ULTIME DAL PAKISTAN
Imran Khan è stato spodestato, il nuovo primo ministro è Shahbaz Sharif. La lotta contro il tempo del primo non è valsa una riconferma perché già all’inizio della crisi politica il nome del suo successore aveva attratto molti consensi.
Shahbaz Sharif è già noto nelle vicende politiche pakistane dato che dal 2013 al 2017 era già stato primo ministro suo fratello, Nawaz Sharif. Quest’ultimo fu rimosso a causa di un grosso scandalo finanziario (Panama Papers, condannato a 10 anni di carcere per l’acquisizione di proprietà immobiliari a Londra) che coinvolgeva anche alcuni familiari.
Il nuovo governo di Sharif è composto da una coalizione variegata e piuttosto inedita, i principali partiti che sostengono il nuovo esecutivo sono: la Lega Musulmana del Pakistan (il cui capo è il nuovo primo ministro) a forte caratterizzazione religiosa e il Partito del Popolo del Pakistan (i cui leader sono il marito e il figlio di Benazir Bhutto). Al di là di ogni considerazione empatica, emerge con prepotenza come in Pakistan esista una forma di “oligarchia”, termine oggi tristemente comune, dato che i clan familiari che ciclicamente si contendono il potere sembrano appartenere sempre a Sharif o Bhutto. Non è un caso che, a seguito della nomina di Shahbaz Sharif, suo figlio Hamza Sharif sia stato eletto capo della provincia del Punjab; si tratta della zona più popolosa del paese dove risiede la metà della popolazione pakistana. Nessuna delle casate è rimasta indenne dalle accuse di frode e corruzione vere o presente, ma sempre negate. Khan si era appunto posto come “innovatore” perché intenzionato a spezzare la circolarità delle cariche elettive.
La nuova elezione è stata accompagnata da proteste del Pakistan Tehreek-e-Insaf (PTI – Partito della Giustizia del Pakistan) e, nonostante la sconfitta del leader Khan, la composizione del Parlamento si può dire frammentaria: il nuovo premier è stato eletto grazie a 174 voti (due in più della maggioranza necessaria) su 342, ciò fa sì che possano essere varate nuove leggi, ma è indubbio che l’opposizione composta da 168 seggi avrà sicuramente “voce”. Ovviamente non è escluso che i sostenitori di Khan, come “minacciato” dallo stesso, scendano in strada per manifestare e questo aggraverebbe ulteriormente la crisi.
Khan, indubbiamente un conservatore, ha dalla sua la potenza della propaganda populista declinata in accanimento verso il popolo pakistano dopo il famoso 11 settembre, la teoria del complotto a stelle e strisce è il suo cavallo di battaglia e il suo messaggio sottende anche al tentativo di ispirarsi alla Cina come modello politico di riferimento, abbandonando i paradigmi del mondo occidentale. Khan non ha mai fatto mistero di apprezzare i modelli cinese e russo, ciò trova conferma nella sua visita ufficiale a Mosca il 24 febbraio mentre Putin aveva dato inizio all’operazione militare volta alla conquista di alcune zone dell’Ucraina. Questo tipo di dialettica sembra affascinare molto i più giovani che sarebbero anche la componente numerica maggioritaria del partito che lo sostiene. Gli Usa hanno prontamente smentito le accuse mosse ufficialmente e ufficiosamente da Khan.
Le posizioni assunte da Khan in merito alla politica internazionale sembra gli abbiano fatto perdere il consenso di una figura chiave come il generale Qawar Javed Bajwa (capo delle forze armate) che, nella sua destituzione, avrebbe visto la possibilità di un riassesto negli equilibri geopolitici mondiali per il paese.
Arianne Ghersi
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