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CASO MOSCHEE: GOVERNARE SIGNIFICA GESTIRE. IMPARANDO DALLA NOSTRA STORIA

L’ultimo atto dell’annosa questione moschee in Italia è la proposta di legge del capogruppo di FDI alla Camera Tommaso Foti che mira a vietare la trasformazione di capannoni industriali e garage in luoghi di culto per i musulmani.

La proposta di per sé avrebbe anche senso: non sono edifici deputati a questo e possono creare problemi di ordine pubblico. Chiunque viva a contatto con la consistente minoranza musulmana in Italia conosce i problemi che la preghiera del venerdì può talvolta causare e le situazioni di caos che ne escono.

Il compito di un governo, soprattutto se di destra, è però proprio questo: gestire le situazioni di potenziale tensione ed evitare che portino disagio.

Posto che in Italia i musulmani esistono e non si può fare finta di non vederli, va da sé che in una società sana (per cui non laicista) il bisogno di spiritualità è un bisogno reale, non evitabile, sebbene lo Stato italiano, e purtroppo anche gran parte della Chiesa Cattolica, in questi anni di covid hanno provato a convincerci del contrario.

Per cui, posto che questa gente deve pregare ed è un diritto innegabile, tu Stato italiano devi fare in modo che ciò avvenga senza impattare negativamente sulla vita del resto della popolazione e senza costringere i fedeli ad ammassarsi nei sottoscala o a pregare in mezzo alle strade.

Il rischio di un provvedimento simile è che si riveli un boomerang, spostando la responsabilità di una decisione su sindaci e prefetti, che si troveranno a gestire una situazione non facile.

Che poi, ha perfettamente senso dire che i capannoni e i garage non sono adatti ad essere usati come luoghi di culto, ma allo stesso tempo devi favorire una soluzione alternativa, il ché significa far costruire moschee.

So che questa frase a destra suona come una bestemmia, ma è evidente che nella storia anche recente della nostra nazione non è stato così. Come ricordato qualche giorno fa da Pietrangelo Buttafuoco su La7, la Moschea di Roma fu fatto costruire da Giulio Andreotti, non esattamente un integralista islamico. 

Andando un po’ più indietro nel tempo, c’è stato anche un altro Presidente del Consiglio Italiano, di cui non citeremo il nome, che nelle caserme in Libia aveva cura di far costruire sia una moschea che una chiesa. 

In conclusione, guarderei alla Terra Santa per citare due esempi di convivenza tra identità spirituali tradizionali senza però scadere nella stucchevole retorica del dialogo o della libertà religiosa di stampo massonico.

Il primo è quello dei cavalieri Templari, l’ordine monastico cavalleresco attivo in Terra Santa. 

Al tempo del Regno Cristiano di Gerusalemme i Templari avevano la loro sede proprio nella spianata del Tempio, da cui infatti prendono il nome, presso quella che oggi è la moschea di Al Aqsa (e che era una moschea anche prima dell’arrivo dei Crociati).

La spianata è un luogo santo sia per gli Ebrei (e di riflesso, anche se in misura minore, per i Cristiani) sia per l’Islam, ragione per cui è, oggi come ieri, meta di pellegrinaggi per i musulmani. 

Le cronache degli storici franchi, come ci ricorda lo storico medievista Franco Cardini, raccontano che erano proprio i membri dell’Ordine Templare ad accompagnare e scortare i pellegrini alla spianata, in modo che potessero avere accesso ad un luogo santo anche per loro.

Il secondo esempio è quello del califfo Omar che, nel VII secolo, dopo aver conquistato Gerusalemme si rifiuta di eseguire la preghiera nella basilica cristiana del Santo Sepolcro per evitare che in futuro quel luogo potesse essere al centro di rivendicazioni e conflitti.

Sempre Omar decide di affidarne le chiavi alla famiglia dei Nuseibeh, musulmana, che da allora le custodisce, aprendo le porte del Santo Sepolcro ogni mattina e chiudendole ogni sera, senza che questo abbia creato tensioni o conflitti con i cristiani.   

Come detto da Buttafuoco, quindi, la preghiera è “un lascito di luce e spiritualità” e tra realtà spirituali e legate alla tradizione un punto di incontro è sempre possibile. Con uno stato giacobino e laicista no.

Andrea Campiglio

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