LIBIA: TUTTO PRONTO PER IL COLLASSO
Il 31 luglio scadrà il mandato della missione Onu nel paese e, nonostante questa iniziativa abbia consentito alla popolazione di godere di un relativo periodo di distensione, i segnali che potrebbero innescare futuri nuovi conflitti latenti non sono certo mancati. La cronaca delle ultime settimane ci riporta l’istantanea di un paese stremato dall’insicurezza politica ormai cronica.
Abdul Habib Dbeibeh, teorico presidente “ad interim”, ha più volte dimostrato di non accettare la transitorietà del suo mandato e questo lo ha spinto a cercare di consolidare in ogni modo il suo potere a Tripoli. Fathi Bashaga, sostenuto da una dubbia maggioranza parlamentare, quasi “auto-proclamatosi” Primo Ministro, si è imposto dando vita ad una sorta di governo parallelo, forte anche della propria capacità rappresentativa legata a Misurata; questa iniziativa non è ovviamente sostenuta dall’Onu, ma riconosciuta dalla Russia che, rotti gli indugi, la appoggia pubblicamente. Negli ultimi mesi i due hanno tentato prove di forza reciproche, cercando di scardinare mediaticamente il regno dell’avversario, fortunatamente senza arrivare a scontri sanguinosi.
In questo precario palcoscenico non bisogna dimenticare Khalifa Haftar, uomo forte di Bengasi, che si pensava erroneamente potesse essere la figura pacificatrice libica. Haftar ha tentato in passato di assicurarsi potere a Tripoli con le armi, Bashaga ha provato con la politica ma entrambi sembrano aver fallito.
Le divisioni interne alla Libia rischiano di condurre a derive autoritarie o ad episodi di violenza incontrollabile. Venerdì 1 luglio, a riprova dei rischi appena menzionati, un gruppo di manifestanti ha deciso di dar voce al proprio dissenso e ha attaccato la sede della Camera dei Rappresentanti a Tobruk. Le immagini immortalate e caricate sul web ci riportano scene in cui i cittadini fanno irruzione nel palazzo, avvalendosi di strumenti atti a demolire l’ingresso, e si riversano all’interno dell’edificio. Altri manifestanti sono rimasti all’esterno e hanno appiccato piccoli incendi a scopo dimostrativo; simili proteste hanno avuto luogo nella capitale Tripoli e a Misurata.
Le motivazioni del dissenso sono da ricondurre alla precarietà politica del paese. Al di là delle divisioni tra “aspiranti candidati” già menzionate, il dissidio creato dalla presidenza contesa si riverbera con violenza su quanto percepito dai cittadini. Le elezioni previste a dicembre, rimandate a gennaio e mai realmente riprogrammate fanno sì che il popolo libico non veda la fine di un’insicurezza che ha caratterizzato tutto il primo semestre del 2022.
A tutto ciò si somma la chiusura degli impianti petroliferi. Il 20 dicembre 2021, appena compresa la possibilità concreta di una nuova stagione di instabilità, le Guardie delle strutture petrolifere (Pfg) hanno chiuso gli impianti di Wafa, Ej Sharara e Nc100 (petrolio) e sono state sospese le attività inerenti ai giacimenti di idrocarburi di Nagus e Enc4. È stato forse dimenticato quanto sia importante Wafa per noi italiani: attraverso il gasdotto Green Stream, che percorre il Canale di Sicilia, il nostro paese riesce a garantirsi forniture provenienti dalla Libia. In realtà, però, si può ipotizzare che questa sospensione delle attività sia da imputare a problemi di nomine interne agli impianti, ossia dei ruoli che garantiscono le attività delle guardie preposte (Pfg). Questo ennesimo “gioco di potere” estesosi sulle risorse ha ovviamente colpito profondamente l’opinione pubblica del paese. Alcuni poli estrattivi sono stati riaperti nel corso dei mesi, ma ciò che può essere facilmente compreso è come il popolo abbia subito un ricatto da parte di chi il potere lo ha o lo vorrebbe e si trova oggi disposto a sacrificare il bene della nazione.
Ad oggi sotto “accusa” da parte del popolo sembra essere Agila Saleh (presidente dell’Hor, la Camera dei Rappresentanti). Tale organismo, l’ultimo realmente eletto dal popolo nel 2014 da solo il 18% degli elettori, viene criticato perché ritenuto inutile e inefficace; serpeggia inoltre l’ipotesi che sia ad esso imputabile il rinvio delle elezioni al fine di garantire ai propri componenti di rimanere al potere.
Agila Saleh si è recato a Ginevra con Staphanie Williams (inviata speciale Onu) e Khaled Mishri (presidente Alto Consiglio di Stato) per discutere e tentare di affrontare concretamente i problemi che attanagliano il paese.
Quanto descritto ci mostra una sconcertante realtà: la Libia non è attualmente un paese “affidabile” per la stipula di seri accordi commerciali ed è un “calderone” sociale pronto ad esplodere. La crisi economica e la mancata sicurezza condurranno a nuove emigrazioni di massa verso la sponda opposta del Mediterraneo. Sarebbe troppo “comodo” sostenere che la colpa di tutto ciò sia da imputare alla popolazione: l’intervento Onu non è stato incisivo (e questa è sicuramente una visione diplomatica, in caso contrario si potrebbe usare l’aggettivo dannoso) e, al momento della deposizione di Gheddafi, nessuno ha precedentemente ipotizzato un sostituto a guida del paese. Il defunto rais ha sicuramente “esagerato” in molte occasioni: numerose sono le testimonianze a livello internazionale secondo cui il presidente fosse ormai un tossicodipendente sopraffatto dall’assunzione spropositata di eroina, ma è indubbio che fosse l’unico politico capace di tenere le fila di uno stato composto da innumerevoli differenze tribali. Deposto Gheddafi cosa si pensava che accadesse? Era indispensabile avere già un uomo forte da poter inserire nel tessuto lacerato di una Libia stravolta da una guerra civile. Oggi il popolo libico paga le conseguenze di decisioni prese senza cognizione di causa, nell’assoluta svalutazione delle specificità antropologiche e politiche che hanno da sempre contrassegnato questo controverso paese.
Arianne Ghersi
Rispondi