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CARO NORD AFRICA: SIAMO TORNATI!

La sconcertante realtà a cui assistiamo è l’assoluto disequilibrio con cui vengono gestiti i rapporti con gli stati che si affacciano alle sponde meridionali del Mediterraneo.

L’Italia in primis, ma sicuramente anche altri stati non indipendenti dal punto di vista energetico, stanno cercando nuove aperture ed accordi con le nazioni del Nord Africa che anche solo per prossimità geografica sembrano essere gli interlocutori privilegiati.

Alcuni analisti, in preda ad attacchi di estrema sincerità, oggi ammettono che la scelta di dirottare l’acquisto delle materie prime verso la Russia era principalmente una questione strategica dettata dal timore che stati poco solidi potessero mettere in crisi le economie del vecchio continente. Questa analisi potrebbe anche avere un criterio logico se non fosse che nel frattempo questi stati hanno trovato una nuova solidità, anche nell’instabilità.

L’Egitto di Al-Sisi non solo ha ritrovato nuovi spazi nello scenario internazionale, ma il presidente ha saputo anche incentivare grandi opere infrastrutturali che sapranno condurre il paese verso un’economia più competitiva. Il Marocco e l’Algeria continueranno a dover affrontare la questione spinosissima del Fronte Polisario nella quale non si prevedono prossimi sviluppi d’intesa: il primo accusa il secondo di aver dato “asilo” a dei terroristi, versione osteggiata dall’Algeria che, dopo la morte di Bouteflika, può prevedere e sperare in una rinascita. La Tunisia di Kais Saied è coinvolta in grossi scontri contro e pro l’operato del presidente che continua a dover combattere contro le condotte ostative di Ennahda ma, seppur in un clima difficile, il potere centrale dimostra di essere solido e rassicurante. La Libia è e continuerà ad essere l’enorme caos che sembra ormai disinteressare tutti; in fin dei conti sarebbe impossibile accordarsi su nuovi approvvigionamenti energetici con uno stato che non ha un presidente, ma che può vantare due premier (uno legittimo e l’altro che non accetta di essere dimissionario).

Al di là delle mere considerazioni economiche, emergono prepotentemente report da numerosi organizzazioni che si occupano della tutela dei diritti umani. Da essi si “intuisce” (senza reali ammissioni) che la riorganizzazione energetica dell’Italia fatta “in fretta e furia” sia in realtà da ascrivere ad una scelta etica. Per ognuno dei paesi citati si contano numerose denunce legate alla non protezione dell’infanzia, alla violazione delle libertà individuali delle donne, a carcerazioni arbitrarie di semplici dissidenti.

La domanda che mi sorge spontanea è: gran parte delle accuse mosse ai paesi del Nord Africa non sono in realtà recriminazioni che sentiamo porre alla condotta attuale del Cremlino?

La libertà di stampa non esiste in Russia, le carceri sono piene di dissidenti, la repressione degli organi deputati alla sicurezza nazionale è spietata.

Un ulteriore dato che conferma la mia ipotesi è l’uso dei social: le famose “Primavere Arabe” sono nate da Facebook e ciò ha fatto sì che un sentimento legato al malcontento fosse maggiormente esprimibile e condivisibile. I leader nordafricani hanno bloccato le piattaforme solo nel momento in cui le persone scese in piazza avevano avuto la possibilità di riunirsi. In Russia i social network, forse memori di quanto appena descritto, sono stati censurati fin dalle prime ore dello scoppio della guerra.

Quanto dovrebbe indignarci non è “solo” la morte di innocenti, ma anche la doppia lente con cui vengono analizzati i fatti. Con quanto ho scritto non intendo in nessun modo parteggiare per alcuno, vorrei solo che l’Europa e il suo popolo sapesse vedere ciò che non piace: le decisioni geopolitiche e di conseguenza quelle energetiche non sono sempre prese alla luce del bene comune. Se così fosse non avremo lasciato il popolo libico in un limbo che ogni giorno peggiora e avremmo prestato la massima attenzione affinché fosse ricostruito uno stato solido e pacifico.

La guerra Russia-Ucraina rischia di essere solo il primo campanello d’allarme che potrebbe sfociare in altri conflitti sanguinosi. È vero, le zone di cui faccio menzione non fanno parte della Nato ma ciò non vuol dire che non rischiamo di pagare conseguenze atroci per delle decisioni che abbiamo accantonato piuttosto che scegliere di prendere una posizione seppur errata.

Arianne Ghersi

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