BUONE NUOVE DAL PAESE DEI CEDRI?
È trascorso poco più di un anno dall’esplosione al porto di Beirut e dal relativo collasso economico del paese. La notizia rassicurante di questi ultimi giorni riguarda la creazione di un nuovo governo che, si spera, saprà traghettare il Libano fuori da una crisi economica e sociale pesantissima. Si auspica infatti che il governo possa iniziare le trattative con il Fondo Monetario Internazionale.
La condizione del popolo libanese, poco descritta dai media nostrani, è ad oggi terrificante: molte scuole chiuse, nei supermercati mancano beni di prima necessità, negli ospedali mancano molti presidi indispensabili all’attività medica (neanche le dialisi erano più possibili); quello che in Europa viene definito il “ceto medio” è scomparso e l’impoverimento generale della popolazione è evidente.
È importante ricordare come il potere politico in Libano sia spartito in chiave confessionale: il presidente maronita, il primo ministro musulmano sunnita ed il presidente del parlamento musulmano sciita.
Najib Mikati, il primo ministro, ha dichiarato: “nessun partito ha il terzo bloccante”. Ciò vuol dire che nessuna delle anime politiche potrebbe porre il diritto di veto o sfiduciare da solo il nuovo governo. Inoltre, il premier ha dichiarato di poter contare su due terzi del governo spinti dalla reale volontà di cambiamento. Sorge pertanto spontaneo chiedersi quale sia il terzo che non garantisce certezze in tal senso e, provando a rispondere a questa domanda, ci sarà forse possibile comprendere le motivazioni di uno stallo politico durato un anno.
L’esplosione avvenuta al porto è avvenuta poco tempo prima delle elezioni del Presidente della Repubblica (maronita) e il presidente Michel Aoun ha visto in questa catastrofe una possibilità politica importante. Infatti sembra abbia cominciato fin da subito una lotta estenuante: voleva “appropriarsi” di quel “terzo bloccante”, ossia avere un numero maggiore di ministri che, secondo la costituzione libanese, consentono di bloccare il governo e delegittimarlo.
Questa manovra può essere ricondotta all’intenzione del generale Aoun di garantire la successione politica a suo genero, personaggio di spicco perché ex ministro degli esteri e segretario del partito del suocero. A tal fine, quindi, si può ipotizzare che le scelte poste in essere fossero due: l’elezione di Gebran Bassil o la disfatta del governo. Al fine di garantire la riuscita dell’ardimentoso progetto sembra che sia stato profuso grande impegno al fine di impedire al primo ministro incaricato di scegliere gli altri ministri.
Ad oggi si può quindi capire che lo stallo del paese è dipeso da quello che noi in Italia potremmo definire una “spartizione delle poltrone”.
Una volta capito l’intento “aounista”, per lungo tempo si è ipotizzato di concedere a tale area otto ministri su ventiquattro, anziché nove, per impedire che una singola area politica potesse tenere sotto scacco l’intero paese.
Questa diatriba che sembrava senza soluzione ha trovato un apparente “lieto fine”: sono stati nominati due ministri cristiani indipendenti, ovvero due personalità che non sono schierate con la forza politica facente capo al Presidente della Repubblica.
La domanda più ovvia da porci forse dovrebbe essere: quanto sono realmente indipendenti coloro che sono diventati, di fatto, l’ago della bilancia?
La realtà che emerge con prepotenza è concernente il fallimento totale della classe politica libanese che ha giocato sulla vita del proprio popolo una triste battaglia di potere. L’unico “partito” che sembra abbia tratto giovamento da questa catastrofica situazione si può dire sia Hezbollah che in questo lungo anno si è assicurato con azioni “di fatto” il controllo della politica di difesa nazionale.
Ogni giorno fiumi di inchiostro vengono spesi per descrivere situazioni allucinanti riguardanti il Medioriente, ma pochissimi sembrano realmente impegnarsi affinché un flusso costante di informazioni sia garantito al mondo intero.
L’unico augurio per il paese dei cedri è che gli aiuti internazionali possano davvero dare linfa nuova alla popolazione che, nel silenzio del globo, ha sofferto e soffre una crisi umanitaria, sociale ed economica gravissima.
Arianne Ghersi
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