visione del mondo”; se poi questo approccio porti come risultato a un sano patriottismo, credo dipenda dall’oggetto e dal soggetto, cioè da quale popolo si studia e quale persona conduca lo studio. In altri termini, posso anche interessarmi, dal punto di vista etnologico, ai Maya o agli Inuit, ma senza sentirmi un loro discendente o doverne condividere la mentalità; e allo stesso tempo chi non abbia una certa sensibilità può anche occuparsi con grande serietà filologica, per esempio, della monarchia romana, senza che questo lo sposti di un centimetro dall’essere e rimanere un “cosmopolita” che se ne infischia delle identità.

Vedere il passato come un’epoca di ingenua fanciullezza che viene “redenta” dal progresso, oltre che sintomo di desolante superficialità, tradisce un’ideologia piattamente lineare della storia. Su questo ci sarebbe parecchio da dire; mi limito però ad aggiungere che la storia non è per nulla lineare – se abbia la forma di una linea spezzata, o sia ciclica, sferica, elissoidale eccetera si potrebbe discutere. Potrebbe anche non avere alcuna linea o logica, il che destabilizzerebbe tanto i progressismi e gli evoluzionismi quanto chi, al contrario, è convinto che la decadenza sia un fatto ineluttabile.

Per quanto riguarda il risorgere dell’arcaico, come nel caso del tradizionalismo romano nel ‘900, credo che questo fenomeno illustri piuttosto bene sia la cosa che dicevo al principio, cioè che l’origine è qualcosa di sempre possibile; sia un certo “pericolo” insito nelle rievocazioni, che possono facilmente cadere in una cosa vuota, inanimata, quasi grottesca o fintamente “folkloristica”. E’ anche il caso di certe feste locali che ci sono un po’ in tutta Italia; alcune hanno effettivamente retaggio antichissimo, altre sono ricostruzioni posticce o hanno solo una patina d’antico che serve a finalità meramente turistico-economiche. Certo, questo conferma la possibilità di “reinventare” il passato, ma questa riappropriazione va fatta con senno.

Una delle persone verso le quali ho maggiore riconoscenza per gli insegnamenti che mi ha dato è il professor Renato del Ponte, che purtroppo è morto l’anno scorso. Egli aveva studiato a fondo il tradizionalismo romano del ‘900 e, più in generale, la sopravvivenza della spiritualità del mondo antico nel medioevo e nel moderno, così come le “risorgenze carsiche” di idee e correnti spirituali. A chi si interessasse di questi argomenti, con particolare riguardo all’Italia, consiglierei senza dubbio la lettura dei suoi libri (penso a La religione dei romani, Dei e miti italici, I Liguri, Il movimento tradizionalista romano nel ‘900). Ma ci sono stati altri pionieri, per esempio Gualtiero Ciola, di cui ricordo Noi, Celti e Longobardi; negli ultimi decenni è cresciuta sensibilmente la letteratura specialistica sui Celti in Italia.

Ma se vogliamo andare oltre questo livello – cioè andare un passo oltre verso l’origine – credo ci si debba inevitabilmente accostare allo studio degli Indoeuropei. La direzione è quella che aveva tracciato magistralmente Adriano Romualdi, in scritti come “Sul problema di una tradizione europea” e, per l’appunto, “Gli Indoeuropei. Origini e migrazioni”. Le Edizioni di Ar hanno pubblicato o riedito altri ottimi libri su questi temi, come quelli di Giacomo Devoto e Jean Haudry; su una simile linea di pensiero ci sono diversi scritti di Julius Evola, come quelli recentemente raccolti nel volume “Il mistero dell’Occidente”. Consiglierei anche, come introduzione un po’ più ampia a questo tema, il bel romanzo di Jean Mabire che si intitola “Thule. Il sole ritrovato degli Iperborei”.

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