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ELEZIONI IN LIBIA: ENNESIMO FALLIMENTO

Si terranno le elezioni in Libia il 24 dicembre? Questa è la domanda che il vecchio continente si pone; gli osservatori più lungimiranti affrontano il quesito con una sana dose di scetticismo. Alcune indiscrezioni danno ormai per certo lo slittamento della data, resta però da capire se il ritardo sarà semplicemente di qualche giorno o se diverrà un “da definire” a tempo indeterminato. Ciò che è graniticamente certo è che il mandato dell’attuale governo ad interim scadrà alla Vigilia di Natale e che, se non si tenesse la tornata elettorale, la Libia si troverebbe senza governo e quindi vittima di ulteriore caos.

Uno degli aspetti che fanno presupporre il non rispetto della data prevista è quanto dichiarato dall’organismo deputato alla supervisione del voto: secondo esso, infatti, sarebbe impossibile decretare i possibili candidati a causa di dubbi (e/o cavilli) legali. Alcune sentenze, ad esempio, avrebbero annunciato l’impresentabilità di una figura molto discussa come Saif al-Islam Gheddafi, figlio dell’ex presidente. Contrariamente alle infauste previsioni iniziali i nomi di Abdulhamid Dbeibah (additato come signore della guerra nella parte orientale del paese) e Khalif Haftar sembra siano stati ammessi dalla commissione deputata a tali valutazioni. Ovviamente quanto sancito è stato prontamente impugnato dai partiti d’opposizione.

Nel caotico scenario libico non sono mancate reciproche accuse di corruzione ed intimidazione e pensare che tali criticità possano essere valutate nel corso di pochi giorni è autentica utopia.

È limitante racchiudere la portata delle problematiche alla sola circostanza giuridica. Dabaiba, attuale premier, al momento dell’assunzione del ruolo aveva garantito che non avrebbe concorso alle elezioni presidenziali: ha successivamente sostenuto che quanto promesso era un mero vincolo morale, ma non una presa di posizione vincolante. Saif al-Islam Gheddafi, condannato in contumacia per crimini di guerra, ha presentato la propria candidatura non tenendo conto della condanna inflittagli. È indubbio, però, che se Dabaiba non potesse misurarsi in campo elettorale avrebbe un peso “minore”, seppure sia il favorito: le esclusioni di Gheddafi junior o Haftar potrebbero invece innescare reazioni che sfocerebbero in guerriglia (o peggio).

Come se tutto ciò non bastasse, la presenza dei combattenti Wagner (miliziani stranieri, perlopiù russi, da sempre sostenitori di Haftar anche se la diplomazia del Cremlino appoggia invece ufficialmente Gheddafi), piccole ma temibili risacche di miliziani interni e combattenti mercenari provenienti da paesi limitrofi potrebbero segnare l’inizio di una nuova guerra.

A conferma di quanto descritto si può citare l’episodio avvenuto il 15 dicembre nel quale la milizia Nawasi (il cui capo è Mustafa Ibrahim Gaddur) e il gruppo Ghneiwa (guidati da Abdel Ghani al-Kikli) avrebbero circondato il palazzo presidenziale: la nomina (voluta dal premier Dabaiba) del nuovo generale alla guida del comando centrale, Abdelkader Mansour Khalifa (figura di spicco della storia del paese negli ultimi dieci anni) al posto del generale Abdelbaset Marwan, sarebbe stata il “detonatore” e dimostra quanto ogni singola decisione possa avere forti conseguenze e quanto sia alta la tensione nel paese. Il timore che si è celato dietro questa rappresaglia sembra essere il fatto che la nuova nomina avrebbe potuto facilitare il consolidamento del potere del premier al momento sospeso dall’incarico perché candidato alle presidenziali. Sembra infatti che Dabaiba sia il favorito e non è certo impensabile che la nomina di personaggi del mondo militare a lui affini sia un modo per “preparare il campo” ad accoglierlo nella nuova veste.

Quanto avvenuto ha portata unicamente simbolica e proprio per questo dovrebbe essere un campanello d’allarme per il mondo intero: se una semplice nomina può riaccendere gli scontri, come si può pensare di organizzare delle serie elezioni presidenziali in pochi giorni?

È indubbio che Francia e Italia siano gli attori europei maggiormente coinvolti in tale processo e, contrariamente al passato, si può pensare che il Trattato del Quirinale recentemente firmato, sia un primo passo per giungere ad un atteggiamento più armonioso. Ciò che forse sfugge è quanto siano interessati altri paesi a queste elezioni (Egitto, Emirati Arabi Uniti, Russia, Turchia solo per citare i più “esposti”) ed è impossibile ipotizzare che tutti abbiano le stesse finalità.

Le elezioni in Libia rischiano di dimostrarsi l’ennesimo insuccesso: l’esportazione della democrazia (principio teorico nobile, ma praticato con miopia e scarsa comprensione dei popoli autoctoni) rischia di preludere ad un ulteriore fallimento planetario.

Arianne Ghersi

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