LE INTERVISTE TALEBANE: GIOVANNI POLLI
….Poiché l’accrescimento e l’innalzamento delle province, dei regni e delle terre discendono e procedono dal diritto e allo scopo di mantenere la giustizia, e poiché per mezzo di buone norme si raffrena e si contiene la prepotenza degli uomini iniqui e malvagi, acciocché i buoni, i puri e coloro che non commettono il male possano vivere e stare sicuri fra gli iniqui, grazie alla dissuasione delle pene, ed essi stessi, per opera dell’amore, siano obbedienti alle disposizioni e agli ordinamenti di questa Carta de Logu, per tutto ciò Noi Eleonora, per grazia di Dio Giudicessa di Arborea, contessa del Goceano e viscontessa di Bas, promulghiamo le ordinazioni e i capitoli infrascritti, ai quali vogliamo e comandiamo espressamente si dovrà attenere, osservandoli come legge, ciascun membro del nostro predetto Giudicato di Arborea, in giudizio e fuori… (Carta de Logu, trad. ad opera di Giovanni Lupinu).
L’ Incipit della Carta de Logu ad opera di Eleonora d’Arborea, donato ad eterna memoria umana in nobile lingua sarda, ha lo scopo di regolamentare la vita dell’intero giudicato di Arborea, in contrapposizione ad una società di «uomini iniqui e malvagi» (reos et malvados hominis) la cui malsana superbia va smontata, in visione di un bene superiore: “mantenere la giustizia”, pro servari sa iusticia, e e garantire l’ “accrescimento e l’innalzamento delle province, dei regni e delle terre”. La Carta de Logu, come la Costituzione Ferdinandea del 1848 di Ferdinando II delle Due Sicilie, dimostrano quanto di affascinante si cela nelle pieghe della storia pre-unitaria, oggi, sulle bocche di tutti ma che nessuno conosce realmente.
L’ardore per le proprie origini, la Fierezza del senso di appartenenza sgorga come un mare in tempesta che si infrange in migliaia di rivoli contro la scogliera del tempo, quando si passa dall’amore alla Nazione all’amore per le territorialità regionali. Noi, de “Il Talebano” Think Tank nazionale sensibile alle narrazioni identitarie, abbiamo sviluppato un filone di studio neopatriotico attento alla storia regionale. L’intento è arginare che la saggezza millenaria dei Popoli mediterranei, che hanno trovato nella penisola italica la loro sintesi, venga perduta nel fumo e nella fuliggine di un passato sempre più distante.
Il filone neopatriota, che affonda le sue radici nella visione metapolitica della Nuova Destra, sviluppa la sua corretta narrazione nella necessità palese di narrare l’Italia e l’Europa, seppur in una sacrosanta integrità nazionale innegabile, in un quadro multipolare. La storia post bellica del XX secolo ci racconta della meravigliosa storia di un Mondo senza barriere linguistiche né culturali. L’Inghilterra post-coloniale ha da sempre vantato l’integrazione, quasi perfetta, dei suoi popoli utilizzando un termine composto: melting pot, crogiuolo dei popoli. Nulla da ridire! Precedentemente la Roma dell’Impero ha, per prima, dimostrato come la diplomazia, dapprima militare poi politica, sappia unire territori molto vasti.
L’intoppo ricade, però, sempre nello stesso punto: il Tempo e il suo scorrere. Gli imperi nascono per poi, pian svanire nel ricambio millenario dell’umanità. Gli uomini passano. L’incessante dinamismo, come i loro volti, scopare al ritmo del battito d’ali di una farfalla; ma cosa rimane veramente? Il senso di appartenenza, il legame alle radici. Rimane l’identità, il senso di appartenenza ad un territorio, ad una Nazione. Io stesso, nel mio ultimo libro “Come difendere la nostra identità” ed. Il Comunitarista, analizzo il fervore di un Popolo o, per meglio dire, dei Popoli che rendono grande la nostra Italia nella narrazione dei movimenti identitari della penisola provando a fornire una corretta sistematizzazione dei fenomeni identitari italiani. Il lavoro di studio va avanti da tempo con l’apporto di numerose interviste ai migliori esponenti della galassia identitaria italiana ed estera con cui ho provato ad approfondire varie tematiche.
L’esigenza che accomuna tutto il lavoro svolto trova la sua sintesi nel Mediterraneo che accomuna i nostri Popoli tutti! In tutta questa serie di riflessioni ritroviamo interessante la tensione narrativa e di ricerca di Giovanni Polli o meglio.
Dialettologo di resistenza allo sradicamento, lo scrittore Gioann Polli è protagonista eccellente dell’etnoregionalismo padano-alpino; con la sua trasmissione radio “Lingue e Dialetti” Gioann Polli si pone come un vero e proprio maestro capace di fornire contributi importanti alla narrazione dell’Europa dei Popoli che desidera resistere nonostante il senso opprimente della “cappa” come ben la definisce Marcello Veneziani. Una “cappa” che genera scontento e, a lungo andare, un senso insostenibile di smarrimento culturale. È dunque, fisiologica quasi epidermica la necessità di conservare l’identità dei Popoli Europei ed Italiani in chiave mediterranea e Latina. Si può essere conservatori, in tal senso, seppur in chiave rivoluzionaria; quale la sintesi narrativa? Il ritorno ai valori dell’Uomo!
Gioann Pòlli, vuole illustrare ai lettori de “Il Talebano”, la storia della sua militanza identitaria?
Non c’è stato un inizio preciso, a dire il vero. Forse si può risalire al 1990, quando ricevetti un manoscritto da parte di un poeta di Omegna, la città piemontese di cui sono originario, pieno di bellissime poesie in lingua locale di cui in seguito curai la pubblicazione. Mi avvicinai al concetto di “radici”, sia sul piano storico che quello culturale. In contemporanea, direi sincronicamente, avvenivano tante scoperte e tanti fatti nuovi. Sin da ragazzino sono sempre stato affascinato dalla musica antica, per esempio, e da quella giungere a scoprire la musica etnica europea il passo è brevissimo. Riscoprii ciò che artisti come Mauro Pagani per il Mediterraneo o La Lionetta per le “Aree celtiche italiane”, come le definì Costantino Nigra, avevano sviluppato alla fine degli Anni ’70 con i loro lavori discografici: unire i popoli affini con proposte musicali che andassero oltre i confini degli Stati. Pagani elaborò il concetto di “Musica mediterranea”, artisti padano-alpini riportarono le tradizioni e le sperimentazioni autoctone nell’alveo di quelle dei popoli celti fratelli d’Europa. Un percorso culturale e identitario che sapesse andare oltre le barriere e le imposizioni artificiali e politiche spacciate per culturali. Contemporaneamente, muoveva i suoi passi politici dirompenti la Lega Nord, movimento che proponeva in diverse forme, a volte anche ondeggianti e contraddittorie, il ritorno dei poteri dal centro ai territori. E rivendicava l’uso delle lingue del territorio erroneamente chiamate “dialetti” e bandite dall’uso pubblico dallo Stato unitario italiano con particolare virulenza durante il fascismo, rivendicando l’eredità mitteleuropea e celtica dei popoli padano-alpini. Mi persuasi quindi che soltanto il riconoscimento e il rispetto delle differenze e delle diversità possono portare ad una collaborazione politica pacifica tra i popoli differenti. Tra Nord e Sud dello Stato italiano, per esempio. “Storia, cultura e lingua sono i confini delle Nazioni”, scriveva uno dei miei grandi maestri, lo scrittore piemontese Barba Tòni Baudrie. Dove la parola “nazioni” ritrovava però il suo significato proprio, al di là dello storpiamento in quella definizione di “Stati nazione” artificiali ottocenteschi. Che “nazioni” in senso proprio non erano e non sono affatto. Con queste basi analitiche e critiche ho riletto quindi tutta la Storia che i libri di Storia ufficiali non raccontano, che distorcono o di cui nascondono i passaggi meno utili al potere economico della grande finanza che è sia alla base degli “Stati” giacobini dell’Ottocento che dell’attuale leviatano dell’Unione europea. Sganciare le identità proprie dei popoli da quelle fittizie degli Stati è il primo passaggio chiave se vogliamo uscire da quella narrazione che, passo dopo passo, ci ha portato agli orrori della globalizzazione, alla riduzione dell’uomo a numero privo di storia e cultura, al trionfo del neoliberismo e dell’imperialismo di marca statunitense, alla “cancel culture” e al politicamente corretto sempre più pervasivo e insopportabile. Identità oggi è l’unico antidoto possibile alla globalizzazione culturale, al pensiero unico, al cibo unico, al McMondo, insomma, a quel potere che di fatto è sempre nelle mani di poche e ben definite famiglie dell’orbita statunitense. Credo che l’antagonismo nei confronti di questo totalitarismo della grande finanza e delle finte democrazie diventate delle vere “democrature” sia oggi un preciso dovere civile di chi ama ragionare con la propria testa al di là di tutte le propagande di massa. E il sentimento identitario è fondamentale: per sapere ciò che vogliamo essere domani è indispensabile sapere chi siamo stati ieri. Chi ci vuole tutti sradicati, perfetti soldatini del “produci, consuma, crepa” non deve poter prevalere, se vogliamo restare umani.
Lo scorso 2022, Lei ha dato alle stampe il libro “ Il Re di pietra Oddei” che rappresenta un testo fondamentale per l’identitarismo. Ci descrive i suoi contenuti?
Non so se si possa davvero considerare “un testo fondamentale per l’identarismo”, il mio libro. Certo, a me farebbe molto piacere. Di certo posso dire che è la storia di un percorso, il mio, con parecchi fatti autobiografici, alla ricerca di se stessi, di un senso delle cose, di una “quadratura” delle proprie esperienze nella vita reale. “Il Re di Pietra” nasce come una sorta di gioco letterario con la scrittrice siciliana Grazia Velvet Capone, che avrebbe dovuto intervistarmi e invece mi ha proposto di scrivere delle “tracce” sulla base di temi che decideva di assegnarmi. Sono stato al gioco, ed è finita che ho dovuto parlare di me su precise domande, ma insisto nel dire che non è un testo autobiografico in senso stretto. Ho la presunzione di poterlo immaginare come una silloge di “proposte” per valutare in modo differente dal consueto la realtà, dalla Natura, al Lago, dalle montagne – tra cui il Monviso, il Re di Pietra, appunto – alle città, oppure fatti di cronaca o storici. Per esempio, racconto in un capitolo la mia esperienza al G8 di Genova del 2001 che andai a seguire come giornalista, e i cui fatti mi apparvero ben diversi da come descritti in tutte le narrazioni che andavano per la maggiore. Parlo poi della mia città, del suo passato e del suo presente incerto, ma anche di Milano dove pensai di aver trovato la mia America, della notte, delle stelle, della ricerca trascendentale che per me coincide con la ricerca di tracce e sopravvivenze della spiritualità celtica. Qualcuno ha rinvenuto anche un po’ di esoterismo, ma sinceramente per me si configura più come un gioco che non qualcosa di troppo pesante e troppo misterico. Aggiungo un suggerimento: se volete, divertitevi a scoprire tutte le “triadi bardiche” nascoste qua e là nelle aggettivazioni, nella narrazione delle situazioni, nelle descrizioni delle emozioni. Il riferimento allo stile di un testo fondamentale del neodruidismo è del tutto voluto!
Questo percorso, guidato da Grazia Velvet Capone secondo un criterio effettivamente in parte alchemico, è permeato da una parte da uno spunto onirico iniziale e finale relativo a una vecchia automobile, la Simca 1000 della mia infanzia, e dall’altro da continui riferimenti musicali. Il rock, in particolare progressivo ma non solo, testi di cantautori, brani musicali assortiti, fanno da accompagnamento al lettore con le loro citazioni. Non solo. Nelle prime pagine del libro è stampato un QR code fotografando il quale è possibile accedere ad una playlist di trentasette brani. Uno destinato ad accompagnare ogni traccia, uno per l’introduzione, uno per la postilla ed uno per la “Prefatio” che mi ha scritto il grandissimo cantautore Alberto Fortis. Nato, come me, a Domodossola e, come me, trapiantato a Milano. Questa, in effetti, è stata una magnifica sorpresa. Alberto è molto vicino a certe tematiche, soprattutto relative alla dimensione umana e artistica da mantenere viva e resistente di fronte all’impietosa globalizzazione. Ha scritto un testo (anzi, due) visionario e artistico secondo la sua sensibilità, profondissimo, e con cui dimostra in pieno di aver letto e pienamente compreso lo spirito del Re Di Pietra – Oddèi.
Non so se sono riuscito a dare un’idea seppur vaga di un libro che non ho certo paura di ritenere “anomalo” e in un certo senso indefinibile. Ma è ben evidente il percorso a ritroso per riscoprire identità nascoste e perdute, grazie a un territorio, in primis con il suo Lago, in grado di comunicare tantissimo a chi sia in grado di comprendere il suo linguaggio. Abbiamo bisogno di antidoti ai veleni della contemporaneità e nelle mie tracce descrivo quelli che ho scovato io. Se potessero essere utili al lettore ne sarei felicissimo. Altrimenti, in ogni caso, resta sempre chiara e netta la proposta di un metodo: guardare oltre ciò che è scontato, che è reso facile dalle propagande, mostrato appetibile per le masse. Tutto, anzi, “il Tutto”, ha o può avere significati molto differenti. Se vogliamo pensare anche noi in modo differente, il nostro compito è proprio quello di scoprirli e farli nostri.
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Il desiderio nostro e de “Il Talebano” è offrire la giusta reazione ad uno stile mainstream che sopisce, o meglio, anestetizza il senso del reale che scorre e passa via. Il tentativo, incessante, di calcel culture deve in qualche modo essere arginato con gli strumenti giusti: il Pensiero Libero e ragionato stimolato spunti di riflessione e contanuti. Abbiamo provato ad arricchire la narrazione di un tassello ulteriore.
Il desiderio? Non perdere la memoria e finire con quei fantasmi umani della serie manga di Leiji Matsumoto, “Galaxy Express 999” (Ginga Tetsudō Surī Nain) del 1977, avevano persona la loro umanità inseguendo una vita in un corpo meccanico che nulla aveva di reale…
Paolo Guidone
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