BIDEN IN ARABIA SAUDITA: SI PROFILA UN NUOVO ORDINE MONDIALE?


Il viaggio di Biden in Arabia Saudita parte, prima ancora del decollo effettivo, con una peculiarità: il presidente spiega le ragioni della visita di stato il 9 luglio e ciò viene riportato dal Washington Post. Viene dato poco risalto alla tappa in Israele, l’attenzione si focalizza sull’incontro in programma con Mohammed Bin Salman, accusato di essere il mandante dell’uccisione di Jamal Khashoggi (un dossier della Cia avrebbe riportato una ricostruzione dell’accaduto), giornalista sgradito alla monarchia saudita, presso il consolato di Istanbul.
La posizione di Biden si pone in aperto contrasto con quella assunta durante la presidenza del suo predecessore; da parte del democratico infatti non sono mai mancate le accuse a Trump di lasciare troppa carta bianca all’erede al trono, considerato da molti il regnante de facto ed impegnato nella creazione di progetti di modernizzazione. Non è un caso che la fascia più giovane dei sudditi consideri Mohammed Bin Salman un riformatore e, data la peculiarità demografica del paese (le stime riportano come sia la fascia anagrafica maggioritaria) ciò assume un “sapore” particolare.
Biden ha voluto anche dare linfa ad una partnership solida in materia di scambi commerciali e acquisizioni di materie prime energetiche, soprattutto alla luce delle intenzioni espresse da Putin che paventa l’ipotesi di bloccare le esportazioni di petrolio provenienti dal Kazakistan e si ipotizza che il North Stream 1 sarà bloccato al termine della manutenzione in programma. Queste ipotesi confermano quanto i Paesi del Golfo assumano una posizione di centralità nello scacchiere internazionale nel caso la Russia usasse come effettiva arma di ricatto l’approvvigionamento energetico.
Biden è il primo presidente Usa a volare tra Israele e Jedddah, ovviamente questo segna un avvicinamento simbolico tra i due paesi. La normalizzazione dei rapporti tra lo stato ebraico e i suoi corregionali è doveroso ricordare quanto sia merito di Trump; è altrettanto importante menzionare l’abbandono di posizioni rigide da parte dell’attuale presidente in nome di una visione maggiormente pragmatica basata su alleanze strategiche.
La visita del Presidente degli Stati Uniti assume un’importanza determinante anche per il popolo saudita dato che essa non è riconducibile ad un obbligo di protocollo ed è antesignana di un nuovo ordine mondiale. Sembra infatti che il “mondo” non verrà più “comandato” da un solo attore (gli Usa), ma uno degli attori di spicco sarà il Medioriente. L’unica grande incognita sarà la profusione di impegno da parte dei Paesi del Golfo, abituati a gestire in maniera differente i rapporti con l’estero.
Nel corso del suo viaggio Biden ha incontrato a Jeddah non solo Mohammed Bin Salman, ma anche i maggiori esponenti dei Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo (Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Emirati Arabi Uniti) e i rappresentanti di Giordania, Egitto ed Iraq. Per quanto concerne l’avvicinamento tra Israele e Arabia Saudita, Biden ha rilasciato un’intervista a Channel 12 (emittente israeliana) dichiarando che sarà necessario tempo, ma che sarà possibile trovare una reale convergenza tra i due paesi. Il fattore tempo è quasi sicuramente da attribuire alle dinamiche della monarchia: un’ufficiale apertura non sarà possibile finché a regnare sarà Re Salman, ma si potrà verificare quando suo figlio Mohammed Bin Salman sarà a tutti gli effetti suo successore.
Le decisioni assunte da Biden al termine del viaggio sono: il ritiro delle truppe da Tiran (isola saudita, situata nel Mar Rosso all’imbocco del Golfo di Aqaba), allacciamento alle reti elettriche di Arabia Saudita e Kuwait da parte dell’Iraq, conferma dell’impegno per risolvere il conflitto in Yemen, creazione e diffusione della rete 5G, la possibilità per i voli da/per Israele di sorvolare lo spazio aereo saudita.
Alla luce di quanto descritto non sono chiare le intenzioni degli Stati Uniti. In passato si era profilata l’ipotesi di un graduale disimpegno americano dal Medioriente, ma così facendo si consegnerebbe quest’area all’influenza di Mosca e Pechino e si porrebbe Israele in una condizione di insicurezza ancora maggiore. Tale rischio non è da attribuire alla Palestina che, seppur costituendo una sconfitta morale, non graverebbe in termini pratici sul futuro dello stato ebraico. Il vero flagello per Tel Aviv è la sempre maggiore influenza iraniana che, grazie al suo capillare coinvolgimento in Libano, Siria ed Iraq garantisce agli ayatollah una posizione di sempre maggiore importanza.
La visita di Biden assume contorni diversi se si valuta il contesto. Sarebbe ridicolo e sciocco non ricordare che la crisi energetica ed alimentare non angustia soltanto il vecchio continente, ma anche Turchia ed Egitto, in primis, ma più genericamente tutto il Medioriente.
L’unica reale spinta che renderebbe l’operato Usa meno miope sarebbe spronare i singoli stati ad accelerare importanti processi di modernizzazione. Sono necessari piani infrastrutturali, la creazione di un sistema di welfare, la diversificazione dell’economia, la ridistribuzione della ricchezza, la coordinazione di processi che portino maggiori libertà individuali. È innegabile che il Medioriente insegue da anni l’idea di diventare un interlocutore affidabile per l’Occidente e Russia e Cina vengono valutati come “piani B” perché capaci di dare minor sicurezze.
L’Arabia Saudita sta compiendo aperture che non possono essere poste in essere dall’oggi al domani, ma si stanno ponendo le basi per un futuro in cui la classe più abbiente potrà davvero influire sul miglioramento dei ceti più sfortunati. Questa visione inedita di cittadinanza non è certo individuabile in Iran dove gli sciiti “moderati” vengono perseguitati.
Il mondo musulmano ha una diffusione enorme nel pianeta e non si può pensare di dialogare con gli stessi strumenti in Marocco o nel sud delle Filippine. Quando finalmente verranno comprese le specificità storiche ed antropologiche di ogni singolo paese si potrà dire che una visita di stato avrà portato i suoi frutti.

Arianne Ghersi

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