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RUSSIA E TURCHIA: MANOVRE STRATEGICHE A CONFRONTO

La Russia sta attuando importanti piani di collaborazione con i paesi del Corno d’Africa e questa realtà non è certo una reazione a quanto sta avvenendo nel Donbass e in Crimea, ma è una strategia che affonda le sue radici nel passato.

A seguito della disgregazione dell’Urss, la neonata Russia ha per qualche anno sottovalutato l’Africa ma nel 2019 (anno in cui si è tenuto il primo forum Russia – Africa) la strategia è stata ribaltata. Inizialmente il Cremlino ha provato a cercare solidarietà con il Gibuti, ma tutte le richieste di collaborazione sono state respinte. Successivamente Mosca ha provato ad insediare basi militari in Eritrea, ma il progetto è fallito in quanto erano già presenti avamposti di altri eserciti (Usa, Cina, Francia, Italia, Giappone, Emirati Arabi Uniti). La concretizzazione del progetto ha visto la luce con il Sudan che ha portato all’istituzione di un importante insediamento militare russo a Port Sudan.

Ad oggi i dati raccolti dal Ministero del commercio e dell’industria russo, sostenuti dalle statistiche stilate dal Servizio doganale federale, riportano come il fatturato del Cremlino nei paesi africani si aggiri a circa 16,8 miliardi di dollari (24% vendita macchinari ed attrezzature di vario tipo, 22,4% prodotti alimentari ed agricoli, 19,9% minerali, il resto comprende pietre preziose, legno, gomma, cellulosa, metalli e prodotti chimici). Si stima che le aziende militari russe inviino il 30/40% delle esportazioni a paesi africani.

I dati sommariamente descritti forniscono un’istantanea cruda di quanto sia irrealistico e poco lungimirante pensare che il sud del mondo abbandoni i contatti commerciali con la Russia.

L’altro fondamentale attore è la Turchia che, apparentemente trinceratasi in un assordante mutismo dopo il tentativo iniziale di mediazione tra la Russia e l’Ucraina, sta in realtà perseguendo importanti interessi con partner che ultimamente potevano sembrare ostili.

Il Mar Nero è la priorità attuale di Erdoǧan che, con la “scusa” di voler combattere la dipendenza energetica da Mosca in quanto paese facente parte della Nato, ha dalla sua parte l’ossessivo sentimento anti-russo. Il Mar Nero è vissuto dal paese anatolico come un lago ottomano e assumerne sempre maggiore controllo sarebbe una presa di potere ulteriore a quella ottenuta nel 1936 quando la Convenzione di Montreaux garantì il Bosforo come proprietà turca. L’obiettivo primario è quello di intensificare le esportazioni di gas, inoltre le esercitazioni militari che Ankara sta svolgendo in questi giorni potrebbero essere una prova delle capacità tecniche del paese.

Quanto dovrebbe far riflettere è l’indubbia capacità di Erdoǧan di saper sfruttare ogni crisi a proprio vantaggio. Lo scenario libico fu infatti sfruttato come trampolino di rilancio della Turchia. Le elezioni presidenziali si terranno tra circa un anno e la forte crisi economica del paese sta ponendo in difficoltà lo stesso elettorato fedele all’attuale leader. Non è certo una casualità che in Iraq siano stati colpiti obiettivi legati alle milizie sciite irachene ricollegabili all’Iran da parte delle truppe anatoliche. Ankara si è unita alla strategia di Israele, dei Paesi del Golfo e, indirettamente, statunitense per contrastare l’influenza dei Pasdaran nel paese.

La vicenda di Jamal Khashoggi aveva sicuramente incrinato o perlomeno destabilizzato i rapporti tra Turchia e Arabia Saudita ed Ankara ha fin dal principio subito importanti perdite economiche dato l’ostracismo dimostrato dalla monarchia verso l’importazione di prodotti turchi. Il viaggio di Erdoǧan, in visita ufficiale per incontrare Mohammed Bin Salman ha sancito la fine di frizioni determinate dalla differente “opinione” riguardo ai Fratelli Musulmani, dalla crisi legata alla condotta del Qatar che ha temporaneamente stravolto le alleanze dei Paesi del Golfo e all’impatto mediatico del caso Khashoggi. Il riavvicinamento dei due paesi non è da ascrivere ad un’isolata attitudine: il cambio di presidenza americana e il “disimpegno” in Medioriente, la vicenda ucraina, la guerra sanguinosa ed onerosa in Yemen (in cui la casata saudita sperava di poter ottenere successo in breve tempo) hanno portato alla consapevolezza molti paesi della Lega Araba: non possono infatti più “affidarsi” ad un mediatore o “salvatore” esterno e ciò spinge alla creazione o al consolidamento di nuove e solide alleanze.

Arianne Ghersi

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