COMUNITARISMO E PENSIERO CONSERVATORE: INTERVISTA A SPARTACO PUPO
…Passammo l’estate su una spiaggia solitaria E ci arrivava l’eco di un cinema all’aperto, Sulla sabbia un caldo tropicale dal mare, E nel pomeriggio quando il sole ci nutriva Di tanto in tanto un grido copriva le distanze E l’aria delle cose diventava irreale…
Con un chiaroscuro simile, molto naif come un selfie da cabina armadio in cappotto di lana, pantaloni al polpaccio e occhialoni holliwoodiani, la generazione chiringhito colma di critica da motore di ricerca ed equilibri cosmici vissuti sulla pelle del sofà, molto glamour, tra una seduta di pilates e l’altra di yoga, in un minestrone da discaunt, pretende di fare opinione in questa Italia ormai drogata dalle troppe sconfitte che cede alla complicità di un Nobel che gli espone la praticità di un premio alla bontà. Che bello De Andrè! Lo adoro quando dice: Grimilde di Manhattan, statua della libertà, Adesso non ha più rivali la tua vanità E il gioco dello specchio non si ripeterà: “Sono più bella io o la statua della Pietà?” Dopo il ballo mascherato del celebrità! La generazione Chiringhito, omologata a braccialetti simili a variopinte maracas dove lo smalto da uomo non deve mancare, ha il merito di essere riuscita eccellentemente a produrre frullati di massa grassa con cui stampare in 3D volumi per occupare valanghe di casse craniche ma non Individui capaci di generare Libero Pensiero! Solo folle di soggetti bipedi che pretendono, aspirina ed affetto, e inciampano in una specie di autorità. Tanto per rifarmi ancora ad un grande Fabrizio De Andrè, se non si fosse capito, Questa Generazione affida è convinta di poter affidare ad una vestaglia il ruolo di Uomini, Cittadini e Patrioti… il risultato è un Sistema che esplode ma prima nel decoro, pressocchè ridotto ai minimi termini.
Le analisi del giornalismo mainstream hanno dedicato al Governo Meloni, prima del suo insediamento, vivaci critiche. Sarei anche d’accordo sul fatto che, alle volte, agire di anticipo aiuta a creare vantaggio ma iniziare a correre con la palla in mano prima del fischio di inizio della Partita mi fa sorridere.
È tutto un caleidoscopio di equilibri sula Follia! Tra le manifestazioni più bizzarre riscontriamo i disordini romani alla Sapienza che hanno visto un gruppo di manifestanti antifascisti opporsi ad un incontro pubblico inaccettabile dove parlerebbe il “fascista” Daniele Capezzone. Questo incontro, lo affermano loro, è inaccettabile per questa Democrazia! Loro sono Antifascisti, puri e duri e l’On. Capezzone è il Camerata. Mi sa un po’ di Santa inquisizione ed esprimo questa riflessione da cristiano cattolico tradizionalista.
Piuttosto mi viene in mente, lo dico vivace, una criticità più importante ma letta da un punto di vista diverso. Le manifestazioni antifasciste, piene di folklore romano seppur un po’ anacroniste, parrebbero violare l’articolo 21 della Costituzione! Ma la Costituzione non è frutto della Resistenza? Parrebbe, dunque, verificarsi un paradosso…
Creiamo bisogni laddove non ne esistono, ironizza una regola aurea della società liberista ai suoi esordi. È vero quanto avalla la sensibilità di ognuno che i Totalitarismi fanno male a chiunque ma, se ciò è vero, risulta sacrosanto (seppur anacronistico) affermare che il Fascismo sta al Comunismo come l’antifascismo sta all’anticomunismo. In caso contrario credo che qualunque narrazione possa risultare sbilanciata…
La retorica mainstream appare, dunque, abbastanza, scarna di contenuti seri; è, addirittura, cieca riguardo alle criticità che il politologo Colin Crouch definisce con il termine di “postdemocrazia”. Tutto ciò, nel contesto di un crescente deficit formativo ed informativo tipico della modernità liquida, necessita di una cura che solo gli strumenti delle scienze politiche possono soccorrere. Non mi meraviglio che l’attuale retorica mainstream, narri questa stagione politica italiana con superficialità e, un pizzico, di malafede. Si è ricorsi alla figura retorica del Paradosso, per non dire del ridicolo, riesumando flashback del passato o retrolampi (mi si passi una battuta di sovranità linguistica) di cui ormai è sopravvissuto solo un ricordo pieno di storia, fumo e fuligine. Di colpo si è diventati tutti, o quasi, antifascisti ma in assenza di fascismo. Beh Solo 100 anni fa si Marciava su Roma in camicia nera… E’ tutto così grottesco! Ci si abbraccia, si piange, emozionati, al grido di hasta Siempre in questo insalatone misto al condito Qualunquismo militante! Inutile continuare rilevando quanto l’audience sia inversamente proporzionale alla qualità intellettuale di questi contenuti.
In questo scenario il ruolo dei Think Tank è sopperire ai numerosi deficit formativi di questa Società. Think Tank come il Talebano, e noi Talebani, siamo quella bomba porto la Novità! La bomba che debutta in società Al ballo mascherato della celebrità! Questa l’analisi in premessa che approfondiremo, oggi, con il professore Spartaco Pupo docente di storia delle dottrine politiche. Grazie Professore per aver accettato l’invito ad intervenire, nuovamente, a Riflettere insieme. L’intenzione è affrontare intelligentemente l’attualità di questi eventi. Nello specifico si è molto parlato del provvedimento del Governo Meloni sui rave party, che secondo alcuni violerebbe lo stato di diritto in una retorica mainstream che fa dei Reve Party, addirittura, un evento glamour di amore cosmico.
Giuseppe Conte ha definito il provvedimento del rave party da “stato di polizia”. Prof. Pupo, Lei cosa ne pensa?
Per il solo fatto di essere un professore ordinario di diritto Giuseppe Conte dovrebbe riflettere in maniera più problematica e articolare meglio i suoi giudizi invece di parlare per slogan. Evidentemente vive con difficoltà il suo doppio ruolo di accademico e politico e riceve più soddisfazione dal secondo. Personalmente, senza essere un giurista, mi permetto di osservare che i Rave Party si svolgono ormai quasi totalmente in Italia, il che fa pensare che nel resto d’Europa si sia alzata la guardia nei confronti di questo fenomeno che pone problemi seri sia in termini di incolumità che di pubblica sicurezza. Queste feste di sottocultura giovanile sono caratterizzate da musica elettronica ripetitiva, spettacoli di luce e uso di droghe illecite, e provocano conseguenze negative alla salute pubblica almeno quanto gli eventi legati alla criminalità. Problemi tipici di un Rave Party sono: overdose, traffico di droga e violenza ad esso associabile, inquinamento acustico da musica ad alto volume, aggressioni sessuali per abuso di droghe e decessi causati da un altissimo grado di tossicità di queste sostanze, oltre che da ipertermia e altre gravi forme di insufficienza. Dinanzi a un quadro del genere intervenire è doveroso, e bene ha fatto il governo. Tra l’altro chi, come la Meloni, è cresciuta alla scuola di Paolo Borsellino sul proibizionismo come una delle massime priorità dello Stato non può certo far finta di non vedere. E non si tratta di un provvedimento liberticida. Al contrario, tende a difendere la libertà, quella vera. La destra al governo ha un’idea di libertà che è tale se si concilia con l’autorità di chi ne regolamenta gli effetti, altrimenti la libertà sarebbe mera licenza, e come tale figlia di altre culture politiche. Chi parla di stato di polizia scambia per autoritarismo l’anti-permessivismo tipico della destra. Anche la libertà di divertirsi richiede il rispetto delle regole della civile convivenza, affinché non si violi la libertà altrui. Voglio dire, se si subisce violenza in una normale discoteca, c’è un proprietario che ne risponde. Certo, il provvedimento può mostrare qualche imperfezione formale dovuta, più che alla fretta, alla difficoltà di circoscrivere a livello concettuale il fenomeno specifico del Rave Party, che è molto sfuggente alle categorie giuridiche. Detto questo, le faccio io una domanda: è meglio dare risposte perfettibili o non darle affatto?
Professore, come Lei ben sa, il “Talebano” promuove il concetto di comunitarismo, un concetto polisemico, legato anche alla corrente dei “communitarians” americani. In realtà, come già sostenuto nella scorsa intervista, il primo comunitarista a pieni carati fu Robert Nisbet. Ora, vista l’ignoranza sul pensiero conservatore esistente una domanda è d’obbligo: il comunitarismo conservatore di destra di Robert Nisbet che idea ha della libertà?
In tema di libertà non bisogna confondere, come purtroppo spesso accade, il conservatorismo con il libertarismo. Nisbet li chiamava “cugini inquieti” perché sono distanti in molte cose. Per i libertarians, che antepongono l’individuo allo Stato, quest’ultimo diventa un nemico nel momento in cui interferisce nella vita sociale ed economica dei cittadini, arrogandosi il diritto di dirigerne gli affari e la vita personale. Il conservatore considera lo Stato un amico perché è insostituibile nella difesa delle comunità. Il libertario è persuaso che le società dedite alla difesa della libertà e dell’individuo vivano solo grazie a chi è capace di trascendere l’opportunismo di massa. I conservatori la pensano diversamente. La dottrina del conservatorismo, a differenza del libertarismo che è stato promosso solo a partire dal ‘900, nacque a fine ‘700 in contrapposizione al giacobinismo, che comportò, dal 1789 in poi, per mano dei rivoluzionari francesi, l’espropriazione degli ordinamenti tradizionali. Il conservatore parte dalla rivisitazione critica delle idee di libertà e ordine. Mentre la libertà dei rivoluzionari, degli odierni radicali e anche di molti libertari, è invocata come emancipazione dalle istituzioni tradizionali (famiglia, parentado, comunità, chiesa, associazione, quartiere, ecc.), la libertà del conservatore è da sempre libertà dal potere burocratico e livellatore che impone agli assoggettati una forzata laicizzazione delle istituzioni. La libertà economica, per i conservatori, non è così essenziale come lo è per i libertari che arrivano a teorizzare lo “Stato minimo”. L’economia, per la dottrina conservatrice, non ha mai poggiato sull’atomismo morale o sulle strutture sociali impersonali, ma prospera laddove gli Stati, siano essi liberali o collettivisti, non hanno messo al bando le comunità tradizionali allo scopo di sostituirsi a esse nelle relazioni dirette con gli individui. Al laissez-faire individualista, il conservatore preferisce il laissez-faire comunitarista. La libertà fiorisce non individualmente e in senso astratto, ma nella comunità fatta di persone in carne e ossa, e in quegli Stati che assicurano la conservazione di una fiorente vita comunitaria. Ovviamente parliamo di comunità lecite, che rispettino l’ordine costituito e le leggi dello Stato, che non opprimano l’individuo e non disturbino a loro volta la libertà altrui. Rientra nella prerogativa dello Stato vigilare su questo e nella libertà di scelta del singolo scegliere di adeguarsi al codice di una comunità o uscirsene senza subirne conseguenze. La libertà economica, per i conservatori, è inscindibile dai contesti dell’associazione umana. Laddove questi ultimi si sono indeboliti, anche per effetto di politiche statali eccessivamente individualistiche, la libertà economica produce effetti deleteri sulla felicità dei singoli e sul benessere dei gruppi. Il quadro neutrale burocratico entro cui l’individuo moderno, emancipato da qualsiasi legame comunitario tradizionale, sarebbe libero di perseguire i propri scopi e realizzare i propri interessi è estraneo alla dottrina del conservatorismo. Nisbet ha posto in risalto il vero carattere del conservatorismo, che è quello della socialità, riconducibile non solo alla diffusa ricerca dell’identità e dell’autorità delle lealtà tradizionali, ma anche all’attenzione verso i benefici ormai acquisiti del welfare state, al pensiero e all’azione politica in difesa sì dell’individuo, ma inteso non come soggetto astratto titolare di diritti ma come persona che nasce, vive e muore in una comunità di appartenenza, nei confronti della quale ha anche obblighi e doveri.
Essendo, anche, un tema complesso quali sono le edizioni migliori per affrontare lo studio del macro tema “comunitarismo- pensiero conservatore”?
Mi permetto di segnalare i miei lavori su Nisbet e il conservatorismo, in particolare la monografia Robert Nisbet e il conservatorismo sociale (Mimesis, 2012) e l’edizione italiana a mia cura del libro Nisbet, Conservatorismo: sogno e realtà (Rubbettino, 2012). Ma alcuni temi cui ho accennato sono stati affrontati anche in alcuni volumi di poco precedenti e ancora in commercio: La comunità e i suoi nemici (Le Lettere, 2008) e La politica senza “Noi” (Aracne, 2011). E presto ci saranno novità al riguardo.
Stay in touch, come suol dirsi!
Paolo Guidone
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