LA RUSSIA E IL CONFLITTO TRASVERSALE IN AFRICA E MEDIORIENTE
Il fatto che la Turchia si ponesse a mediazione del conflitto russo-ucraino è suonato “strano” anche agli osservatori più sprovveduti e la riprova la si scorge nel piano di Ankara concretizzatosi a fine aprile. Lo stato anatolico infatti ha lanciato un’importante nuova offensiva contro il Kurdistan (in particolare contro le forze del Pkk – Partito dei Lavoratori del Kurdistan) avvantaggiato dalla distrazione creatasi per le scelte intraprese dal Cremlino. Sembra che tale operazione fosse già stata preparata da settimane, ma la reale concretizzazione è avvenuta dopo la visita in Turchia di Masrour Barzani, il primo ministro della regione autonoma irachena. Questa notizia preoccupa Mosca in quanto potrebbero subire importanti ripercussioni i curdi siriani che sono alleati di primaria importanza della Russia, ma vengono considerati legittimi bersagli da Ankara.
L’Africa rischia di subire influenze sempre più coercitive. Il fatto che la Cina sia alla costante ricerca di nuovi spazi d’investimento è innegabile, ma la Russia ha la peculiarità di voler influire anche sui processi decisionali dei paesi di interesse. Infatti nel periodo tra il 2015 e il 2019 il Cremlino ha sottoscritto 19 accordi di partenariato militari con numerosi stati africani. La Wagner, spesso sottovalutata, si è trasformata in un vero e proprio braccio operativo, perdendo in parte il carattere di “milizia mercenaria”. Il caso del Mali è un esempio lampante in quanto la presenza di questi combattenti si pone in contrapposizione con la condotta dell’Unione Europea: il governo golpista ha scelto di affidarsi all’operato della Wagner (sobbarcandosi un esborso economico maggiore) per contrastare i gruppi jihadisti, rifiutando l’aiuto offerto dal vecchio continente e, in particolare, osteggiando un intervento francese.
Il 5 marzo è stata votata la risoluzione Onu legata alla condanna dell’aggressione russa ai danni dell’Ucraina (approvata con 141 voti a favore su 193). Ciò che dovrebbe destare dal torpore è che paesi meno coinvolti economicamente ed empaticamente non hanno speso azioni, neanche diplomatiche, successivamente alla votazione e che i paesi che si sono opposti alla risoluzione in oggetto vantano circa 4 miliardi e mezzo di individui; ciò vuol dire che i rappresentanti dei due terzi della popolazione mondiale avrebbero scelto di rigettare o astenersi alla decisione proposta. Tra questi paesi spiccano Angola, Algeria e Congo che in questi giorni vediamo “corteggiati” dal governo italiano per la stipula di nuovi accordi sulle forniture di gas. Osservatori maliziosi ma realisti ipotizzano che questi nuovi assetti commerciali siano decisi dalla stessa Russia con la collaborazione dei governi di questi stati.
Un ulteriore dato interessante è la quasi assoluta normalità mantenuta dagli stati mediorientali in merito alle relazioni diplomatiche con Mosca. Il caso della Giordania può sembrare una parentesi ironica: il regno hashemita è considerato un partner privilegiato dagli Usa (forse più dell’Italia), molte sanzioni decise dagli Stati Uniti contro la Russia sono state applicate con automatismo, ma la realtà ci descrive la monarchia come meta privilegiata per le vacanze primaverili dell’elité moscovita.
La reazione mediorientale non è assoluta imprevista: l’operato del mondo occidentale è vissuto come miope ed etnocentrico, nella migliore delle ipotesi, oppure strumentale e fazioso, nel peggiore dei casi. Antropologicamente è logico chiedersi: dove era lo struggimento per altre disgrazie pre Ucraina? Le guerre in Iraq, Siria, Libia, Libano, Yemen non sono cessate, le “Primavere arabe” hanno portato cambiamenti ambigui che richiamano alla mente le parole di Tomasi di Lampedusa: “se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”. È ovvio quindi ricordare che lo slogan “morte all’America”, ha sempre spinto verso una simpatia naturale nei confronti della Russia.
Arianne Ghersi
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