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DANTE, MANZONI E VERGA. UN TITANO E DUE GIGANTI

Dante, Manzoni, Verga
Imperversa la diatriba semiestiva, un ritornello prebalneare, sull’insegnamento di Dante, Manzoni, Verga. Un titano e due giganti, per dirla subito. Beh, bisogna essere umili e nutrire ammirazione per uomini, semplicemente uomini, che hanno attraversato il loro tempo, i secoli, senza essere prigionieri dello spirito del tempo. Già così detto parrebbe, se non tutto, tanto. Un verso, un solo verso, non la terzina, colloca il Dante nella piena attualità quando leggiamo “trasumanar, significar per verba non si poria” (Pd. I. 70/71) ed è già Wittgenstein, Ungaretti, Pound, Celan… il mistico razionalismo quantico presente ed indicato nel De ente et essentia di San Tommaso d’Aquino, dove la verbosità del sillogismo, costituente sé stesso, è abbandonata per quel puntino più nero nel buio della notte. Puntino che non si può tradurre altrimenti e Dante ben lo comprende. Tutta la lingua possibile, e all’apparenza illimitata, confinata dentro il proprio perimetro: il dire. Oltre si silenzia. Che immagine potente quel puntino, il “granulo indivisibile” di Max Planck. In quel significar per verba non si può dire si coglie, in nuce, tutta l’avventura del romanzo destrutturato dove l’ellissi temporale, le analogie, i richiami di pura espressione linguistica sostengono l’architettura e la trama, nella sua unità di tempo luogo azione, svanisce. Evapora. Tentativi d’entrare nell’essere del puntino nero, del granulo indivisibile. Emblematico L’Ulisse, il testo joyciano per definizione dove la città, Dublino, è campo gravitazionale di Leopold Bloom. Scrivo queste sciocchezze per tirar la mezzanotte e oltre, non altro, chi sostituire a Dante? Non saprei. Non lo sa nessuno. Non c’è nessuno del suo rango. A meno che non si intenda radicalmente riformulare gli interi programmi. Il che, a breve, qualche decennio, risulterà inevitabile. Ma ora, da questo maggio al prossimo autunno, che fare? Vabbé, tiremm innanz, così alla maniera di Amatore Sciesa, il milanese condotto alla fucilazione in quel, per nulla lontano, 1851. Pieno Risorgimento, e certamente il Manzoni è un risorgimentale epperò il suo romanzo, I promessi sposi, è storico esistenziale. Già. Nessuno come lui prima, e dopo, ha avuto tanta passione letteraria per l’uomo. E qui, con buona pace di maschi e femmine, s’intenda uomo quale specie e non già genere. Tutti i personaggi, anche minimi perché comparse che entrano per subito uscirne, sono accompagnati in piena luce propria. Al volto di se stessi. È l’esistenza che interessa il Manzoni, la nostra piccola anima smarrita e soave, la politica viene dopo, molto dopo. Non a caso, davvero per nulla, il sommo Goethe colse, anche al titano di Francoforte interessava l’uomo e solo l’uomo, la dimensione esistenziale del 5 Maggio, autentica elegia per l’uomo, che immediatamente tradusse in tedesco. Anche per Manzoni non conosco sostituti. Non saprei. Il Verga è scrittore dell’Italia unita, il più politico e qui s’intenda la politica nella sua nobiltà spirituale non nella riduzione di grida tribale alla nostrana contemporaneità ultradecennale. Il suo “ideale dell’ostrica” da ‘Vita dei campi’ è il più autentico sussurrato affresco della condizione umana di una comunità non più fraterna, quale la nostra di oggi che Lui colse già ieri, dove il danaro è fine unico e ultimo. E l’ipocrisia è metodo di trionfo. Chi meglio di Verga ha illustrato una civiltà vinta da se stessa, dalla propria meschina ignavia, corrotta sino alla radice, irredimibile. Non saprei chi altri. Però…

Emanuele Torreggiani

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