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TUNISIA: LA PEGGIOR CRISI DOPO LA “PRIMAVERA ARABA”

La Tunisia fu il primo paese in cui scoppiarono disordini che portarono alla destituzione del presidente Ben Ali. Dal gennaio 2011 il volto del paese è cambiato, tanto da sembrare irriconoscibile.

Quel paese che a noi italiani è sempre sembrato “vicino” geograficamente, luogo di ricordi di tanti vacanzieri e parte della storia politica legata a Craxi, ad oggi sembra inafferrabile nella sua sostanza.

Ciò che la nostra informazione ha dimenticato di sottolineare è l’instabilità politica mai risolta da allora: si sono succeduti sei presidenti (di cui quattro ad interim). È giusto ricordare che la Tunisia è l’unico paese che ha messo mano in modo considerevole alla propria costituzione senza che ci fosse un leader a concedere “qualcosa” pur di mantenere il potere.

È doveroso ricordare che lo schema delle proteste nel 2011 fu simile in molti paesi: leaderships forti messe in dubbio dal popolo con il sostegno di partiti a carattere religioso che fino ad allora, se non erano messi al bando, godevano comunque di una fama non cristallina.

Al contrario dell’Egitto, che ha visto Morsi presidente per un breve lasso di tempo e che ha poi riaffidato il proprio futuro ad un militare, Al-Sisi, la Tunisia ha mantenuto un profilo più “coerente” agli slogan esibiti nel corso delle manifestazioni.

Ad oggi i media ci propongono un paese in crisi e ciò è facilmente spiegabile da una crisi finanziaria lacerante, ma minimizzare tutto servendosi della lente economica credo sia fuorviante.

All’interno del paese, durante questi dieci anni, si sono creati due schieramenti politici/ideologici. Da un lato troviamo l’attuale presidente Kais Saied che rappresenta il fronte laico; dall’altra Rached Ghannouchi, presidente del parlamento, noto per essere il fondatore e leader assoluto di Ennahda oltre che un esponente di spicco dell’internazionale della Fratellanza musulmana.

Sulla base di queste contrapposizioni, la decisione del presidente di sospendere le attività parlamentari giunge al culmine di scontri interni che hanno reso immobile e stagnante la politica del paese. Come è facilmente prevedibile, questa notizia e l’intenzione di sostituire il presidente del parlamento è stata colta da molti come un tentativo di colpo di stato. Non è chiaro nemmeno quali siano le intenzioni di Saied, che è un avvocato costituzionalista eletto come indipendente, senza un partito a sostenerlo. Ha contribuito alla stesura della Costituzione tunisina, promulgata nel 2014, ma nonostante ciò ha iniziato a criticarla sotto alcuni punti di vista. Successivamente alla sua elezione, ha dichiarato più volte pubblicamente di essere a favore dell’aumento dei poteri della presidenza, che attualmente ha un ruolo marginale legato alla politica estera e alla difesa.

Ciò che viene “dimenticato” dall’opinione pubblica nazionale, però, sono le condizioni sociali reali del paese. La crisi economica è dilagante: un paese che spesso si è basato sul turismo ha visto crollare le presenze straniere. Inoltre la pandemia ha aggravato l’instabilità e costretto il popolo a rendersi conto dell’inefficienza dei servizi pubblici. I dati riportati dalle principali agenzie di stampa mostrano un’istantanea di un paese al collasso sanitario, dove gli ospedali sono spesso privi di ossigeno e incapaci di fornire terapie efficaci. La percentuale di persone vaccinate si aggira intorno al 7% (dato discusso dalle stesse fonti consultabili) e la percentuale di morti è grottesca (troppi dati diversi sono proposti per poter accreditare un’ipotesi).

Posso aggiungere, a titolo puramente personale, come già prima della pandemia e delle rivolte, i servizi ospedalieri risultassero mal gestiti. Ricordo che, percorrendo la strada principale in prossimità della città di Nabeul (città costiera nella parte nordorientale del paese), vidi a bordo strada un ambulatorio assolutamente non improvvisato dove anziani, donne e bambini, nel caldo torrido estivo e in una delle ore centrali del giorno, erano costretti ad attendere di essere assistiti nel parcheggio, sotto il sole, senza potersi sedere se non in terra.

Certo, la situazione nella capitale era assai diversa, quasi contrapposta; alla luce, però, dei dati riportati ho il sospetto che l’esasperazione del popolo sia da ricondurre ad una “somma” di fattori e che la politica, almeno al momento, non abbia saputo dare risposte certe ai propri cittadini.

Arianne Ghersi

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