LA SPERANZA DIVAMPA. CRONACA DI UN PELLEGRINAGGIO
Anche quest' anno si è tenuto il tradizionale pellegrinaggio di Pentecoste da Parigi a Chartres
Non so quale sia la vostra idea di pellegrinaggio e quali siano le vostre esperienze a riguardo. Io tendenzialmente al termine pellegrinaggio associavo i pullman di tranquilli pensionati che la domenica si recano in qualche santuario.
Bene, il pellegrinaggio di Notre-Dame de Chrétienté è ciò che di più lontano possa esistere da questo stereotipo.
Si tiene ogni anno durante il fine settimana di Pentecoste, dura tre giorni e consiste in un cammino di 100 km, che i pellegrini percorrono a piedi partendo da Parigi per arrivare alla cattedrale gotica di Chartres. L’età media è bassissima e l’organizzazione è a livello paramilitare: per tre giorni ci si alza alle 5, si marcia per più di 30 km e si dorme sull’erba in tendoni allestiti in mezzo alla campagna francese.
Ultimo appunto: la liturgia. La caratteristica di questo pellegrinaggio è che la liturgia è esclusivamente Tridentina, cioè la “Messa in latino”, secondo il messale precedente alla riforma liturgica e al Concilio Vaticano II.
La tradizione dei pellegrinaggi da Parigi a Chartres è antichissima, risale addirittura al IX secolo ed è legata al tradizionale percorso che il re di Francia compiva per recarsi a rendere omaggio al velo di Maria, custodito nella cattedrale di Chartres appunto.
Questa antica tradizione viene riscoperta in età moderna da Charles Peguy, l’intellettuale cattolico francese che nel 1912 compie il tragitto, riportandolo in auge.
Da quel momento la Parigi-Chartres diventa un punto di riferimento per la Francia profonda, quella legata alla sua identità cattolica e monarchica, della Vandea e di Giovanna d’Arco, la Francia che la Repubblica laica vuol fare dimenticare.
La sua definitiva caratterizzazione si ha negli anni successivi al Concilio Vaticano II e alla successiva riforma liturgica: in quegli anni il pellegrinaggio si afferma come momento di incontro per quei cattolici che rimangono ancorati alla tradizione liturgica tridentina e alla lingua latina.
Nato come fenomeno semi clandestino e mal sopportato (o anche esplicitamente avversato) dalle gerarchie ecclesiastiche, a partire dal 1988 viene accettato e riconosciuto da Giovanni Paolo II, per poi essere sostenuto e incoraggiato sotto il pontificato di Benedetto XVI.
Con l’arrivo di Bergoglio e la situazione cambia radicalmente: nel luglio del 2021 viene pubblicato il motu proprio Traditionis Custodes che segna una rottura netta con il mondo cattolico tradizionale e smentisce completamente il precedente Summorum Pontificum, con cui Ratzinger aveva liberalizzato la celebrazione della liturgia tridentina.
Ora le Messe in Latino vengono ostacolate in ogni maniera: se prima bastava la disponibilità del singolo sacerdote per celebrarla, ora ogni nuova celebrazione deve essere espressamente autorizzata dal Vaticano, ma non solo: non possono più celebrarsi nelle parrocchie, gli orari delle liturgia esistenti non possono più essere esposti, in ogni diocesi difficilmente può essere autorizzato più di un “centro di Messa” (si tenga conto che alcune diocesi erano anche una decina) e, qualora non sia certa l’ “effettiva utilità per la crescita dei fedeli” il vescovo è invitato a sopprimere le funzioni religiose.
L’idea di fondo, come risulta dalla stessa lettera di accompagnamento di Bergoglio, è la fine della liturgia Tridentina, non autorizzando nuove celebrazioni, sopprimendo gradualmente quelle già concesse e “accompagnando i fedeli” nel nuovo rito.
In sintesi, una piena sconfessione di quanto sostenuto pochi anni prima da Ratzinger, secondo cui: “Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso.”
Anche il pellegrinaggio a Chartres sembra a rischio, si parla di pressioni agli organizzatori perché anche il pellegrinaggio venga “modificato e rinnovato”.
C’è tuttavia un fattore di cui a Roma non si è tenuto conto: complice anche la liberalizzazione del Messale antico da parte di Benedetto, le realtà cattoliche tradizionali hanno avuto una crescita inattesa, spesso accompagnata da una fioritura nelle vocazioni, ormai minime nei seminari modernisti.
Nella stessa Francia circa un seminarista su dieci è legato a realtà tradizionali, pellegrinaggi espressamente ispirati a Chartres e legati alla liturgia tridentina si stanno affermando sia in nazioni storicamente cattoliche come la Spagna che in nazioni fortemente protestanti e secolari, come Inghilterra e Svezia.
È in questo clima che quest’anno si è svolto il pellegrinaggio da Parigi a Chartres: il boom di partecipanti ha fatto sì che per la prima volta nella storia le iscrizioni si siano dovute chiudere in anticipo. Nei giorni di Pentecoste, 16 mila pellegrini, a cui si devono aggiungere 5 mila volontari responsabili dell’organizzazione, hanno marciato per 100 km suddivisi in capitoli, in base alla loro provenienza. La maggior parte erano francesi, ma c’erano anche capitoli da tutta Europa, dagli Stati Uniti, perfino dal Gabon e dall’Australia. Una colonna infinita, composta per lo più da giovanissimi (l’età media dei partecipanti era di 20 anni).
Un evento epocale, che in Francia è finito su tutti i principali mezzi di informazione, anche laici.
Non così in Italia. Da noi il mondo cattolico è troppo impegnato a pensare a percorsi di incontro per persone che si identificano in 32 diversi gender o che vogliono sostituire il Vangelo con gli editoriali di Repubblica per accorgersi che i giovani cattolici ci sono e guardano con interesse alla Tradizione.
In conclusione, tra questi 21 mila esaltati che per tre giorni si sono alzati alle 5 del mattino per pregare in latino e camminare per ore sotto il sole di Francia c’ero anche io e di questa esperienza mi porterò sempre dietro un’immagine:
non il pellegrinaggio in sé, o l’arrivo…e neppure il percorso… ma la sera, quando tutto sembra sospeso, tra una tappa che è finita e una che deve ancora cominciare, al campo dei pellegrini viene acceso un fuoco e tutti i bambini attorno cantano.
A volte in francese, altre in latino, cantano i canti dei loro padri e dei loro nonni, parlano di Maria, che chiamano Regina, e di Cristo, che chiamano Re. Cantano di Chartres e delle campane che richiamano i pellegrini, di San Giorgio che uccide i draghi, cantano gli stessi canti che Peguy e i suoi compagni cantavano cento anni fa.
Ogni volta che penso a quelle fiere del cringe che sono le “messe dei bambini” moderne, con sacerdoti che paragonano la comunione alla coca cola e cantano canti imbarazzanti, ogni volta che penso ai corsi diocesani per fidanzati dove fanno le cene di condivisione portandosi i piatti da casa perché Dio è green e il suo messaggio è fare la differenziata, ogni volta che vedo che le catechiste della mia parrocchia passano giugno postando allegramente arcobaleni e foto del pride, ogni volta che mi ricordo di insegnanti di religione che hanno sostituito gli esercizi ignaziani con “esperienze di accoglienza dei migranti”, ogni volta che succede tutto questo mi viene veramente voglia di insultare tutti male e di pregare perché Dio mandi un secondo diluvio.
Poi penso a quelle serate al campo e mi ricordo che, nonostante tutto, sotto le ceneri il fuoco cova ancora… e tutto ciò che è sempre stato buono, bello e sacro ancora vive e divampa.
Penso che c’è ancora speranza… e quella speranza passa da un campo di pellegrini attorno a un fuoco, sulle colline della Francia centrale, in una serata di fine primavera.
Andrea Campiglio
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