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ALGERIA: FINE DI UNA MESSINSCENA

“Bouteflika è morto”, questa è la notizia riportata dai principali organi di stampa nostrani ed internazionali. Forse, però, sarebbe più onesto dire che si è spento in quanto l’ultimo storico Rais è venuto a mancare nel 2013 e ad oggi solo l’involucro delle sue gesta si era conservato.

Infatti, proprio nel 2013 il presidente algerino fu colpito da un ictus e mai si riprese, nonostante innumerevoli tentativi riabilitativi compiuti nelle migliori cliniche del mondo.

Bouteflika ha segnato la storia del paese per decenni; a 19 anni si è arruolato nell’Esercito di Liberazione Nazionale (Aln) e in seguito si è unito all’esercito Dar el Kebdani, tra il 1957 e il 1962 compie una fulminea carriera intrecciando il proprio cammino con Houari Boumediene.

Il 2019 è stato l’anno determinante per l’Algeria: il Rais, costretto ormai sulla sedia a rotelle, incapace di parlare e sembra di esprimere qualsivoglia parere, è stato ricandidato per l’ennesimo mandato. Il termine “ennesimo” non esprime un giudizio di merito, ma un dato di fatto: nella primavera di quell’anno viene data notizia dell’intenzione di Bouteflika di ricandidarsi per le elezioni, di fatto arrivando a sfiorare il quinto mandato consecutivo. Finalmente si spegne un teatrino a dir poco osceno in cui eravamo costretti ad immaginare un uomo provato dalla malattia costretto a comparizioni televisive dove mai si sentiva la sua voce e ad assistere alle improbabili pressioni del suo entourage che, incapace di poter fornire altro ai possibili elettori, si limitava a girare per le strade con foto/cartelloni del presidente, per di più datate di una ventina d’anni.

Le proteste di piazza sono state spontanee ed immediate in circa 48 province del paese tanto che, il clan Bouteflika, ovvero i veri detentori del potere, si sono trovati a desistere dal loro intento.

Nemmeno il richiamo delle “sirene” delle cosiddette “Primavere Arabe” sono riuscite a sparigliare le posizioni di potere, tanto che l’Algeria non ne è stata investita e, contrariamente a quanto avvenuto nei paesi limitrofi, il governo non ha avuto bisogno di promettere ed attuare concessioni politiche al fine di contenere eventuali ondate di proteste.

La cronaca internazionale, memore degli anni bui (una guerra civile che è costata più di 200.000 morti) in cui sprofondò il paese negli anni ‘90, seguì con apprensione le notizie che emergevano fino a che, ad un tratto, tutto e tutti tacquero. Quasi si può dire che nulla è stato detto sul suo successore: Abdelmadjid Tebboune, forse perché lo si potrebbe descrivere come il più accondiscendente e il meno implicato nelle congiure ordite dai vertici militari.

Il nuovo presidente è stato votato in un clima surreale in cui l’astensionismo è stato il vero vincitore. Chi è costui? 74 anni, economista di formazione, è stato più volte alto funzionario, poi wali (equiparabile ad un prefetto) prima di essere nominato ministro della Comunicazione da Bouteflika al suo arrivo al potere nel 1999. Il vero detentore del potere, però, è Ahmed Gaïd Salah, ovvero il capo di Stato maggiore.

Da quanto sommariamente riportato si deduce con semplicità come anche le elezioni del 2019 siano state comunque vinte dal clan oligarchico-militare che si è ricompattato subito, mettendo da parte orgoglio e vecchi rancori. Il ricordo di quanto avvenuto con il Fronte di Liberazione è troppo vivo e lo sarà sempre perché si possa rischiare che il paese sprofondi in un caos da cui difficilmente saprebbe rialzarsi. Numerose sono le testimonianze di intellettuali algerini che riportano quanto vissuto in un passato “non troppo lontano” per poter essere dimenticato o revisionato dalla lente della storia. La regione della Cabilia, la città di Orano sono ancora memoria di terribili scontri e, almeno per quanto riguarda il panorama internazionale, sembra che nessun “buon” ricordo possa ancora essere associato.

Ad oggi quindi si può desumere che nulla cambierà dopo la morte di Bouteflika perché, coloro che si sono salvati dall’ “epurazione” governativa del 2019, hanno avuto tre lunghi anni per gettare solide basi per una conveniente e pacifica successione unicamente morale.

Arianne Ghersi

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