LE INTERVISTE TALEBANE: ALAIN DE BENOIST
Alain de Benoist è uno scrittore, filosofo e giornalista francese. Un Egregio, dal pensiero interessante, de Bernoist è stato il fondatore di Nouvelle Droite (Nuova Destra), movimento culturale di indubbio spessore, del quale è stato animatore insieme a Guillaume Faye, Pierre Vial, Giorgio Locchi.
Oggi Il Talebano, think tank innovativo e dalle prospettive dirompenti, ha un onere importante: intervistare il più grande pensatore mondiale alternativo al main stream: Alain De Benoist. Questa intervista si inserisce in un serio e rigoroso impegno metapolitico a favore dell’ Europa dei Popoli. Anestetizzati da una dimensione “Usa&Getta” profondamente radicata nella nuova genetica sociale, guidati (si fa per dire…) da un invadente inaridimento informativo e formativo, è urlante l’esigenza alla Ricerca metapolitica. Un felice esempio di applicazione di un sano “senso di contraddizione” ad un fare mainstream dedito alla cieca superficialità che fa venir fuori, a gamba tesa, un desiderio di rielaborazione filosofico e dottrinale.
Madre di questo lavorio fu indubbiamente la Nouvelle Droitre che tramite le sue varianti nazionali anticipò, a partire dalla fine degli anni sessanta, non pochi temi scaturiti alla sensibilità postmoderna.
Già in quel periodo, una Destra legata a miti incapacitanti si trovava incapace a rispondere all’egemonia di Sinistra. Oggi questa esigenza è più che mai forte ed attuale.
Davanti ad una avanzata, invadente, della bio-politica come modello standard di “approccio” in una fase storica post-democratica, il Populismo pur portatore di istanze importanti è insufficiente. E’ arrivato il momento di fare delle scelte! E’ arrivato il momento di smetterla con racconti di Padrini e “Grandi Vecchi” o, per dirla, all’inglese: Master of Puppets. Raccontarsi fantasiosi complotti applicando, poi, ad essi infantili contestazioni porta solo all’imbarbarimento mainstream del sociale. E’ opportuno, invece, iniziare a stimolare un Pensiero serio ed autonomo. E’ opportuno iniziare a “pensare altrimenti” come dice Diego Fusaro e per farlo, ci vuole rigore metabolico e politologico.
D Gli anni Dieci, del secondo millennio dell’era Cristiana, sono stati considerati il decennio del populismo. Indubbiamente “il momento” populista come lei l’ha definito dura da tempo. Secondo lei il covid ha portato ad una crisi o una crescita del populismo?
Il lockdown ha impedito marce e raduni, dando l’impressione che lo slancio populista degli ultimi anni si sia più o meno placato. Non ci credo nulla, perché le cause dell’ascesa del populismo sono più che mai presenti, che si tratti della sfiducia generalizzata delle élite politiche e mediatiche, dell’insicurezza e di altre patologie sociali generate dall’immigrazione di massa incontrollata, della crisi sistemica di una democrazia liberale rappresentativa che non rappresenta più nulla, e la precarietà che continua a diffondersi a scapito delle classi popolari e medie, che ora sono minacciate di declassamento, se non di scomparsa. Poiché le stesse cause generano gli stessi effetti, possiamo aspettarci rivolte sociali su larga scala nei prossimi anni.
D Lei è da sempre impegnato nell’ambito di una elaborazione metapolitica alternativa al liberalismo. Alla luce degli eventi della pandemia mondiale quali sono per lei gli effetti di questo evento sul mainstream liberale?
Non capisco bene la sua domanda, perché non vedo la relazione tra la metapolitica e la critica del liberalismo. La metapolitica è un modo di affrontare le questioni politiche dalla cultura e dalle idee. La critica del liberalismo è solo un aspetto della concezione generale del mondo che propongo da molto tempo.
La “crisi sanitaria” associata alla pandemia di Covid-19 mi sembra abbia probabilmente introdotto il maggior numero possibile di nostri concittadini in una nuova categoria, ma che i politologi conoscono bene: il liberalismo autoritario. Se cinque o dieci anni fa ci fosse stato detto che i governi “liberali” ci avrebbero proibito di uscire dalle nostre case, stringendoci la mano, baciandoci, partecipando ai funerali dei nostri cari, che per andare in ristoranti, bar, cinema o teatri ora dovremmo sfoggiare una sorta di passaporto interno (il “pass sanitario”), saremmo rimasti increduli. Eppure è quello che è successo.
Questo liberalismo autoritario deve essere collocato nel quadro più generale dell’istituzione di una società di sorveglianza e controllo che oggi colpisce tutti gli aspetti della vita pubblica e privata. Il riconoscimento facciale, l’intelligenza artificiale, la dematerializzazione delle cose, l’uso di algoritmi, ecc. creano da questo punto di vista una nuova situazione. Stiamo entrando in un mondo in cui saremo bloccati, digitalizzati, connessi. Questa è una vera svolta storica che sta attualmente accadendo silenziosamente.
D Il Talebano lavora nell’orbita dei think thank Identitari. E’ opinione comune l’apporto egregio ma migliorare è una prerogativa di intelligenza. Un uomo del suo spessore, quali consigli da per la battaglia dei diritti dei popoli?
Due cose importanti mi sembrano da ricordare. Il primo è che la difesa della causa dei popoli e inseparabile dalla difesa della causa del popolo. I popoli non sono entità astratte, in nome delle quali vanno difese “identità collettive” altrettanto astratte. I popoli sono prima di tutto le classi popolari, che formano la stragrande maggioranza. In questo approccio, le nozioni di ethnos, demos e plebe non possono essere separate.
Il secondo punto è che la difesa dei popoli riguarda tutti i popoli. Naturalmente è legittimo preoccuparsi in via prioritaria della situazione delle persone a cui apparteniamo, della loro situazione nell’attuale momento storico e delle minacce che affrontano, ma sarebbe un grave errore ignorare gli altri popoli o, peggio ancora, considerarli a priori come nemici la cui esistenza minaccerebbe la nostra. Il sistema in atto, il cui motore è il capitalismo liberale, tende a omogeneizzare l’intera Terra per trasformarla in un vasto mercato planetario. Ciò significa che tutte le particolarità etniche, culturali, linguistiche, ecc. che possono ostacolare l’espansione del mondo devono essere sradicate. Non è quindi solo la personalità del nostro popolo ad essere minacciata. Questo vale anche per la personalità di tutti gli altri popoli, con il rischio di far scomparire una diversità culturale umana che è la vera ricchezza dell’umanità.
Paolo Guidone
Alain de Benoist est un écrivain, philosophe et journaliste français. Egregio, avec une pensée intéressante, de Bernoist a été le fondateur de la Nouvelle Droite, un mouvement culturel d’une profondeur incontestable, dont il a été l’animateur avec Guillaume Faye, Pierre Vial, Giorgio Locchi.
Aujourd’hui, Il Talebano, un groupe de réflexion innovant aux perspectives perturbatrices, ont un fardeau important : interviewer le plus grand penseur alternatif au monde : Alain De Benoist. Cet entretien s’inscrit dans un engagement métapolitique sérieux et rigoureux en faveur de l’Europe des peuples. Anesthésiée par une dimension « Jetable » profondément ancrée dans la nouvelle génétique sociale, guidée (pour ainsi dire…) Un exemple heureux de l’application d’un sain « sens de la contradiction » à une pratique dominante vouée à la superficialité aveugle qui fait émerger, pied droit, un désir de réélaboration philosophique et doctrinale.
La mère de cet ouvrage est sans doute la Nouvelle Droitre qui, à travers ses variantes nationales, anticipe, à partir de la fin des années soixante, bon nombre de thèmes issus de la sensibilité postmoderne.
Déjà à cette époque, une droite liée à des mythes invalidants était incapable de répondre à l’hégémonie de la gauche. Aujourd’hui ce besoin est plus que jamais fort et actuel.
Face à une avancée envahissante de la bio-politique comme modèle standard d’« approche » dans une phase historique post-démocratique, le populisme, même s’il est porteur d’enjeux importants, est insuffisant. Le moment est venu de faire des choix ! Le temps est venu de s’arrêter aux contes de Parrains et de « Grands Vieillards » ou, pour le dire en anglais : Master of Puppets. Se raconter des intrigues imaginatives et leur appliquer ensuite des plaintes enfantines ne conduit qu’à la barbarie sociale dominante. Au lieu de cela, il est conseillé de commencer à stimuler une Pensée sérieuse et autonome. Il convient de commencer à « penser autrement » comme le dit Diego Fusaro et pour ce faire, il faut de la rigueur métabolique et politique.
D- Vous avez toujours été attaché à une élaboration métapolitique alternative au libéralisme. À la lumière des événements de la pandémie mondiale, quels sont pour vous les effets de cet événement sur le grand public libéral ?
Je ne comprends pas bien votre question, car je ne vois pas le rapport entre la métapolitique et la critique du libéralisme. La métapolitique est une façon d’aborder les questions politiques à partir de la culture et des idées. La critique du libéralisme n’est qu’un des aspects de la conception générale du monde que je propose depuis déjà bien longtemps.
La « crise sanitaire » associée à la pandémie de Covid-19 me paraît avoir été de nature à faire découvrir au plus grand nombre de nos concitoyens une catégorie nouvelle, mais que connaissent bien les politologues : le libéralisme autoritaire. Si l’on nous avait dit il y a cinq ou dix ans que des gouvernements « libéraux » allaient nous interdire de sortir de chez nous, de nous serrer la main, de nous embrasser, d’assister aux obsèques de nos proches, que pour aller au restaurant, au bar, au cinéma ou au théâtre il faudrait désormais exhiber une sorte de passeport intérieur (le « passe sanitaire »), nous serions restés incrédules. C’est pourtant ce qui s’est passé.
Ce libéralisme autoritaire est à resituer dans le cadre plus général de la mise en place d’une société de surveillance et de contrôle qui touche aujourd’hui tous les aspects de la vie publique et privée. La reconnaissance faciale, l’intelligence artificielle, la dématérialisation des choses, le recours aux algorithmes, etc. créent de ce point de vue une situation nouvelle. Nous entrons dans un monde où nous serons fichés, numérisés, connectés. C’est un véritable tournant historique qui se produit actuellement de façon silencieuse.
D- Les dix années, du deuxième millénaire de l’ère chrétienne, ont été considérées comme la décennie du populisme. Sans aucun doute, le « moment » populiste tel que vous l’avez défini dure depuis un certain temps. Selon vous, le covid a-t-il entraîné une crise ou une montée du populisme ?
Le confinement a empêché les défilés et les rassemblements, donnant ainsi l’impression que l’élan populiste de ces dernières années était plus ou moins retombé. Je n’en crois rien, car les causes de la montée des populismes sont plus présentes que jamais, qu’il s’agisse de la défiance généralisée envers les élites politiques et médiatiques, de l’insécurité et des autres pathologies sociales engendrées par une immigration massive incontrôlée, de la crise systémique d’une démocratie libérale représentative qui ne représente plus rien, et de la précarité qui ne cesse de s’étendre au détriment des classes populaires et des classes moyennes aujourd’hui menacées de déclassement, sinon de disparition. Les mêmes causes engendrant les mêmes effets, il faut s’attendre dans les années qui viennent à des révoltes sociales de grande ampleur.
D- Il Talebano travaillent dans l’orbite des think tanks identitaires. C’est l’opinion commune l’excellente contribution mais l’amélioration est une prérogative de l’intelligence. Homme de ta profondeur, quels conseils donne-t-il pour la bataille pour les droits des peuples ?
Deux choses importantes me paraissent à retenir. La première est que la défense de la cause des peuples et indissociable de la défense de la cause du peuple. Les peuples ne sont pas des entités abstraites, au nom desquelles il faudrait défendre des « identités collectives » tout aussi abstraites. Les peuples, ce sont d’abord les classes populaires, qui en forment la vaste majorité. Dans cette approche, les notions d’ethnos, de demos et de plebs ne peuvent être séparées.
Le second point, c’est que la défense des peuples concerne tous les peuples. Il est bien entendu légitime de se préoccuper en priorité de la situation du peuple auquel nous appartenons, de la situation qui est la sienne dans le moment historique présent et des menaces auxquelles il est confronté, mais ce serait une grave erreur d’ignorer les autres peuples ou, pis encore, de les considérer a priori comme des ennemis dont l’existence menacerait la nôtre. Le système en place, dont le moteur est le capitalisme libéral, tend à homogénéiser la Terre entière pour la transformer en un vaste marché planétaire. Cela signifie que toutes les particularités ethniques, culturelles, linguistiques etc. susceptibles de faire obstacle à l’expansion du monde doivent être éradiquées. Ce n’est donc pas seulement la personnalité de notre peuple qui est menacée. C’est aussi le cas de la personnalité de tous les autres peuples, avec à terme le risque que disparaisse une diversité culturelle humaine qui est la véritable richesse de l’humanité.
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