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LE ULTIME DAL FRONTE LIBICO

Le elezioni presidenziali in Libia si sarebbero dovute tenere il 24 dicembre dello scorso anno ma, allo scadere della data prevista, sono state rimandate al 24 gennaio. Quest’ultimo appuntamento non è stato rispettato e quasi nessun media italiano si è “degnato” di segnalare l’ulteriore rinvio. Ad oggi alcune fonti sostengono che si terranno prima di giugno, ma nulla di certo sembra essere stato dichiarato.

Si potrebbero sprecare fiumi di inchiostro per descrivere luci ed ombre dei candidati alla presidenza, ma la sconcertante verità sembra sia quella legata all’impresentabilità di Gheddafi junior e alla complicata gestione di una possibile vittoria di Haftar. Per quanto riguarda il figlio di Mu’ammar, Saddam, è importante menzionare la sentenza espressa in contumacia del reo secondo cui il discendente del rais avrebbe commesso feroci crimini di guerra: nessuna fonte è sufficientemente chiara al fine di comprendere l’effettiva liceità del tribunale che si sarebbe espresso e pertanto non si potrebbe sostenere che il candidato sia pregiudicato. Tuttavia questa macchia, almeno nell’opinione pubblica, sembra pesare e porta ad una decisa spaccatura tra innocentisti e colpevolisti.

Se si escludesse la candidatura di Saddam Gheddafi è forte il rischio che i suoi sostenitori imbraccino le armi e conducano a nuovi scontri. Allo stesso tempo, nel caso si soprassedesse su quanto descritto, se vincesse Haftar il rischio che fazioni contrapposte giungano ad una qualche forma di guerriglia non è affatto improbabile.

Questa è, a mio avviso, la spiegazione più logica dello stallo creatosi ed in parte può giustificare il silenzio perché sarebbe da interpretare come una forma di cautela. Ovviamente non bisogna sottovalutare le infiltrazioni jihadiste già presenti nella società e il fatto che molti attori internazionali visibili ed invisibili (ad esempio mercenari siriani e i russi della Wagner) continuino a cercare di “spartirsi” un territorio in cui le fazioni non sembrano più così nette come inizialmente potevano apparire.

In questo intricato puzzle una luce di chiarezza è però apparsa: l’ex ministro degli interni Fathi Bashagha è stato eletto primo ministro dal parlamento monocamerale (HoR). Ovviamente la notizia non è stata ben accolta da Abdul Hamid Dbeibah (premier candidato alle presidenziali a cui è scaduto il mandato alla fine dello scorso anno) che, essendo alla guida del governo di Accordo Nazionale riconosciuto dalla Comunità Internazionale, ha rigettato la decisione presa. Bashagha ha tempo due settimane per formare il nuovo governo e 14 mesi per indire le elezioni presidenziali, ma la reale incognita dietro al gioco di potere in atto sono le intenzioni degli stati esteri coinvolti. Inizialmente si può infatti sostenere che i paesi più interessati ad un intervento armato fossero Regno Unito, Usa e Francia ma, ad oggi, chi si contende le spoglie della lacerata Libia sono Russia e Turchia.

Il mandato di Dbeibah non era volto al termine solo a livello temporale, ma era ormai contrassegnato dalla sfiducia: non ha saputo condurre il paese alle elezioni presidenziali del 24 dicembre come richiesto dall’Onu e si era attirato numerose critiche per essersi candidato senza autosospendersi formalmente dalla carica di premier. Ciò ha spinto Agila Saleh (presidente del parlamento unicamerale libico e anch’esso candidato a succedere a Gheddafi) a sostenere un cambio di rotta.

Esiste la concreta possibilità, data la volontà di Dbeibah di non dimettersi, che si creino due governi: il primo guidato dal premier uscente e con sede a Tripoli, il secondo amministrato dal misuratino Bashagha. Questo possibile scenario, nonostante gli sforzi diplomatici profusi anche dall’Italia, non condurrebbe ad una nuova fase di stabilità, ma replicherebbe la dualità già presente in Libia da ormai circa dieci anni.

Arianne Ghersi

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